La Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges apparve per la prima volta nel 1941, come racconto pubblicato nella raccolta Il giardino dei sentieri che si biforcano. Oggi è uno degli scritti più rappresentativi della produzione narrativa dello scrittore argentino, contenuto nel suo libro-capolavoro Finzioni (1944).
La Biblioteca teorizzata da Borges è diventata nel tempo oggetto di indagine per scrittori, accademici, studiosi, teorici del libro, addirittura per matematici che provarono a replicarne la labirintica struttura numerica. La Biblioteca di Borges è considerata un vero e proprio rompicapo, sia dal punto di vista letterario che da quello spaziale-geometrico.
Servendosi dell’architettura astratta delle parole, Borges trasforma un luogo in linguaggio e il linguaggio in un luogo, analizzando di fatto il potere costruttivo e decostruttivo della scrittura.
La Biblioteca di Babele è una sorta di biblioverso costituito da sale esagonali e appare dotata di caratteristiche piuttosto singolari: innanzitutto esiste ab aeterno e poi è potenzialmente “interminabile”, come l’universo stesso.
L’autore ci dice nell’incipit del racconto che, secondo gli idealisti, la Biblioteca ha la forma dello “spazio assoluto”. Capiamo ben presto che il luogo dei libri teorizzato da Jorge Luis Borges ha la fisionomia articolata del mondo e l’uomo vi appare al centro come un “imperfetto bibliotecario”, incapace di conoscere e di comprenderne interamente il contenuto.
La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile.
La Biblioteca di Babele dunque rimane un mistero che neppure Borges pretende di rivelare. La conoscenza umana, va da sé, sarà sempre imperfetta, mancante, incompleta. Inoltre il protagonista del racconto di Borges è un uomo che, proprio come lo scrittore stesso, si sta avviando verso la cecità completa ed è dunque insidiato dalla più atroce delle minacce: non poter più conoscere il regno in cui vive, ma del resto l’ha mai davvero conosciuto? Questa la vera domanda che lo assilla. Le lettere dell’alfabeto sono solo venticinque, osserva il protagonista, eppure le loro combinazioni sono infinite: la vera congettura è la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Ora lui scrive lentamente con la mano “sgorbia” e tremante avvertendo tutta la distanza che c’è tra “il divino e l’umano”, ovvero tra la perfezione assoluta ed eterna di un universo ordinato e le sue imperfette e mortali creature.
In occasione della Giornata mondiale del Libro scopriamo tutti i segreti della Biblioteca di Babele creata da Borges.
La Biblioteca di Babele di Borges: un luogo simbolo del potere dei libri
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La Biblioteca narrata da Borges è diventata il luogo simbolo per indagare il significato dei libri e della scrittura. L’autore in questo breve racconto si interroga sul senso e il ruolo dei libri, sui labirinti di significato delle parole e sul potenziale semantico infinito intrinseco in ogni narrazione. La Biblioteca di Babele infatti contiene tutti i libri scritti dall’uomo e tutti quelli ancora da scrivere, è come se fosse l’epicentro di ogni narrazione:
Contiene tutto ciò che è dato esprimere, in tutte le lingue.
Il bibliotecario cieco di Borges osserva che non vi sono, nell’infinito spazio di questi scaffali esagonali, “due soli libri identici”, alcuni differiscono anche soltanto per una parola o per una virgola, eppure:
I libri non significano nulla di per sé.
Continuando la sua narrazione, Borges ci dice che al principio, quando gli uomini seppero che la Biblioteca di Babele conteneva tutti i libri possibili, erano ben contenti poiché pensavano che così “l’universo era giustificato” e a tutto vi era una risposta. Dunque gli uomini si inoltrarono nei fitti cubicoli della Biblioteca cercando la Verità; nel tentativo di trovarla morirono e si accapigliarono e si uccisero tra loro. Poi gli uomini iniziarono a scagliare i libri lontano ritenendoli inutili, all’epoca della speranza seguì l’epoca della depressione - e qui è come se Borges ci narrasse le diverse età della Storia, in cui a un’Età dell’Oro segue sempre un’epoca del caos fatta di epidemie, discordie, banditismi, guerre che hanno decimato la popolazione. Ciononostante gli uomini non smisero mai di credere che in un certo scaffale della Biblioteca esistesse un libro totale che racchiudesse e spiegasse tutti gli altri: lungamente i pellegrini si batterono e vagarono alla ricerca di quel libro. L’autore stesso, il bibliotecario cieco, racconta di essere stato impegnato in quella ricerca in età giovanile. Ma nessun uomo, in oltre migliaia d’anni, ha mai trovato il leggendario “Libro Totale”.
Gli uomini insomma cercavano il senso nei libri, ma vi trovarono il caos.
La Bíblioteca febbrile, i cui casuali volumi corrono il rischio incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una divinità in delirio.
Il pensiero del Bibliotecario dunque si arrovella sulle infinite possibilità del linguaggio sino a giungere al parossismo:
“Tu che mi leggi sei sicuro di comprendere la mia lingua?”
