Diana cacciatrice di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (1658)
Sapete che, in origine, il Ferragosto era dedicato alla Dea Diana? Ce ne offre una testimonianza Ovidio ne I Fasti, l’opera dedicata alle tradizionali festività romane.
Proprio il poeta latino racconta che le Feriae Augusti, questo il nome originario riservato alle Idi di agosto (dal 13 al 15 del mese), nella tradizione erano giorni dedicati al culto di Diana e avevano nome di Nemoralia, perché si svolgevano nei pressi del lago di Nemi.
Le Dea Diana era festeggiata nelle campagne di Roma, nei dintorni dell’Urbe, nei giorni centrali di agosto: la festività in suo nome era anche detta Festa delle Torce o di Diana. Il 13 agosto, giorno sacro alla Dea, venivano portate delle offerte in sacrificio al Templum Dianae sull’Aventino, che si trovava fuori dal Pomerio, ovvero il confine sacro e inviolabile della città.
A lungo il culto della Dea Diana, divinità della caccia e dei boschi, fu mantenuto anche in epoca cristiana, poiché la Dea continuava a essere venerata dalla popolazione delle campagne, nonostante fosse osteggiata dalla Chiesa di Roma. Le donne che celebravano il culto di Diana, dopo l’avvento del cristianesimo, furono perseguitate come streghe o accusate di stregoneria, in quanto si recavano nei boschi nelle notti di luna piena.
La stregoneria è una delle ultime incarnazioni del mito di Diana, divinità per eccellenza del femminile. I Nemoralia, le feste dedicate alla Dea nel mese di agosto, avevano infatti una forte componente misterica.
Scopriamo più approfonditamente la storia e l’origine di questo antico culto.
Il mito della Dea Diana celebrato in agosto
La Dea Diana (Artemide per i greci) era la sorella gemella di Apollo, dio del Sole, ne rappresentava il complemento e l’opposto: spirito combattivo e guerriero, una donna indipendente con arco e faretra che viveva nell’oscurità delle selve. Il suo simbolo era infatti la Luna, che spesso veniva raffigurata sul suo capo nelle rappresentazioni rituali. Leggenda narra che fu proprio la Dea ad aiutare la madre, Latona, nel partorire il suo gemello Apollo, nonostante fosse appena nata: in virtù di questo Diana era considerata la divinità delle partorienti, protettrice delle fanciulle e delle giovani spose. Si credeva fosse lei, Dea vergine e pura, ad amministrare la fertilità femminile così come le messe e i raccolti nei campi.
Legata alla madre Latona, nel mito Diana si dimostra sempre pronta a soccorrerla e difenderla, per questo motivo è una delle divinità deputate alla protezione del femminile.
Diana abitava le selve boschive in compagnia delle sue fedeli ninfe, armata di arco e faretra, i soli doni da lei richiesti al padre Zeus. Dea della caccia, divinità armata, era nota nel mondo classico anche per le sue violente ire: è proprio lei a sterminare le figlie di Niobe, secondo il racconto offerto da Ovidio nelle Metamorfosi, per vendicare la madre. La sua proverbiale ira, nel mito greco, si rivolse anche contro Agamennone - costringendolo al sacrificio della figlia Ifigenia - e contro Meleagro, figlio del re di Eneo di Calidone; ma non solo, molti dipinti ritraggono la vicenda di Atteone, il cacciatore trasformato in cervo dalla Dea - perché osò spiarla mentre faceva il bagno nuda in una fonte - e infine sbranato dai cani. Di questa cruenta vicenda, il mito di Diana e Atteone, troviamo molteplici raffigurazioni nella storia dell’arte, dal Parmigianino a Tiziano.
L’unico amore della Dea di cui abbiamo testimonianza è quello per il pastore Endimione, di cui Diana si incanta ad ammirare il volto, distogliendosi dalla caccia. Leggenda narra che Endimione accettò di essere addormentato in un sonno eterno, pur di continuare a godere della carezza della luna. La storia è raffigurata nel dipinto del Guercino, Diana cacciatrice (1658), che vede la dea distratta mentre guarda di lato verso il giovane addormentato.
