Ero tanto assetata d’amore! Ero tanto affamata di vita!
Così scriveva Minerva Jones, la poetessa di Spoon River, fischiata, schernita dai villanzoni della strada.
Ero lo zimbello del villaggio, soprattutto della gente di buon senso, come da sé si chiamano.
Così recitava Tennessee Clafin Shope, suo concittadino. Crah! Crah! gracchiava l’anima smarrita del caruso Ciaula quando scopre la luna e aggiungeva con rassegnazione: gna bonu.
La figura del deviante in letteratura
È un messaggio che viaggia nel tempo: da Giovanni Verga a Pirandello, da Ranocchio e Rosso Malpelo a Ciaula. Dall’elogio della pazzia di Enrico IV allo scemo antifascista a Largo Augusto di Elio Vittorini.
Da Pinocchio, zimbello del gatto e della volpe, allo scemo del Decamerone di Boccaccio-Pasolini. Dai folletti, che sono scemi magici, al Pierrot Lunaire di Schoenberg. Al Cristo della Ricotta pasoliniana. A Nazarin, il sacerdote francescano di Luis Buñuel. Potremmo ricordare altre corrispondenze storiche e poetiche: tanto la storia e la poesia sono inzuppate di personaggi anomali, grotteschi e commoventi. Potremmo scrollarci con la pioggia pure le molte identità che l’uomo ha caricato sulle spalle.
Non solo la croce ma pure l’irriverenza e lo scandalo, la tragedia e i pernacchi. Queste sono le prime note per una scrittura del deviante, il personaggio scomodo della socialità umana che spezza la rigidità del costume. E da questo foglio cerchiamo di ritrovare le radici di un - Lui -, del viaggiatore dell’immaginario (e non), con il suo sacco di sberleffi e ideali, di fallimenti e costruzioni.
Reinventando un vecchio articolo di Beniamino Placido, “Dove vanno le anatre d’inverno?” (la Repubblica, 1-2 dicembre 1981), rinnoviamo, pure noi, la domanda de II giovane Holden di Salinger, chiedendo al tassista di turno:
Dove abita il deviante? In chi abita il deviante?
La risposta sarà certamente un sorriso e un pensiero di manchevolezza. La nostra manchevolezza. Holden-Placido spiando il volo delle anatre rinnova la teoria del transfert, dichiara la trasformazione, accetta la “metamorfosi”: dichiara che l’eroe e il mito, l’idea hanno capacità di reinventarsi, di donarsi sotto nuove spoglie, di camuffarsi durante il viaggio nella storia.
È la trasmigrazione delle anime! La regola di trasformazione, annuncia Placido e segue:
Holden sa che se non sono galline spennacchiate e pretenziose (come certe rivoluzioni di nostra conoscenza) se sono aquile, o almeno anatre capaci di volare, le pulsioni rivoluzionarie, le spinte al cambiamento non moriranno. Anche se costrette ad emigrare verso altre forme (...) presto o tardi si rifaranno vive. Ritorneranno.
Il deviante tra letteratura e psicoanalisi
In letteratura e in psicoanalisi Pirandello e Freud hanno scatenato l’inferno frantumando l’io, alzando il velo dell’ambiguità, permettendo nuove forme. È l’omicidio di Amleto. E la scelta è drammatica, non più speculare: l’uomo e l’io, il bene e il male. Il dubbio e l’assurdo influenzando l’esistenza minacciano l’aut-aut, il parto gemellare: rompendo lo specchio l’immagine si riflette nei frammenti.
È il rifiuto del binario teologico. È il rifiuto di una sola identità codificata.
L’io si scompone e si ricompone in nuove forme. E si nega. L’io cavalca l’immaginario e supera le frontiere temporali. La sua testimonianza permette la trasmigrazione: il testimone rinnova il rito della staffetta.
Se l’aristocrazia dello specchio e il narcisismo crudele si opporranno, se il conservatorismo cristallizzerà l’immagine imprigionando l’identità (proponendo il ruolo), l’io devierà: abbandona la regola e vive girovagando nella storia: è il deviante!
Chi è il deviante?
È la nascita del personaggio scomodo della socialità umana. È lo “scemo del villaggio!”, imputato di vizio. Raccogliendo queste prime note accertiamo una corrispondenza tra un personaggio storico ben preciso, lo scemo del villaggio, e la nostra traccia del deviante. Ma accettando l’ambiguità della scrittura pure lo scemo del villaggio non ha un’identità ben precisa e pur vivendo nella storia cavalca l’immaginario: partecipando egli stesso al gioco della staffetta. Per aprire uno spiraglio alla nostra scrittura indicheremo nei due una comune matrice di partecipazione: l’io mortificato.
L’io assetato d’amore di Minerva Jones. L’io umiliato di Tennessee Clafin Shope. Lo zimbello del villaggio, l’uomo beffato si traduce con l’aggettivo scemo; dal latino semis, modificato poi nel volgare semus: mezzo, dimezzato, mancante. Scemo diventa un significante, acquista la proprietà della manchevolezza (il tassista avrà un pensiero di manchevolezza nei nostri confronti quando chiederemo notizie del deviante).
