La coerenza, la caratterizzazione, l’introspezione, la capacità di colpire, in poche parole la vita: tutto questo fa grande un personaggio. Come crearne uno davvero speciale?
Al centro di ogni grande romanzo c’è, a mio parere, un grande, indimenticabile personaggio. Quando mi hanno detto che Marcovaldo non è mai esistito ma è scaturito dalla penna del suo scrittore ci sono rimasta male. Possibile? Tanto simpatico, tanto caratteristico, tanto... vero! Manzoni affermava che soggetto della letteratura deve essere proprio il "vero", ma, come ben sappiamo, la parola non è sinonimo di "reale", la tradurrei piuttosto con "realistico". Anche l’Hobbit del "Signore degli Anelli" può essere vero, perché è plasmato con tale sapienza che ce lo vediamo davanti agli occhi, non può essere che così. All’inizio, tra le righe, comincia timidamente a muoversi obbediente, come il suo creatore ha voluto, ma poi si distacca dal suo sfondo, ribellandosi, e vive di vita propria, respira, agisce in maniera indipendente. Altri lo potranno utilizzare, riprendere, citare. Non è più il personaggio di un libro, diviene patrimonio dell’umanità e potrebbe pure essere un bene tutelato dall’Unesco.
Spesso mi capita di leggere libri dalla trama interessante, stesi in una lingua accettabile, ma con personaggi inconsistenti e scialbi. Te li dimentichi poco dopo che li hai conosciuti, come in un incontro fugace sul treno o in fila alle poste. Un incrocio distratto, che non lascia nulla, neanche l’impronta luminosa sulla retina. Purtroppo, quando leggo ho bisogno dei personaggi, me li disegno, ci parlo, li faccio interlocutori del mio presente. Jean Valjean è sempre nel mio taschino insieme a Pinocchio, Madame Bovary, il Commissario Montalbano, Zeno che si uccide di sigarette, Mattia Pascal e il suo occhio storto... Diversi fra loro tanto da starci stretti e imbarazzati, addosso a me, senza sapere cosa dirsi, ma tutti vivi e reali, popolo della mia assetata mente.
Come si faccia a creare personaggi così perfetti non ho la presunzione di saperlo con precisione (o non sarei qui a fare la scrittrice sconosciuta e mi troverei già abbarbicata sull’Olimpo dei grandi), ma un po’ un’idea me la sono fatta: mentre lo scrittore compone la storia del personaggio, si deve prendere la briga di indossarlo.
Si fa come al mercato, alla ricerca di pezze di stoffa: prima si scelgono gli scampoli migliori, si rimesta nelle bancarelle, si tira su (ovvero si catturano, in giro, immagini, sguardi, particolari, frasi, profumi) e poi si cuce un bel vestito che ci può stare anche largo o stretto, che può risultare ridicolo, ampio o succinto. Non importa. Quel vestito si infila e, così abbigliati, si va in giro per un po’. In poche parole ci si muove come il nostro personaggio. Si guarda il mondo coi suoi occhi e poi si riporta tutto questo sulla carta. Si tratta di un gioco molto divertente, credetemi, e se in questo modo non diventerete scrittori noti, ricchi e famosi, almeno ve la sarete spassata e sarete usciti dal solito autobiografismo di chi sa solo raccontare cose vissute.
Stravolgendo la famosa frase di Flaubert "Madame Bovary sono io", mi piace pensare, al contrario, che io sono il mio personaggio. Mi spiego: non lui a mia immagine e somiglianza, ma io a sua. Quante volte ci siamo trovati a giudicare bravo un attore perché è riuscito a rendersi irriconoscibile sulla scena... altrettanto credo che si debba dire per lo scrittore. Non voglio qui negare il valore delle esperienze e delle reali sensazioni, come ho detto si parte da quelle, ma bisogna saperle, con sapienza e fatica, oltrepassare. Sarà un buon esercizio.
Nel mio ultimo libro ho voluto trasformare me stessa in un uomo che narra in prima persona ed è stato bellissimo sforzare la mia testa a pensare come un maschio, le mie gambe a camminare in maniera virile, i miei polmoni a respirare da uomo. Mi avranno presa per pazza? Forse e non c’è cosa che mi renda più allegra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Come creare i personaggi di un libro? Indossandoli!
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