Se affianchiamo le statistiche crescenti del numero di case editrici aperte in Italia ai dati disarmanti dell’Associazione Italiana Editori, che riportano un basso livello di approccio ai libri dei giovanissimi e una diminuzione dell’interesse per i libri, ritorna in mente una frase detta tempo fa da Roberto Benigni che sosteneva che ci fossero più scrittori che lettori.
Andrea Mucciolo, autore di "Diventare scrittori oggi", ci aveva così risposto in un’intervista:
"Ripetere la classica frase fatta (abusata anche da parte del sottoscritto) che recita: “In Italia ci sono più scrittori che lettori”, appare quantomeno ridicolo, in quanto sono sotto gli occhi di tutti romanzi di grandi scrittori stranieri che vendono centinaia di migliaia di copie in pochi mesi. Quindi le difficoltà nella pubblicazione sono da ricercare in un discorso puramente commerciale e non artistico."
Lo chiediamo anche ad Elvira Siringo, insegnante e autrice di "La zia di Lampedusa" (Morrore Editore, 2009), che ci racconta il suo amore per la lettura e per la scrittura e cosa l’abbia spinta a scrivere un libro.
- Se ci sono più scrittori che lettori, allora perché scrivere? Che ruolo attribuisce lei oggi a questa attività?
Questo modo di dire in realtà è molto vecchio, prima di Benigni lo avevano già detto altri. Sta a sottolineare il fatto che forse si legge poco e si scrive un po’ troppo, senza tenere conto di cosa alla gente interessi veramente leggere. Di questo fenomeno approfitta l’industria libraria minore, quella fatta di piccoli editori che non avendo capacità di diffondere e vendere ciò che pubblicano hanno scoperto un nuovo modo di guadagnare facendosi pagare le spese di pubblicazione da chi scrive!
Ora, io penso che l’attività di scrivere possa essere anche disgiunta dalla necessità di essere letti a tutti costi! Non sembri paradossale, la scrittura nasce storicamente, principalmente, come forma di comunicazione. Ma a questa funzione se ne associano presto delle altre: scrivere serve a ricordarsi di qualcosa, è un promemoria, oppure serve a riordinare le proprie idee, come fanno i nostri ragazzi quando si aiutano sintetizzando per iscritto gli argomenti da studiare. Dal 1900 in poi, dall’avvento della psicoanalisi in poi, scrivere è anche una terapia per l’anima, e già prima, nell’ottocento erano nate le formule del Diario, più o meno segreto, al quale confidare i propri stati d’animo e nel quale custodire i propri segreti. Da ragazza anche io ho provato a tenere un diario, ma devo dire che non ci sono mai riuscita perché nei periodi intensi, in cui avrei avuto veramente qualcosa da scrivere non mi restava il tempo per farlo, quando invece la mia vita attraversava periodi più vuoti e monotoni avrei avuto il tempo, ma non avevo un gran che da confidare.
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No, non ci sono più scrittori che lettori. Forse ci sono lettori che si appassionano meno ai libri, e che passano meno tempo in libreria... E forse ci sono scrittori che scrivono troppo, che arrivano a pubblicare più libri in un anno... Forse bisogna puntare di più sulla qualità che sulla quantità: scriviamo tutti un po’ meno libri, ma dedichiamo ad ognuno così tanto tempo, da renderlo indimenticabile a chi lo leggerà... (in senso positivo!)
No, in realtà i dati statistici parlano chiaro...il numero di lettori è diminuito molto nell’ultimo anno!Solo 5 milioni di lettori in Italia ammette di leggere più di un libro all’anno, la cosa è abbastanza sconcertante quando uno su tre scrive e ha intenzione di pubblicare. Bisognerebbe pubblicare meno libri, ma aiutare anche i giovani ad avvicinarsi alla lettura, senza rendere la cosa "obbligatoria" come si fa nelle scuole. Sebbene io sia un’accanita lettrice, mi ricordo che vivevo il periodo della "lettura obbligata" come una "tragedia": bisognorebbe lasciare i giovani liberi di scegliere quello che a loro piace più leggere,solo così nasce la vera passione per la lettura.
Purtroppo in Italia il mercato del libro è alla frutta. Su Repubblica di qualche mese fa, ma anche su molti altri giornali cartacei e on line, sono rimasto di stucco quando ho letto che ogni anno, in Italia, vengono pubblicati 60 mila nuovi titoli, fra poesia, narrativa, saggistica e quant’altro sia dotato di copertina e quarta di copertina.
Un mercato fomentato non più dalla qualità degli scritti e dalla selezione, ma alimentato esclusivamente dalla voglia matta di pubblicare il proprio libro, costi quel che costi. Da questa situazione di crisi di idee e di buon gusto hanno tratto enormi profitti i piccoli e i piccolissimi editori. Costoro, invece di occuparsi di meritocrazia nella selezione degli scrittori meritevoli di essere pubblicati, hanno fatto leva su giovani intraprendenti e temerari, la cui scrittura è forse ancora un po’ acerba, preoccupandosi solo di sgonfiare il loro portafogli. Il risultato è la trasformazione dell’editoria del libro in mercato del libro. La fabbrica di idee in industria di carta e inchiostro. Le belle parole in numeri. La meritocrazia in censocrazia.