Si è tenuto nei giorni scorsi un evento di interesse all’interno della manifestazione “I librai incontrano gli autori a Villa Filippina” a Palermo, iniziativa promossa dalla Associazione Librai Italiani (ALI) diretta a rilanciare le librerie e il loro importante ruolo, dopo i mesi della pandemia, in cui non si sono potuti organizzare eventi.
Goffredo Fofi è un personaggio di rilievo nel mondo culturale, critico letterario e cinematografico, che in questa occasione ha presentato l’ultimo libro di Roberto Alajmo, autore di interessanti lavori vincitori di premi letterari, alcuni dei quali trasposti pure sullo schermo (È stato il figlio con la regia di Daniele Ciprì, 2012). Prima di quest’ultimo si ricorda poi: L’estate del ’78 (Sellerio, 2018).
Io non ci volevo venire di Roberto Alajmo (Sellerio)
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Roberto Alajmo scrive adesso un poliziesco, un noir, un giallo molto siciliano ambientato in un piccolo centro alla periferia di Palermo, Partanna, vicino a Mondello, a monte della cittadina balneare, in una località forse più proletaria e in un’ambientazione tipica, quella della “famiglia”, in un’accezione mafiosa. Vi è difatti un capo mafia, un poco cialtrone, un personaggio maschile forte, lo “Zzu “, il capo del paese, che ha in mano le sorti del protagonista. Questi si chiama Giovanni Di Dio, per tutti “Giovà”, una sorte di Giufà, lo scemo del villaggio che si muove in un contesto familiare tradizionale dove però è assente la figura del padre. Vi è una famiglia di sole donne con una madre, una zia, una sorella, una vicina, un “coro” di donne dove questo giovane dall’età incerta, un adolescente o rimasto tale, legato a questo contesto femminile; ha trovato un posto di lavoro, proprio grazie a queste donne che hanno interceduto per lui con lo “Zzu” che lo ha piazzato come Guardia giurata nella sua attività. Un favore che prima o poi deve essere nel tempo ricambiato, e a un certo punto lo “Zzu” gli chiede di indagare su una ragazza scomparsa, su un omicidio. Si verrà poi a sapere che c’è un legame tra la famiglia del capo mafia e quest’episodio criminoso. Il boss pensa infatti che uno dei suoi sia implicato in questa vicenda.
Giovà si viene così a trovare in una situazione delicata dove si indaga, e il racconto assume i toni del grottesco. Il giallo si snoda con alcune rivelazioni, con alcuni personaggi nuovi che entrano in scena. È un vero mistero, che per fortuna non finisce tragicamente per il protagonista, ma termina con una considerazione, l’ultima riga del libro che secondo Fofi, è molto significativa: “Sperando che fare finta di niente possa essere una soluzione”, che potrebbe estendersi ad altre situazioni specie quelle attuali.
Il romanzo ha anche i toni della commedia teatrale, della commedia all’italiana di solida tradizione, della “vastasata”, ma che in realtà parla di qualcosa di molto attuale e di molto forte. Non è presente solo il tema della Mafia è “dintorni”, non è questo il filone prescelto e prevalente anche se l’hinterland è quello.
Vi è il tema del debito che deve essere ripagato, e secondo Fofi una misantropia che caratterizza la scrittura di Alajmo, una diffidenza, una sfiducia verso il genere umano tutto, al maschile e al femminile. Fofi ricorda l’espressione “L’inferno sono gli altri”, citando Sartre, per cui trovare un modus vivendi con quelli che la pensano diversamente, che hanno interesse diversi è sempre una grande fatica che è quella della società civile, quella che si fa quando si vuole formare una comunità e se ne vuole fare parte.
Ma vi è quella parte del libro che è una vera e propria inchiesta, sulla scia dei migliori giallisti, dei quali non bisogna dimenticare il grande Scerbanenco che racconta il male nella società nordica, nella Lombardia del suo tempo, nel dopoguerra degli anni Cinquanta. Un male come descritto in Delitto e castigo di Dostoevskij, il capostipite di tutti che la storia di un delitto e di un castigo, e del rapporto tra chi ha commesso il delitto con il mondo circostante, con la giustizia ma anche con la propria coscienza.
I gialli di oggi hanno minori ambizioni e aspirazioni di approfondimento, servono a passare il tempo, sono di puro intrattenimento e in questo Camilleri era insuperabile, divertente, ma forse superficiale e solo consolatorio. Invece Roberto Alajmo, prosegue Goffredo Fofi, ecco che va più a fondo nell’analisi di una società specifica, quella di una piccola comunità di Partanna ma che potrebbe essere di qualunque altro piccolo centro d’Italia. Una società fortemente basata sul crimine che non sono i semplici esecutori ma più spesso i grandi banchieri, i grandi industriali, personaggi di rilievo anche storici che spesso provocano grandi disastri come la caduta di ponti. Per costoro, la società è basata sulla prepotenza e sul denaro, mentre dall’altra parte vi sono i comuni mortali che invero sono sostanzialmente complici, non riuscendo più a ribellarsi a siffatto stato di cose.
Io non ci volevo venire è un libro al contempo divertente e inquietante, di un valido scrittore che non è certo un umorista ma qualcuno che scava a fondo negli argomenti e ha una sua visione che spesso va verso il sarcasmo.
Alajmo mostra un inquietudine derivata dal mondo che ci circonda, dove regna la prepotenza, la cattiveria, le menzogne anche se vi è da parte di alcuni il tentativo di contrastare tutto questo. Come nel libro fanno Giovà e il gruppo delle donne che gli vivono intorno.
Un libro che è un vero noir, dove vi è un’inchiesta, anche se bizzarra, con risvolti sociali, politici e anche morali. Un “prodotto” di un autore che sa raccontare delle storie e sa scrivere ma soprattutto sa comunicare, senza pesantezza e senza prediche, un disagio nei confronti di una società dove tutto sembra solo apparentemente normale. Vengono infatti alla luce crimini, delitti mafiosi nel cui gruppo familiare però qualcuno si distacca da certi comportamenti, come i figli che vanno per altre strade e che il boss non riesce più a controllare.
Un aspetto curioso e simpatico di questo libro è poi la presenza del femminile, un aspetto che rompe il tradizionale ruolo che viene affibbiato alle donne che qui non sono solo massaie, ma che aiutano Giovà ad affrancarsi dal boss.
Una storia che attrae e trascina il lettore in cui si manifesta la qualità della scrittura dell’autore che qui mostra il fascino malsano del delitto, con i tempi e i ritmi tipici di questo genere letterario, espressi al meglio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Goffredo Fofi presenta l’ultimo libro di Roberto Alajmo: Io non ci volevo venire
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