La festa delle maschere
- Autore: Sami Tchak
Sami Tchak, nato in Togo, è uno dei pochi scrittori capaci di darci un’attrazione, un’affinità al sentimento dell’Africa.
Nei suoi momenti più fantastici e impossibili mi ricorda un altro scrittore afro, il sudafricano K. Sello Duiker, autore del commovente "Tredici centesimi" e morto all’età di trentun anni.
Entrambi ci descrivono frustrazioni umane collegandole ad una realtà particolare ma soprattutto sconosciuta: l’Africa.
La storia racchiusa ne "La festa delle maschere" (Morellini, 2005) è bella, originale la sua scrittura.
Certi richiami a Pasolini ci conducono al legame forte e imprescindibile fra carnefice-vittima e fra potere-cittadini.
Il potere ha un suo splendore, una sua luce epica, può creare tanta ammirazione e perfino una sindrome di Stoccolma alle sue vittime.
Dietro agli avvenimenti, fintamente drammatici, oltre a personaggi bizzarri e strani, c’è la storia dell’Africa intera, con lutti, disgrazie, disfacimenti, le nazioni e popoli africani cercano di avanzare.
Gli sbandamenti culturali, prevalentemente di importazioni, sono il contraltare ad antiche tradizioni culturale, in maggioranza orali.
Ora Carlos, Carla, Antonio, il capitano Gustavo, i caratteri del libro, sono perversi, degenerati come il loro potere stravagante e arcaico: “
Tutto è nato da lì, da quel giorno in cui il ministro ha mangiato quello scarafaggio grande e grosso.” (Pag. 39)
“Quel-Che-Ci-Fa-Da-Paese” è una nazione africana come tante. La speranza è sopravvivere. Anche Carla e Carlos hanno questa illusione. La prima muore per il troppo desiderio di essere donna e di essere amata, mentre Carlos rappresenta con la sua morte l’arcaicità di una giustizia apparentemente violenta. D’altronde in quella nazione:
“I cadaveri non impressionavano più nessuno in quella città.” (Pag. 60)
Il finale sono orge di sesso e di potere, confusione di ruoli, disfacimenti familiari, relazioni attonite, il mondo africano soffre. Pensare di travestirsi da donna e corteggiare un potentato militare è un atto di finta utopia, è un’accettazione impossibile di un mondo alla rovescia.
Sami Tchak utilizza la parola senza le stesse perversioni del racconto: sa essere lineare e lirico, entra nel suono di un mondo diverso e riesce ad afferrarlo con passione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La festa delle maschere
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