Aspettando la paura
- Autore: Oguz Atay
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2011
"Aspettando la paura" (Lunargento, 2011) è una raccolta di racconti di uno scrittore turco, Oguz Atay, morto nel 1977, già autore di un romanzo sconosciuto da noi, ma molto celebrato in patria, soprattutto per l’attenzione che gli ha dedicato il premio Nobel Ohran Pamuk, che firma la postfazione del libro.
Racconti davvero insoliti, fantasiosi, visionari. Molti dei generi letterari occidentali rientrano nello schema narrativo dello scrittore turco: il tema della paura e della suspence psicologica, tipica degli scrittori angloamericani; l’angoscia esistenziale e la follia, la fantasia malata che suggeriscono paragoni con Virginia Woolf, Kafka e Borges; un linguaggio che si serve del monologo interiore, che fa pensare agli sperimentalismi joyciani. Ma quello che colpisce di più nella prosa di Atay è il senso di attesa, di esitazione rispetto ad una serie di avvenimenti che la vita inevitabilmente propone, dei quali i protagonisti dei racconti sono irragionevolmente spaventati.
Emblematico il racconto lungo, quasi un romanzo, dal titolo “Aspettando la paura”: l’io narrante, di cui nulla sappiamo, vive in solitudine una vita maniacalmente ordinata e metodica, quando un giorno, rientrando a casa, trova su uno scaffale una busta che contiene una lettera scritta in una lingua sconosciuta, non somigliante a nessuna lingua nota, firmata Ubor-Metenga. Parole misteriose che precipitano il nostro protagonista in una crescente nevrosi che si trasforma presto in solitaria follia; il terrore ingenerato dalla lettera di cui ignora la provenienza, il significato, le eventuali minacce, lo accompagnano nei giorni successivi ad un totale sconvolgimento della sua vita, dei suoi pochi rapporti, della sua stessa integrità fisica.
Singolare anche il più breve racconto “L’uomo nel cappotto bianco”: siamo qui all’aperto e il personaggio descritto è un mendicante silenzioso che chiede l’elemosina nei pressi di una moschea. Riceve offerte non richieste, infine acquista un lungo cappotto bianco da donna, che lo propone come un’attrazione, tanto che viene ingaggiato come manichino vivente in un negozio di abiti. Il suo mutismo, il non rispondere alle provocazioni, il suo procedere verso il mare, dove si immergerà fino a scomparire, procurano al lettore un senso di angoscia dovuto all’apparente insensatezza del gesto, a forte carica metaforica, che l’autore vuole comunicare.
Una scrittura inquietante, piena di riferimenti letterari, dove autori occidentali classici, Balzac, Stendhal, Zola, ma anche filosofi come Aristotele e Platone, Hegel e Kant, descrivono un autore occidentalizzato nella cultura di riferimento, anche se legatissimo alle sue origini e alla sua terra, di cui è testimonianza il racconto finale, “I narratori sui binari”, tre venditori di storie in una stazione ferroviaria lontana dalla città, tre ambulanti, il narratore, un ebreo e una donna, che cercano di raccontare storie ad una “pletora di clienti ottusi e ignoranti, o soddisfatti e compiaciuti di se stessi”: la metafora della letteratura offerta a lettori distratti o superbi, a cui tuttavia l’autore vuole indirizzare una lettera, anche se non possiede l’indirizzo….
”Eppure voglio scrivergli, a quel lettore, scrivere sempre per lui, a lui narrare racconti senza interruzione, a lui comunicare dove mi trovo. Io sono qui, caro lettore, e tu, dove sei?”
Il patto tra chi scrive e chi legge, il fascino di vendere storie, il ruolo fondamentale della letteratura nelle relazioni fra gli uomini, compaiono nei diversi racconti di Oguz Atay in modo imprevedibile ed imprevisto, ma con una forza che è tipica di grandi narratori.
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