Christian Dior & moi. L’autobiografia di Christian Dior

Poco prima della sua morte, nel 1957, il grande sarto francese Christian Dior decise di scrivere la sua autobiografia, che ora Donzelli propone nella prima traduzione italiana, curata da Maria Vidale.

Difficile credere che quelle pagine risalgano a quasi sessanta anni fa tanto sono moderni, direi contemporanei, il taglio narrativo e i contenuti di questo libro che parla di moda, ma che in realtà è un pretesto per raccontare un bel pezzo di storia del costume, dell’arte, della società, della musica, della politica culturale francese e non solo, negli anni che vanno dall’infanzia dell’autore, nato nel 1905 in Normandia, fino alla fine degli anni Cinquanta: insomma il periodo più fecondo per le avanguardie, la rivoluzione del gusto avvenuta attraverso la visione di Picasso, Matisse, Braque, Stravinskij, Schoenberg, Jean Cocteau. In questo clima stimolante e fervido di promesse si forma il giovane Christian, che una famiglia borghese e benestante vorrebbe avviato ad una carriera “normale” e che invece sogna di fare l’architetto e finisce per divenire disegnatore e modellista nella casa di mode di Lucien Lelong. Quando si sente pronto, spicca il gran salto che lo porta a coronare il suo sogno: fondare una casa di moda tutta sua, che nascerà, appunto, in un palazzo di Avenue Montaigne al numero 30, indirizzo mitico che diventerà l’icona, insieme a quella di Coco Chanel, della grande moda francese del secolo scorso, una vera e propria leggenda.

Nel libro l’autore si sdoppia: eccolo raccontare separatamente le vicende personali dell’uomo Christian, separatamente da quelle del genio Dior, l’uomo capace di creare un impero non solo europeo, che dominerà la scena internazionale della moda partendo dalla sua prima mitica collezione, quella che, dopo le ristrettezze della guerra, porterà di nuovo le donne a vestirsi con sfarzo, con abiti lunghi, dalla vita stretta e dalla perfetta architettura, cuciti con cura artigianale attenta ad ogni dettaglio, impiegando decine di metri di stoffe pregiate, dai colori raffinatissimi, scelti con meticolosa attenzione dallo stesso Dior e dal suo imponente staff di collaboratrici, sarte, cucitrici, ricamatrici, tagliatrici, direttrici del trucco e della gioielleria, parrucchiere, manager ante litteram di una “maison” che si avvia a divenire il prototipo della moderna industria della moda.
Una particolare cura Dior dedica alle celebri mannequin, le vere ambasciatrici del suo gusto, delle sue inimitabili creazioni che lo rendono celebre, amato, ricercato e in molti casi anche disprezzato, tanto i suoi modelli rappresentarono per la stampa internazionale specializzata una vera rivoluzione del gusto, capace di condizionare la stessa economia dei paesi, nei cui Grandi Magazzini, soprattutto americani, le creazioni del sarto francese ottengono un indiscusso successo.

Dior dunque non è solo un sarto, ma un grande uomo di affari, capace di circondarsi di collaboratori fedeli ed efficienti, attenti al business e alla gestione oltre che al gusto per gli abiti, ma non solo: questi infatti da subito sono accompagnati da guanti, calze, cappelli e profumi, accessori venduti dapprima nella piccola boutique annessa alla Maison, ma ben presto divenuti un must per ogni donna elegante, in Europa e fuori dal continente. Solo nell’ultima parte del libro Dior si concederà di parlare di Christian, l’uomo in carne ed ossa, non solo il famoso couturier, non rinunciando ad esprimere con chiarezza le sue idee a proposito della sua arte e del mestiere che ha dato a lui, come a molti altri dopo di lui, la celebrità planetaria:

“La moda, in fondo, è un modo di espressione come un altro, e io con i miei abiti ho cercato di imporre un nuovo gusto e una nuova sensibilità. In quanto abito, un modello deve avere certi requisiti di solidità, in quanto creazione estetica deve essere audace, persino insolente. Un modello deve coniugare tradizione e temerarietà”.