Inti-illimani. Storia e mito
- Autore: Eduardo Mono Carrasco
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
Della serie chissà chi lo sa: il loro nome è un composto, viene da una parola quechua che significa “sole” (Inti) e da Aymara, una cima della catena delle Ande (Illimani). E adesso che l’etimologia del sostantivo è stata servita c’è da aggiungere ciò che gli Inti-Illimani evocano come nemmeno le sorpresine degli ovetti kinder a chi non soffre di memoria corta: musica andina, poncho da combattimento, Salvador Allende, el pueblo unido, golpe cileno, resistenza, zoccolo duro di filo-cileni sparsi fra Europa e Italia, dal 1973 a seguire. In un’ideale iconografia vintage gli Inti-Illimani vengono subito dopo la bandiera rossa con il ritratto del Che, gli slogan delle loro canzoni sovrapponibili ai mantra desunti da “L’Uomo a una dimensione” e dal libretto rosso dei pensieri di Mao. Forse perché paradigmatici dello spirito del tempo, forse perché rifugiati politici, forse perché semplicemente bravi, crossover musicale di rarefazione andina & canzone rivoluzionaria, gli Inti-Illimani restano pietra miliare, molto prossima al concetto di “complesso” (nel senso di band, allora si chiamavano così) per antonomasia, finiti persino in una canzone di Lucio Dalla, non senza qualche polemica:
“Il complesso cileno affisso sul muro/ promette spettacolo, un colpo sicuro/ La musica andina, che noia mortale/ sono più di tre anni che si ripete sempre uguale” (“Il cucciolo Alfredo”, 1977).
Per venire ora al nocciolo del discorso: se c’è uno che può dire di conoscere gli Inti come le sue tasche è il “muralista” Eduardo Mono Carrasco (esule a sua volta e illustratore in diretta dei loro concerti) e sarà anche per questo che ha deciso di raccontarli in un libro (“Inti-Illimani. Storia e mito. Ricordi di un muralista cileno”), nel modo migliore in cui uno può decidere di raccontare in un libro qualcosa di simile alla leggenda: un modo (un “taglio”) minuzioso e appassionato al contempo, senza dimenticare (evviva!) il quadro storico degli eventi. Come quello “live” del 6 settembre 1975 - più o meno due anni dopo il colpo di Stato di Santiago del Cile – in cui l’Arena di Verona sembrava una succursale della Cordigliera delle Ande, affollata in ogni suo ordine di posto:
“Le bandiere cilene apparivano ovunque, – scrive Carrasco - gruppi di persone arrivate dai luoghi più lontani gridavano e cantavano El pueblo unido jamas será vencido, altri applaudivano e cantavano canzoni di libertà e della resistenza italiana. Poi, nel buio dell’Arena, una luce, una sola luce, illumina Joan, la vedova di Victor Jara. Il poeta cantautore, l’undici settembre del 1973 era stato catturato e rinchiuso nello stadio Chile di Santiago. Rinchiuso e poi ucciso non prima di avergli tagliato le mani (mani con cui suonava la chitarra), in segno di spregio”.
Sulla scorta di momenti (di tappe) come questo, “Inti-illimani” (che ha anche una prefazione dell’ex presidente cileno Michelle Bachelet) si pone giocoforza come meta-testo: parla di musica per parlare anche (soprattutto?) di un passato prossimo portatore (sanissimo) di ideali: attraverso l’epoca e l’epopea inti-illimana si rivelano e si misurano infatti le luci e le ombre degli anni mirabili del pane e delle rose: cantautori, ideali, solidarietà di classe, fascismo, sogni, coraggio, morte, in altre parola la vita vera. Un libro da non perdere e non soltanto per i nostalgici di quegli anni (e quella musica) lì.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Inti-illimani. Storia e mito
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