La mortificazione e l’umiliazione hanno identica radice: la mors. Il tassista negandoci la risposta dimezzerà l’io, rinnovando la pratica dell’omicidio. Che lo scemo gracchi o reciti non ha importanza per il tassista: è un io mancante, privo di unicità. Sarà dunque lo zimbello del villaggio: indicando - ricordando la regola - un nuovo codice, la nuova identità, il ruolo. La violenza del tassista gode di un grossolano alibi, o forse di una motivazione etica: consumare l’omicidio come autodifesa e relegare il personaggio scomodo in un basso ruolo gerarchico.
La minaccia del deviante è terribile: il deviante e lo scemo del villaggio co-abitano, anzi, sono co-autori di una natura differente. Il reato è: abbandonare la regola producendo vizio. Il deviante è vizioso; peggio se è nano. Il nano è mancante. Il nano ha il vizio della magia e cavalca l’immaginario. L’omosessuale è mancante: non ha la proprietà dell’altro sesso.
L’anarchico è mancante: non conosce l’autorità. E pure la suffragetta è mancante: non gode del fallo. Il deviante è il catalizzatore di questi vizi e li trasmette nel tempo. Dichiara la metamorfosi.
La lingua è magari un membro indisciplinato
Ma il silenzio avvelena l’anima.
Mi biasimi chi vuole - io son contento.
Scriveva Edgar Lee Masters, l’autore dell’Antologia di Spoon River.
Il poeta cavalca l’immaginario e ha pure il vizio di deviare denunciando l’autorità e la gerarchia. Il poeta, l’anarchico, l’omosessuale, la suffragetta, il nano non sono altro che l’immagine riflessa nei frammenti.
Non sono altro che l’io mortificato, umiliato che acquista la coscienza del deviante. Dell’eroe, del mito e dell’idea che hanno la capacità di camuffarsi, di reinventarsi. Il deviante minaccia il padre autoritario.
Negli anni Ottanta, nella sua severa casa di Genova, nello studio, don Baget-Bozzo mi mostrò una riproduzione del Don Chisciotte.
Fu lui, il credente e il teologo, a scrivere della:
tensione tra la storia ed il regno (...) tra la potenza dell’uomo e la debolezza di Dio.
Scrisse della solitudine. Mi parlò del “vangelo vivo”. In Nazarin, il regista Luis Buñuel riscrive la storia del credente: dell’uomo innamorato di Dio che si spoglia del mantello per amore del prossimo, dell’uomo che si batte — per amore e per vanità — contro l’autorità. Il Nazarin dell’immaginario parte, dopo aver sofferto l’umiliazione dell’io, per una missione nel mondo, accompagnato da due prostitute. Ora è possibile avvicinare il buon Nazarin al buon Don Chisciotte e al fedelissimo Sancho Panza. E ricordando il vangelo vivo di Gianni Baget Bozzo osserviamo nei due personaggi citati le tracce di una mitica figura: san Francesco, il poverello di Assisi! Ritorna la “teoria della trasformazione”.
La coscienza del deviante
Il deviante in agguato permette una corrispondenza; permette all’io frantumato, all’io mancante di ricucirsi in nuovi personaggi. Don Chisciotte, san Francesco e lo scemo del villaggio appaiono come già sperimentate identità nell’anima di Nazarin. Nazarin, il sacerdote innamorato di Dio e degli uomini diventa lo zimbello del villaggio quando si accompagna — rifiutando il suo ruolo di servo della Chiesa e dunque il premio della sua autorità — con le due prostitute, e quando accoglie l’amicizia del nano (l’uomo mancante perché deforme), e del galeotto (l’uomo mancante perché ribelle). Buñuel compie con il suo film un atto d’amore; ma quanta solitudine!
È la sofferenza.
È la solitudine di cui mi scriveva don Baget-Bozzo.
Riscoprire il “vangelo vivo” significa accettare le pulsioni rivoluzionarie, significa usare una quotidiana sovversione ai codici, significa spezzare la rigidità del costume. Oh, quanto è scemo san Francesco che fa mostra della sua povertà e del suo amore.
È ignudo! Oh, quanto è scemo Don Chisciotte! Gna bonu, gracchia Ciaula.
Mi biasimi chi vuole - io son contento
scrive il poeta americano E.L. Masters. È la coscienza del deviante che ritorna, che permette la metamorfosi.
È il deviante che spezza lo specchio del crudele narcisismo e permette all’immagine di riflettersi nei frammenti. È il deviante che rifiuta l’autorità del padre. Certamente il tassista continuerà a sorridere rafforzando il suo pensiero di manchevolezza. Ma le anatre del giovane Holden si alzano in volo con un antico compagno di viaggio, rinnovando il rito della staffetta.
La domanda Dove abita il deviante? In chi abita il deviante? ha la forza di un’eco. La voce e la scrittura ne sono gli elementi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è il Deviante? Un viaggio tra cinema e letteratura
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