Se non ne potete più del poliziesco scandinavo, dell’ultimo serial killer torturatore o degli autori votati a sterili esercizi di stile, se avete bisogno, insomma, del brusco risveglio che solo certa letteratura sa dare e siete convinti, con Kafka, che ogni libro vero è come un’ascia che rompe il mare ghiacciato dentro di noi, allora Jacques Chessex, se già non lo conoscete, è lo scrittore che stavate aspettando.
Vediamo perché.
Chi era Jacques Chessex, lo scrittore svizzero vincitore del Goncourt
Chessex, unico scrittore elvetico ad aver vinto il Premio Goncourt, nato a Payerne nel 1934, muore a settantacinque anni. Tra il 1999 e il 2007 ottiene tutti i riconoscimenti più prestigiosi, compresa la Legion d’Onore che la Francia gli assegna nel 2002, quando Chessex è ormai uno dei vertici della letteratura svizzera e uno dei massimi autori di lingua francese del Novecento.
Tra i romanzi, tradotti in italiano dall’editore Fazi, non saprei suggerirne uno dal quale incominciare o che sia superiore agli altri. Sono tutti di carne e sangue, parole dure e infuocate che ci accompagnano per le vie brevi verso un cuore di tenebra.
Un ebreo come esempio (Fazi, 2009), che si ispira a un fatto di cronaca, negli anni della Seconda guerra mondiale vede la gente del borgo di Payerne, dove nacque Chessex, aggirarsi per le strade in preda al malcontento perché l’economia è in declino, fabbriche e distillerie chiudono, la disoccupazione cresce. Di chi è la colpa? Dei massoni e degli ebrei, dicono le voci maligne che corrono da un angolo all’altro del borgo. In questo fiume malevolo e scuro naviga bene il pastore hitleriano Philippe Lugrin, che lancia il suo messaggio di odio ai cittadini: bisogna farla finita con il complotto ordito dagli ebrei con la complicità della finanza internazionale.
Le sue parole trovano terreno fertile nel cuore feroce e malato di Fernand Ischi, un giovane esaltato che ucciderà un commerciante di bestiame ebreo e farà scempio del cadavere.
Un ebreo come esempio
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Due anni prima Chessex aveva pubblicato Il vampiro di Ropraz, una storia vera di tombe di fanciulle profanate a Ropraz, “un paese di lupi e di abbandono” dove, nei primi anni del Novecento, i cadaveri inumati di alcune giovani vennero violati, vilipesi con il coltello e in parte cannibalizzati. L’orrore, la paura e i sospetti dilagano. Viene accusato un garzone di stalla di tutte le nefandezze, ma è davvero lui il colpevole?
Il vampiro di Ropraz
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E infine, in questo cammino a ritroso, ecco L’orco (Fazi, 2010, prefazione di Tommaso Pincio), con il quale Chessex vinse il Premio Goncourt nel 1973. Il protagonista, il professor Jean Calmet, in gran parte specchio dell’autore, convive con l’ingombrante memoria del padre morto, uomo di straripante vitalità e di incontenibile sessualità. La sua immagine debordante invade persino la tormentata storia d’amore fra il protagonista e Thèrèse. Il finale tragico è inevitabile ed è forse l’epilogo che Chessex seppe evitare nella realtà.
Alle spalle della trama di questo libro c’è il padre vero dello scrittore, un professore morto suicida dopo essere stato accusato di molestie sessuali.
L'orco
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Dunque Jacques Chessex è un autore duro e disturbante, uno scrittore che può non piacere ai suoi colleghi più esangui, ma che lascerà il segno nei lettori che cercano una voce incapace di distogliere lo sguardo dall’infamia e dal dolore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Jacques Chessex: un viaggio nel cuore di tenebra delle opere del premio Goncourt
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