Parlare, conclude il saggio io narrante, è incorrere in tautologie, dunque giungere a definizioni illusorie, spesso fuorvianti. Il linguaggio non è conoscenza, così come i libri della grande Biblioteca in realtà non significano nulla di per sé. Eppure il bibliotecario cieco di Borges - infine appare chiaro che si tratta di un alter ego dello scrittore stesso, che era stato a sua volta direttore della biblioteca di Buenos Aires - scrive per distrarsi dalla tumultuosa e incostante “condizione presente degli uomini” smarriti nei labirinti della biblioteca. Il racconto si conclude con un presagio apocalittico: anche la specie umana un giorno si estinguerà, eppure la biblioteca continuerà a esistere con i suoi lunghi corridoi, le gallerie esagonali, i libri posati sugli scaffali, ciascuno al proprio posto.
La Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.
Solo nel finale l’io narrante aggiunge alla Biblioteca di Babele l’ultimo aggettivo che ne completa il significato: “è infinita”, illimitata, periodica. “Non è illogico pensare che il mondo sia infinito”, conclude Borges. Ed è proprio questa concezione a consolare il bibliotecario anziano, donandogli un’ultima speranza, mentre traccia parole illeggibili con la sua mano malferma, parole che presto non potrà nemmeno più leggere lui stesso perché davanti ai suoi occhi opachi danza ormai lo spettro dell’ombra.
Tramite la narrazione della Biblioteca di Babele, Jorge Luis Borges ha compiuto il proprio prodigio metafisico: trasformare il linguaggio in luogo, inserire in un libro l’infinità dell’universo e la sua caotica indecifrabilità. Attraverso l’immagine della Biblioteca mondo la mise en abyme è compiuta e, naturalmente per definizione, si ripete all’infinito.
La “Biblioteca di Babele”: il significato del racconto di Borges
Con il racconto de La Biblioteca di Babele, Borges ci ha messo nel mezzo di un segreto: non ci ha dato la chiave per risolverlo, eppure chissà perché, abbiamo l’impressione di aver compreso tutto il necessario.
Tramite la figura sibillina del suo bibliotecario cieco - colui che non vede ma sa, una sorta di moderno Omero - lo scrittore ci pone nel mezzo di una rivelazione: siamo noi lettori a dare un senso ai libri, poiché i libri di per sé sono lettere morte se nessuno si impegna a decifrarne i caratteri.
Quando ci dice quell’atroce frase che, per un attimo, ci fa vacillare:
“I libri non significano nulla di per sé”
Borges in realtà ci sta dando la chiave del segreto, ce la mette in pugno e ce ne fa stringere attorno le dita come se ci stesse consegnando un amuleto: siamo noi ad avere il potere, noi a dare un senso ai libri.
Nel finale l’io narrante ci annichilisce con la prospettiva - forse non poi molto lontana - di una biblioteca infinita che esiste senza uomini: dopo che quegli stessi uomini si sono battuti, accapigliati, per trovare il libro totale, per svelare la Verità somma, si scopre infine che non era affatto importante poiché la Biblioteca di Babele continuerà ad esistere “incorruttibile e segreta” al di là del tempo limitato dell’umano. Resta il fatto che gli uomini hanno avuto la potenzialità di leggere, di assaggiare almeno un poco e di godere di quella conoscenza infinita, e hanno sprecato il loro breve tempo nella ricerca di un tesoro che non c’è.
Nell’analisi di questo racconto iconico di Borges non possiamo prescindere dal contesto e dal periodo in cui è stato scritto: era il 1941, durante la Seconda guerra mondiale. La Biblioteca di Babele di Borges ha lo stesso valore artistico della Guernica di Pablo Picasso: un’opera artistica che non cessa mai di interrogarci con la sua complessità, la guardiamo e riguardiamo, non smettiamo di indagarla alla ricerca di un significato che ci sfugge. Le interpretazioni della Biblioteca di Babele sono infinite, cambiano a ogni lettura e ogni volta ci rivelano qualcosa di nuovo, proprio come le narrazioni plurime offerte dall’immensa rappresentazione di Guernica.
Jorge Luis Borges era, dopotutto, un uomo del suo tempo: stava vivendo l’Era del Caos, vedeva l’ombra incombere nello spettro della guerra e, con un racconto soltanto in apparenza immaginifico, ci svelava l’infinità vanità del tutto tramite una biblioteca labirinto, inconoscibile e segreta. Per questo motivo la Biblioteca di Babele di Borges non cessa mai di parlare al presente, perché ci racconta il mondo come è e come sempre sarà: un infinito universo imperscrutabile che è sempre esistito e continuerà a esistere anche dopo di noi. Di recente l’immensa biblioteca borgesiana è stata oggetto di ricostruzioni digitali che cercano di replicarne la struttura.
Chi legge tuttavia sa che non è l’architettura esagonale il vero mistero della biblioteca.
A lettura conclusa si ha l’impressione che il bibliotecario cieco, nella sua limitatezza, abbia colto quel nocciolo di verità che gli uomini cercavano invano nel Libro Totale: lo ha fatto scrivendo un nuovo libro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La “Biblioteca di Babele” di Borges: il racconto sul significato dei libri
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