I romanzi di Amélie Nothomb causano dipendenza: ci metti un’ora scarsa a leggerli fino in fondo e il fatto è che non puoi smettere, non puoi evitare di finirli d’un fiato. Se succede che stacchi un attimo, chessò, per un succo, o perché ti citofona il postino, la temperatura sulfurea del libro ti segue fino in cucina o fin giù nell’androne. Senza ulteriori giri di parole: non vedi l’ora di riprenderne la lettura.
I libri di Amélie Nothomb sono smilzi, ma acuti quanto basta per ritrovarsi appieno con la sentenza callimachea: μέγα βιβλίον μέγα κακόν (“grosso libro grosso danno”). La cosa sorprendente di questi romanzi è che più o meno in cento pagine contengono sollecitazioni aggiunte tali da farne espressioni meta-significative.
Barbablù (Voland, 2017, trad. M. Capuani), per esempio, declina la fiaba nera di Perraut in chiave acida-parigina, non solo scombinandone parzialmente ruoli e contesti, ma introducendovi dissertazioni su etica ed estetica (della morte), cibo, Dio, teoria dei colori, amore, pazzia; e questo attraverso la consueta, ficcante e prevalente forma dialogica che sta alla Nothomb come i dialoghi di Platone stanno alla filosofia.
- Vuole un dessert?
- Offerto in questo modo, si direbbe una minaccia.
- Lo è. È una crema a base di tuorlo d’uovo.
- Mi serve un’omelette e poi delle uova come dessert?
- Ho una passione teologica per le uova.
- E il suo stomaco vi si conforma?
- La digestione è un fenomeno esclusivamente cattolico. Finché il prete mi assolve, posso digerire anche un mattone. Aggiungerò che la santa Spagna ha sempre riservato all’uovo il posto che gli spetta. A Barcellona, le religiose utilizzano una tale quantità di bianchi d’uovo per inamidare il velo che i cuochi hanno dovuto inventare mille ricette con i tuorli.
Quando Saturnine si vede portare delle tazzine d’oro massiccio piene di crema, resta "paralizzata dallo stupore", emozionata dall’accostamento di giallo e oro:
-[...] Rosso e oro, blu e oro, perfino verde e oro sono associazioni sublimi, ma classiche. Giallo e oro, nell’arte, non esiste. Perché? È il colore stesso della luce, modulato dal più opaco al più brillante.
L’uomo posò il cucchiaio e con tutta la solennità possibile dichiarò:
- Signorina, io l’amo.
- Di già? E per così poco?
- La prego di non sciupare con parole sconsiderate l’eccellente impressione che ha appena prodotto. L’oro è la sostanza di Dio. Nessuna nazione ha il senso dell’oro quanto la Spagna. Comprendere l’oro è comprendere la Spagna e dunque comprendere me. Io la amo, è un fatto.
- Sia pure. Io non la amo.
- Mi amerà.
(pag. 17)
Saturnine è quel che si dice un tipo in gamba. È ancora giovane, insegna, viene dal Belgio, sa badare a se stessa e a inizio romanzo la si incontra in cerca di un alloggio a Parigi. Grazie a un’inserzione sul giornale ne trova uno a un prezzo accessibile, e non le sembra vero che per una cifra tanto irrisoria, le sia concesso di abitare una dimora così sfarzosa. Certo dovrà risiedervi insieme al suo facoltoso e chiacchierato proprietario, l’eccentrico don Elemirio Nibaly Milcar, ma, tutto sommato, la ragazza considera l’accadimento una vera fortuna. Non dà peso alle voci relative alla scomparsa delle otto donne che prima di lei hanno abitato l’appartamento, e nemmeno alle ciarle che vorrebbero don Elemirio il loro assassino. Sullo sfondo para-metafisico di questa dimora-eden in cui tutto è concesso tranne che l’accesso a una misteriosa “camera oscura”, si reitereranno in progress le schermaglie esistenzial-sentimentali sul ciglio dell’abisso tra il consumato seduttore spagnolo e Saturnine. Concorrono al climax diversi spiazzamenti di senso e prospettiva e poi c’è il finale impossibile da rivelare.
- Come si è consolato della… sparizione di queste otto donne che amava? - domandò.
- Quando l’ho incontrata, le è sembrato che avessi l’aria di chi si era consolato? Ecco la mia risposta: non me ne sono mai consolato.
- Adesso, mi sembra che se ne sia consolato.
- Non è così. Io l’amo e la cosa sta convogliando tutta la mia energia al presente indicativo. Questo occulta la mia malinconia senza però cancellarla.
- È triste.
- No. Sono contento che quegli amori non mi abbiano lasciato indenne. Sono affezionato a quegli strascichi. Non solo non mi impediscono di amare di nuovo, ma nutrono il mio amore per lei. È la grazia del lutto.
La parola “lutto” la colpì. Dopo un attimo pensò che l’uso di quel termine non implicava necessariamente la morte. Sarebbe bastato che gli rivolgesse la domanda e lui glielo avrebbe spiegato. Prima, si sarebbe rifiutata di rivolgergliela perché lo credeva colpevole. Adesso, non gliela rivolgeva perché desiderava troppo la sua innocenza.
- Lei è un bugiardo?
- Non mento mai - disse subito.
- Risposta desolante. D’ora in poi se scoprirò la minima divergenza tra le sue parole e i suoi atti, non le crederò più.
- È la verità, non mento mai.
- Andiamo. Si mente senza neanche accorgersene.
(pag. 53)
Tradotto in italiano da Monica Capuani, Barbablù si impone, in ultima analisi, come accattivante sussidiario di speculazioni crossover. Una parabola esemplare in cui Eros e Thanatos, delitti e segreti, vampirismo sentimentale, estetismo necrofilo coincidono e si sovrappongono, fino a sfociare nell’ennesimo romanzo à la Nothomb. Un romanzo capace cioè di restarti in testa e roderti da dentro come un tarlo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Barbablù: Amélie Nothomb riscrive la fiaba di Perrault
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