Gli Squallor. Una rivoluzione rock
- Autore: Marco Ranaldi
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
In tanti si sono chiesti, nel corso di questi ultimi cinquant’anni, chi fossero davvero gli Squallor. E non c’è mai stata una sola risposta. Un gruppo di debosciati, una band di fancazzisti, un drappello di rivoluzionari le ipotesi più gettonate. Marco Ranaldi ha sposato l’ultima teoria: gli Squallor hanno messo a soqquadro la scena rock tricolore con quel modo sguaiato di scrivere e interpretare liriche incendiarie, maleducate e grossolane, zeppe di parolacce, allusioni, trivialità. E poi la musica: nessuno dei quattro componenti della line-up si è mai sforzato di suonare un solo strumento, al massimo hanno arrangiato in studio quel che si poteva arrangiare. Più rivoluzionari di così!
Gli Squallor incidono il primo 45 giri nel 1972, “38 luglio”, un successo inatteso dopo il quale seguiranno quattordici album (Cambiamento, del 1994, è l’ultimo della serie), tutti o quasi baciati da una massiccia risposta di pubblico. Una popolarità nata e cresciuta quasi esclusivamente sul passa parola, senza passaggi pubblicitari di alcun tipo, che avrà modo di consolidarsi col tempo: la censura della Rai sarà ferrea, solo la nascita e il diffondersi delle radio libere sdoganeranno una volta per tutte le loro canzoni. Canzoni per modo di dire: in pratica, almeno nella maggior parte di casi, si tratta di testi recitati su basi musicali create ad hoc o riciclate in un modo o in un altro.
Per tornare alla domanda di cui sopra, chi erano gli Squallor? Nient’altro che un manipolo di professionisti della discografia italiana, gente come Alfredo Cerruti, importante produttore della CGD, il compositore Totò Savio, autore delle musiche di “Cuore matto” e “Se bruciasse la città”, il paroliere Daniele Pace, già in quota Caterina Caselli, Loredana Bertè, Nino Ferrer e tanti altri, Giancarlo Bigazzi, uno che ha messo le mani su successi del calibro di “Montagne verdi”, “Cosa resterà degli anni ’80”, “Gli uomini non cambiano”. Da citare anche Elio Gariboldi, il Pete Best degli Squallor, che partecipò solo alla registrazione della già citata “38 luglio” per poi scegliere di andare a lavorare come agente della CGD in Germania Ovest. Non ci sono più, ma hanno lasciato un segno.
In Gli Squallor. Una rivoluzione rock (Crac, 2020), Marco Ranaldi ricostruisce con passione la storia del quartetto, dai timidi inizi fino all’esplosione degli anni ’80, culminata, nel 1984, con l’uscita nelle sale cinematografiche di Arrapaho, diretto da Ciro Ippolito, ispirato all’omonimo album uscito l’anno precedente: il film, costato circa 135 milioni di lire, finisce per incassarne oltre 5 miliardi.
Ranaldi, nel suo excursus, tira fuori testimonianze, recupera vecchie (e rare) interviste, pubblica testi di pezzi significativi, senza dimenticare il contesto storico, particolarmente difficile dal punto di vista sociale, nel quale gli Squallor si trovarono a muoversi e interagire. La penna è brillante, lieve, scorrevole, tuttavia il libro ha come difetto quello di non aggiungere troppo a quel che gli appassionati storici sanno già su Cerruti e soci, ma ciò non vuol dire che esso non rappresenti un’ottima base di partenza per chi volesse conoscere meglio le peripezie della band più anomala mai apparsa all’interno della discografia italiana. E poi, una ripassata non farà certo male.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli Squallor. Una rivoluzione rock
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