Laura Caputo ha costruito un romanzo che sembra un réportage dal ventre della camorra, con uno stile asciutto e mai compiaciuto dal titolo "Il Castello di San Michele" (Leucotea, 2012).
Laura Caputo sarà a Roma, alla Casa delle Donne, per l’incontro Parole e Azioni di Donne contro le Mafie in cui sarà presentato il suo e altri libri di autrici di Donne Contro. L’incontro, organizzato da NOIDONNE e Noi Rete Donne nell’ambito del ciclo ‘Corruzione e illegalità. Il NO delle donne’, si terrà mercoledì 6 novembre 2013 alle ore 16,00 Via di S. Pantaleo, 66.
Il libro
La protagonista e io narrante della storia è una giornalista che vive in Francia, decisa a scrivere la biografia di un famoso camorrista in carcere da trent’anni, di cui si dice solo l’iniziale del nome, L, e tanto basta per incutere timore ad un’intera regione, oltre che al suo paese di origine, Settimiano, a solo pochi chilometri da Napoli, ma come se si trovasse in un diverso emisfero.
La donna ha costruito un rapporto epistolare con l’ergastolano che, malgrado si trovi confinato nel regime più severo, il famigerato 41bis, ha continui rapporti con l’esterno: con il pubblico ministero, con gli avvocati, con sua moglie e ora con la stessa giornalista che coraggiosamente e un po’ ingenuamente decide che per la completezza del quadro di riferimento abiterà nel paese, ne conoscerà gli abitanti, i congiunti del boss. Comincerà proprio da donna Maria, la giovane moglie che vive confinata in una villa lussuosa e pacchiana insieme ad una nipote-domestica, Costanza; le due donne saranno le prime ad accogliere la straniera, attesa e apparentemente bene accetta, perché così ha imposto l’invisibile padrone. Scriverà finalmente la verità su L, buono, generoso con tutti, un Robin Hood campano, le cui gesta sono ormai una leggenda anche se l’uomo è entrato in carcere molto presto, il più giovane ergastolano italiano, un record!
La ricostruzione degli ambienti della camorra è davvero efficace: l’autrice riesce a calarsi fin dentro i meandri di una sorta di labirintico mondo dove nessuno si fida di nessuno, tutti sono potenziali nemici pronti ad uccidere, non c’è sicurezza di affetti né di parentela, tradimento e vendetta sono in agguato fra le stesse forze dell’ordine, fra gli avvocati e nella stessa procura di Salerno, dove vivono blindati e sotto scorta i magistrati incaricati delle delicatissime inchieste. Il centro del romanzo verte sulla possibilità che il boss, stanco e invecchiato, decida, spinto anche dalla fiducia nella giornalista onesta e pacata, di pentirsi divenendo collaboratore di giustizia, dunque un aiuto per lo Stato, ma un “infame” per i suoi più stretti amici e parenti, a cominciar dalla moglie.
Laura Caputo ha saputo raccontare cosa vuol dire oggi il pentitismo. Dopo la morte di Falcone e Borsellino, dopo che i fatti veri di cronaca ci raccontano il pericolo che minaccia le famiglie dei pentiti e loro stessi, dopo che lo Stato non è più in grado di proteggere neppure i suoi più fidati “soldati” (così si definisce il giudice Martinez, l’unico vero alleato della narratrice), la storia del rapporto fra L e la giornalista acquista i toni della disfatta, che per poco non diventa tragedia.
Malgrado il finale negativo che la Caputo ha voluto porre a suggello della sua interpretazione della situazione in cui oggi versa la lotta alla camorra, il libro offre spunti molto istruttivi su un mondo che altri autori hanno affrontato, cominciando dall’ormai celebre Roberto Saviano (Gomorra, Mondadori), dal giudice Raffaele Cantone (Solo per giustizia, Mondadori) o ancora dall’avvocato dei pentiti Arturo Buongiovanni (Intendo rispondere, Donzelli).
La giornalista visita la casa della moglie del boss, mangia con lei, ne ascolta le fantasie e le aspirazioni, ne studia i comportamenti “mafiosi”: lei è moglie, figlia e sorella di camorristi, ha succhiato quella logica malavitosa dall’infanzia e tutti i suoi riferimenti culturali ruotano attorno a quelle logiche spaventose. Lo stesso avviene in tutto l’ambiente circostante, come se una cintura invisibile ma pervasiva di omertà e di consuetudine all’illegalità aleggiasse su tutto e tutti. L’ospitalità partenopea, caffè, cornetti, sfogliatelle, fritturine croccanti, spaghetti con pomodorini e basilico profumato non riescono a sopprimere il fetore dei rifiuti abbandonati a marcire, come sono marce le coscienze di tutti, anche i più giovani, vestiti da guappi di provincia ma convinti di obbedire agli ordini invisibili del capo, che dal lontano carcere invia i suoi input, i suoi telegrammi cifrati, le sue lettere e le poesie d’amore alla moglie: il carcere, dopo trenta anni, non ha avuto ragione della sua anima, sembra concludere l’autrice, con le parole della giornalista, costretta a tornarsene “al nord”.
“Fino a ieri per me la camorra era solo una delle tante parole che si usano a vanvera quando si fa giudiziaria al nord. Voglio vederla, toccarla: se ha un senso, voglio capirlo.”
Malgrado le forti motivazioni e le buone intenzioni, la giornalista non riuscirà a portare a termine ciò che si era prefissa. Gli ostacoli saranno insormontabili, la consapevolezza di essere stata solo un’ingenua, usata da tutti, sarà frustrante e umiliante. Uno dei personaggi, un anziano maestro che sembrava aver offerto amicizia alla narratrice, zi’ Mario, prima di salutarla si esibirà in una descrizione di stampo verghiano: come nella celebre novella “Fantasticheria”, in cui i pescatori di Aci Trezza vengono paragonati dall’autore catanese a formiche che verranno spazzate via dall’ombrellino della donna venuta dal Nord, così anche gli abitanti di Settimiano sono raccontati
"...come formiche che camminano una dietro l’altra. Ogni tanto qualcuno dà una pedata e si compiace perché vede che corriamo in giro come dei pazzi. Allora, soddisfatto, se ne va. Invece, se restasse, si accorgerebbe che, appena ci siamo riavuti dallo stupore... torniamo a fare le stesse strade di prima, come se la pedata non fosse mai esistita.”
Libri come questo aiutano a capire, emozionano, scandalizzano, sono un forte strumento educativo. Non ci sono solo le donne dei boss, anche se la strada è lunga: le donne sindaco della Locride, le donne pentite che hanno pagato con la vita come Lea Mattarella, Rosaria Capacchione del Mattino e anche questo libro, che ha per protagonista una donna e da una donna è stato scritto, sono esempi che ci fanno ben sperare.
Di seguito il booktrailer con una presentazione del libro direttamente con le parole della scrittrice:
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La camorra raccontata nel romanzo di Laura Caputo
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