Donne in guerra per la pace
- Autore: Amneris Vigarani, Patrizia Marzocchi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Storie di donne, del loro coraggio, del loro essere mogli e madri, dei loro studi, del loro non aver paura, delle loro conquiste per i diritti e la parità, della loro lotta per la libertà dei loro paesi. Le straordinarie vite di dieci donne, alcune note altre da scoprire, in una raccolta che racconta il loro eroismo e non solo, il loro dolore quando messe alla prova, la loro quotidianità, la fatica nel sopravvivere, i loro sogni; protagoniste del passato e del presente da non dimenticare.
Donne in guerra per la pace (Scatole Parlanti, 2024) è un libro importante, appassionante, scritto a quattro mani, con storie toccanti e fonte di riflessione e di ispirazione: il cammino verso la tutela dei diritti delle donne nel mondo è ancora lungo.
Amneris Vigarani è laureata in Pedagogia presso l’Università di Bologna, diplomata in Giornalismo presso l’Università di Ferrara, ha lavorato come dirigente scolastica: è socia dell’ONG International Inner Wheel, che si occupa della condizione delle donne nel mondo. Patrizia Marzocchi è laureata in Pedagogia presso l’Università di Bologna, diplomata in Giornalismo presso l’Università di Ferrara, ha lavorato come docente di lettere nella scuola secondaria di primo grado: è autrice di romanzi per ragazzi e gialli.
A trent’anni dal suo assassinio la storia di Ilaria Alpi, l’indimenticabile giovane giornalista dal viso pulito, inviata della Rai in zone di guerra e della sua ultima inchiesta in Somalia, in piena guerra civile. A oggi Ilaria non ha ottenuto giustizia e la sua vicenda è piena di oscuri misteri: la laurea a pieni voti in letteratura araba le avrebbe permesso di muoversi nei paesi del Medio Oriente. Nel suo ultimo viaggio era alla ricerca dei motivi del ritiro della missione ONU e dell’uccisione di alcuni giornalisti internazionali. Indagherà come un vero detective. Tanti saranno i depistaggi nelle indagini che seguiranno il suo omicidio; come i suoi bagagli partiti chiusi con sigilli arriveranno all’aeroporto di Roma del tutto disigillati.
Resta il fatto che nella sua breve vita ha svolto il suo lavoro con passione, ha cercato la verità senza paura e ha fatto la differenza perché ha offerto un modello positivo alle donne e agli uomini del futuro.
Dieci donne con la loro volontà di non arrendersi mai, né a un marito, né alla guerra, né alle ingiustizie, né ai conquistatori come la boliviana Bartolina Sisa Vargas, una rivoluzionaria di fine Settecento, eroina nazionale dal 2005 che sapeva cavalcare meglio di un uomo. Difese la sua terra dagli invasori spagnoli che depredavano le loro ricchezze, oro e argento dalle miniere, affamavano la popolazione e con le malattie che avevano portato provocarono la morte di moltissimi indios.
Determinata a imbracciare il fucile, ad arruolare volontari nei posti più impervi dell’Alto Perù, animata “dal fuoco vivo dell’indipendenza”, è rimasta scolpita nella storia la sua frase gridata agli invasori:
Voi mi uccidete ma tornerò e saremo milioni.
L’energia instancabile in Estela Carlotto, argentina, una delle tante nonne di Plaza de Majo che chiedevano a gran voce alla giunta militare dove fossero i loro nipoti, figli di ragazze e ragazzi, desaparecidos, imprigionati e uccisi perché oppositori del regime.
E la partigiana Gisella Floreanini, staffetta lungo le cime delle Alpi Pennine con il nome di battaglia Amelia Valli in onore delle valli che voleva libere dalla barbarie nazista. Fu la prima donna ad avere un incarico pubblico nella prima città italiana del Nord liberata dai partigiani. Sopravvissuta alla guerra ha continuato la sua militanza nel Partito comunista.
Irena Sendler, l’angelo del ghetto di Varsavia, che aiutò nella Polonia occupata dai tedeschi, 2500 bambini ebrei dai campi di concentramento, dalla soluzione finale. Lei non era ebrea, ma viveva con gli ebrei e conosceva la lingua.
Non esitò, piccola, minuta con gli occhi azzurri, a portare di nascosto cibo e medicine nel ghetto, e a procurarsi documenti per portare fuori da lì i bambini, affidandoli a famiglie polacche.
Meena Keshwar Kamal apparteneva a una famiglia benestante in Afghanistan, e già dai primi anni di Università si attivò politicamente in difesa dei diritti delle donne. Il padre, architetto, pur uomo colto, non trattava alla pari le sue due mogli che spesso subivano violenza. Sua madre era analfabeta e aveva imparato ad accettare la seconda moglie con la quale condivideva le incombenze della casa e la cura dei figli.
La tradizione culturale e religiosa sancisce che saranno gli uomini a prendere posizioni di potere nella società e pur ammettendo gli studi per le donne stabilisce che la loro intelligenza, le loro conoscenze debbano essere utili solo per migliorare e far splendere i mariti a cui saranno destinate dalla famiglia.
Meena incontrerà suo marito frequentando l’Università, anche lui impegnato come attivista per un Afghanistan libero nel periodo più difficile quando il Paese diverrà dipendente dall’Unione Sovietica con un regime dittatoriale.
Per il suo impegno politico e civile Meena affiderà sua figlia a una sua cara amica per salvarla dalle persecuzioni, mentre lei fuggì in Pakistan dove molti afghani si erano rifugiati. Meena sparirà nel febbraio del 1987 e le sue compagne attiviste non riceveranno nessuna risposta alle loro denunce. Il suo assassinio era stato commissionato dalla polizia segreta afghana.
Nel 2006 la rivista Time l’ha iscritta tra gli eroi del mondo con queste parole:
Sebbene avesse solo trent’anni alla sua morte, aveva già diffuso i semi di un movimento per i diritti delle donne afghane fondato sul potere della conoscenza.
C’è un filo rosso che attraversa le storie di queste donne eccezionali: il riconoscimento della dignità della persona umana attraverso la lotta alle discriminazioni, all’emarginazione, il diritto all’istruzione e all’uguaglianza sociale. E come ricorda Dacia Maraini, “le donne fanno paura per la loro determinazione”, per la loro capacità di resistenza:
Le donne fanno paura perché sono portatrici di speranza.
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