Dentro le parole. Per una critica dell’individualismo
- Autore: Pier Aldo Rovatti
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Monadi egotiche smarrite nel tempo di social che sociali non sono. L’aggravarsi progressivo dell’ontologia umana estrinsecato tra amici di chat e di Maria De Filippi, consenso e dissenso gladiatoriali esplicitati in un like (pollice verso o pollice di assenso virtuale). Quanti follower servono per essere attendibili, monologando nel vuoto, di cosa e con chi? E quanto amore sprecato sugli autobus, recinto mobile di prossimità e lontananza abissali, dove la vita vera non passa più (soppiantata dalla non-vita protesica degli smartphone), figurarsi la socialità. Roma o Bogotà ormai è lo stesso. Negli anni Settanta, sull’urbano dell’ora di punta e sull’umanità in transito che veicolava potevi scriverci un trattato sociologico. Intanto che millantavano il tempo d’oro della comunicazione, prologo del tempo di platino dell’iper-connessione a seguire, Thatcher e Reagan introducevano alla fine della relazione significativa. Cosa viene socializzato oggi al di là delle blande effigi del nostro esserci per l’autoscatto, per la pubblicizzazione dell’inessenziale, per la sublimazione del nostro sopravvivere (?) per noi stessi, illusi e delusi, semmai, dai nostri contatti fantasma. Dio non voglia che ci blocchino, restituendoci al vuoto autentico dell’esserci per la morte?.
Pier Aldo Rovatti è un filosofo abituato a rimestare fra le rovine delle contemporaneità e, semmai, a remare controvento. Adesso ha raccolto la fisiognomica della fine (delle relazioni), assegnando monograficità al “de profundis” dell’io plurale che trapela dai suoi interventi apparsi sulle pagine del “Piccolo” di Trieste.
Il saggio, uscito per Meltemi, si intitola in esteso Dentro le parole. Per una critica dell’individualismo. E - sempre che non sia tardi – muove dal memento analitico di una deriva sociale parcellizzata nelle espressioni di crisi dei media, della cultura, della politica, della scuola. Insomma: il presente che sfugge di mano, e il futuro in improbabile ipotesi, se si continua cosi. L’individualismo (contras)segna pensieri-opere-omissioni sociali, se fosse davvero un bel vivere questo vivere per apparire senza interagire non verrebbe redatto in progress, il computo esponenziale delle psicopatologie riconducibili al mal de vivre (soprattutto fra i giovani).
Per contrappasso, più ci globalizziamo-socializziamo e più di fatto siamo soli. Più rompiamo il silenzio - parlando di tutto per non parlare di niente – più professiamo la liturgia di un solipsismo espanso; vittime e carnefici di un individualismo sterile, indifferente al prossimo, all’altro da noi.
Pier Aldo Rovatti lo spiega in modo nitido, nel capitolo “Vogliamo sempre parlare”, che occupa le pagine 88-90 del suo saggio:
Come possiamo spiegare quest’ansia di prendere la parola anche quando non sappiamo che cosa dire, soltanto per stare sulla scena, non importa come? [...] Facciamo tanti discorsi contro il predominio del potere nei comportamenti pubblici e ci colpiscono ogni volta i toni delle affermazioni, urlanti, gracchianti, anomali: vorremmo che questi toni si abbassassero e che si parlasse tentando di ascoltarsi, lasciando uno spazio perché l’ascolto sia possibile. Ma non succede: i toni rimangono acuti e autoritari e l’ascolto quasi annullato. Nei comportamenti privati, nelle nostre vite quotidiane è poi così diverso?
L’interrogativo è pleonastico. Mi viene da ripensare al Fellini apocalittico di La voce della luna (il film è del ‘90, il peggio è già accaduto e deve ancora accadere, gli anni Ottanta non sono finiti mai), metafora e verdetto su una società rivelata “nella sua degenerazione festaiola e conformista, nell’euforia consumista della sagra dello gnocco” (G. Fofi).
Rovatti, storico direttore della rivista filosofica “Aut-Aut”, riflette a lungo e in forma declinata sulle espressioni degenerate di un mondo in cui società e socievolezza “sono diventate parole sempre più vuote”, istantanee della Terra prima e durante la caduta. Rintracciando nel cambio di prospettiva esistenziale la sola opportunità di cambiamento che ci resta. Un passaggio di condizione relazionale: dallo stato autistico-individuale al ripristino di un originario stato plurale.
Non fa una piega, ma ho smesso di crederci. Senza essere diventato disilluso, nel “milieu” della deriva social-liberista non credo in un ritorno a società aperte e funzionali.
Questo saggio (acutissimo, e oggettivo) è redatto a un passo dalla fine: eventuali necessità di rilettura sono date dall’urgenza di farne tesoro.
Dentro le parole: Per una critica dell’individualismo
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