Che senso e che scopo ha scrivere un libro? Molti di voi avranno già la risposta a questa domanda: scrivo perché esisto. Scribo ergo sum. Un bisogno che nasce dal di dentro e che non si può placare. Una sete o, se preferite, una fame vorace. Ma è davvero solo questo?
Più lettori che scrittori in Italia: il self-publishing
Prendiamo il caso italiano: ci sono molti più scrittori che lettori. E’ il caso dei self-publisher e di coloro che stanno scoprendo le nuove frontiere del digitale, proponendo la propria opera su siti come Amazon a prezzi stracciati, senza l’ausilio dei professionisti del mestiere: case editrici, correttori di bozze, uffici stampa e quant’altro.
Lo scrittore ingloba su di sé tutti i ruoli e tutte le professioni:
- è redattore di se stesso, dotato dunque di un severo giudizio (auto)critico;
- è correttore di bozze di se stesso, dotato dunque di una sapiente conoscenza della grammatica italiana;
- è ufficio stampa di se stesso e in ciò gli vengono in aiuto social network, forum e il vasto mare magnum di internet.
Lo scrittore self-publisher è uno scrittore rigorosamente a tempo pieno, che salta in toto la trafila di qualsiasi aspirante scrittore che vede in una Mondadori o in una Neo Edizioni la sua ultima meta, e pubblica, spesso avendo il parere di amici e colleghi che, per quanto professionali, non gli toglieranno mai dalla testa il pensiero di pubblicarsi da sé e vedere alla fine "chi aveva ragione".
Sia chiaro e libero da ogni fraintendimento, il self-publishing (non le EAP, ovvero le case editrici a pagamento, che sono ben altra cosa, visto che c’è un lavoro di terzi dietro) non è assolutamente da condannare, anzi: a volte è il miglior modo per realizzare il proprio sogno, altre volte è la migliore risposta a editori (anche piccoli) reticenti e alle stesse EAP.
Ma il self-publishing dà adito ad alcune riflessioni su cui ponderare: che senso e che scopo ha scrivere? Si scrive per se stessi o per gli altri? La risposta a quest’ultima domanda risulta ovvia: si scrive soprattutto per gli altri e proprio perché le vie della pubblicazione sono infinite (oggi), questo sentimento è per lo più considerato lo status quo.
A cosa serve scrivere oggi?
Che senso e che scopo ha scrivere oggi? A cosa serve? A porre una nuova luce su un tema d’attualità? A scandalizzare? A tentare di proporre qualcosa di nuovo? A raccontare un passato già raccontato in milioni di modi (moltissimi scrittori italiani preferiscono questa via)? Sono tutte domande che fanno capo ad altre domande: perché in Italia c’è così tanta reticenza nel voler proporre libri di genere? Perché la contaminazione tra linguaggi (come quello tra letteratura e fumetto) è ancora così poco praticata da noi, mentre se si guarda ad esempio alla Francia o al Belgio il fumetto è considerato alla pari della letteratura? Perché vige ancora uno snobismo di fondo tra le principali case editrici e agenzie letterarie? Con quale criterio un editor sceglie di pubblicare? E che fine fanno tutti quei libri scritti da autori sconosciuti che non vedranno mai la pubblicazione e che, invece, potrebbero diventare degli enormi capolavori?
Gli autori che non avremmo mai potuto leggere
Dopotutto il mondo è pieno di esempi di questo genere e gli autori che oggi leggiamo avrebbero potuto benissimo restare dei perfetti sconosciuti.
John Kennedy Toole voleva diventare uno scrittore. Morì suicida a trentadue anni. Nove anni dopo, sua madre, con l’aiuto dello scrittore e linguista Walker Percy, riuscì a far pubblicare "A confederacy of dances", da noi conosciuto come "Una banda di idioti". Nel 1981 gli fu assegnato il Premio Pulitzer. Postumo, naturalmente.
Stephen King venne rifiutato per sette anni consecutivi prima di veder pubblicato "Carrie".
E tra gli altri grandi autori che subirono una serie di rifiuti all’inizio della loro carriera, figurano anche Marcel Proust, Roberto Bolano e Jack Kerouac. Anche Philip Dick incassò una decina di rifiuti prima di veder pubblicato il suo primo romanzo.
Scrivere: un bisogno interiore?
Che senso e che scopo ha scrivere di fronte a queste premesse? Semplicemente, forse, quello di continuare a scrivere. E voi cosa ne pensate?
Alla domanda del titolo, nel frattempo che ci riflettere sopra, lasciamo rispondere un autore decisamente molto più affermato di noi: Pier Paolo Pasolini.
Attendiamo i vostri commenti!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Che senso e che scopo ha scrivere un libro?
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