Il mito di Diana è quindi anche legato al suo duplice volto, che ricorda la mutevolezza lunare tra luce e ombra: Dea della purezza e divinità vendicativa, rappresenta tutte le molteplici sfaccettature del femminile. Incarnava lo splendore virgineo e anche la provocazione sensuale, per la sua essenza contraddittoria era odiata dai cristiani e avversata dai teologi: Diana incarnava l’opposto della Madonna, era una vergine guerriera che puniva chi peccava di hybris. Nei contrasti tra le sue tenebre e la sua luce c’è anche l’essenza di Diana o Artemide e ciò che oggi la rende, più che mai, un’eroina moderna.
In seguito la tradizione cristiana avrebbe soppiantato la sua festività antica con la celebrazione di un’altra vergine che, a differenza di Diana, è anche madre. La natura intoccabile della Dea racchiudeva anche il suo segreto: la si considerava una divinità ctonia che muore e risorge, come la luna. Al contrario di Maria - di cui si celebra l’Assunzione - Diana non assurge al cielo, ma rimane legata alla terra, il 13 agosto i riti pagani celebravano la sua morte e la sua rinascita. Nel tempo divenne la protettrice dei deboli e degli afflitti, il suo culto subì un’evoluzione ma rimase a lungo radicato nella credenza della gente di campagna che vedeva in lei una divinità terrestre, legata al ciclo della vita.
La tradizione la raffigura spesso armata, con arco, frecce e calzari, impegnata nella caccia nelle sue amate selve. I romani la veneravano come Diana Nemorensis, ovvero Diana dei boschi sacri, le dedicarono un tempio di culto sull’Aventino, fatto costruire dal re Servio Tullio, oggi divenuto la Basilica di Santa Sabina.
I Nemoralia: la festa di agosto in onore di Diana
Come ci racconta Ovidio nei Fasti si trattava di una festa di antichissima tradizione, quei boschi delle campagne romane erano ritenuti sacri “sin dalla notte dei tempi”. Ogni anno i Nemoralia si svolgevano nei pressi del lago di Nemi (il termine Nemus significa proprio selva e Diana era la dea dei boschi): una lunga processione traversava la via sacra sino al tempio dedicato a Diana Nemorense che veniva adornato con corone di fiori, tavolette d’argilla con incisi voti e preghiere, piccole statue raffiguranti la divinità. Inoltre gli alberi, sacri alla Dea, venivano adornati con nastri e fiocchi e si accendevano ceri nei pressi del lago, dove di notte si specchiava la luna piena, simbolo di Diana, che era considerata una divinità lunare. Doveva essere uno spettacolo luminoso: i ceri accesi allontanavano le tenebre, celebrando l’eterno ciclo di morte e resurrezione.
Il 13 agosto, secondo gli antichi, Diana moriva e rinasceva: ed era una festa che comprendeva ricchi e poveri, nobili e schiavi, senza esclusione di sorta, il culto della Dea attraeva pellegrini da ogni parte del grande Impero romano. Era infatti giorno di festa grande per tutti, concesso anche alle donne agli schiavi.
Ovidio, in un passo dei Fasti divenuto celebre, descrisse in questi termini le celebrazioni dei Nemoralia in onore di Diana:
Nella valle Arriciana,
c’è un lago circondato da foreste ombrose,
ritenute sacre da una religione fin da tempi antichi...
Su un lungo recinto siepe appesi pezzi di fili tessuti,
e iscrizioni assieme
aggraziatamente posti qual doni alla Dea.
Spesso una donna le cui preghiere sono state ascoltate da Diana,
con una corona di fiori a coprire il capo,
cammina da Roma portando una torcia accesa...
Lì un ruscello fluisce gorgogliando dal suo letto roccioso...
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La dea Diana e l’origine del Ferragosto tra mito e storia
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