L’Oriente: ecco “l’ingrediente magico” dei libri di successo. I conflitti etnici che affliggono i paesi orientali, dall’Afghanistan al Pakistan passando per l’Iran, magari qualche storia commovente sulle sofferenze di donne e bambini, meglio se violentati, sono argomenti graditi ai lettori occidentali.
Chi scrive libri sull’Oriente?
Tra i libri che trattano dei paesi orientali ci sono pagine bellissime di persone che hanno vissuto in prima persona ciò che scrivono: è il caso di Malala Joya con il suo romanzo autobiografico “Finché avrò voce” o di Khadra Yasmina con “Le sirene di Baghdad” e “Cosa sognano i lupi?”, ma… una giornalista inglese o americana che scrive di Pakistan o Afghanistan è davvero interessata alle sofferenze di donne e bambini così lontani dalle nostre esistenze super tecnologiche in cui non c’è tempo per parlare con il vicino, figuriamoci di occuparsi di vite tormentate lontane chilometri?
L’Oriente è un “evergreen”, un vero e proprio genere che incassa milioni di euro l’anno, il cui fondatore può essere rintracciato in Khaled Hosseini, scrittore “occidentale-orientale” (ormai più occidentale), capostipite di “una rivoluzione editoriale”, che ha esordito con “Il Cacciatore di aquiloni” (2004) e che almeno può vantare una penna invidiabile di una levità sorprendente, un indefesso impegno umanitario e origini afghane. E’ possibile comprendere, sulla base di questo ragionamento, quindi, anche “Tutto il mare tra di noi” (2013) di Dina Nayeri, autrice californiana di origine iraniana. Quando però a scrivere è Paolo Giordano, che apertamente dichiara di essersi servito del suo viaggio in Afghanistan per scrivere “Il corpo umano” (2012) per cui l’ispirazione tardava ad arrivare, qualche dubbio sulla reale genuinità dei sentimenti descritti è lecito. Non è l’unico occidentale ad interessarsi alle sofferenze del Medio Oriente: Giordano fa il paio con la giornalista inglese Deborah Ellis, autrice de “Il viaggio di Parvana”(2003) e “Città di fango” (2004) o con la giornalista italiana Viviana Mazza, autrice di “Storia di Malala”, che non possono vantare certo origini orientali. Poco male, anche questi autori sono comunque super reclamizzati dalle case editrici, perché se c’è l’oriente avrà successo.
Ad esempio, “E l’eco rispose”, ultimo romanzo di Hosseini, ad oggi ha già superato il mezzo milione di copie vendute.
Un dubbio sorge: riconosciuta l’indiscussa bravura dell’autore afghano-californiano, quanto business c’è dietro questi romanzi? Quanto sono scritti per assecondare l’inclinazione verso la facile indignazione (che poi solo “indignazione” rimane) del benpensante pubblico occidentale?
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’Oriente nei libri: un business?
Lascia il tuo commento