Secondo i dati ISTAT in Italia rispetto alla media europea abbiamo pochi laureati, che non sempre riescono a trovare un lavoro nelle loro discipline, ma esiste addirittura anche la cosiddetta disoccupazione intellettuale (laureati senza alcun lavoro). Secondo gli esperti un maggior tasso di scolarizzazione avrebbe delle ricadute positive nell’economia e anche nella civiltà di un Paese, ma se un tempo i governi combattevano l’analfabetismo oggi il problema è l’analfabetismo di ritorno: significa che qualche passo in avanti è stato fatto. È vero che abbiamo perso qualcosa per strada: decenni fa c’era meno scolarizzazione, ma c’erano anche contadini che sapevano a memoria tutte le poesie di Dante e conoscevano piante e fiori come un professore di botanica. Erano rari ma esistevano. Un tempo inoltre la scuola era più severa, più selettiva ed è per adesso motivo che alcuni si lamentano dell’università di massa attuale.
La laurea oggi nel mondo del lavoro
La laurea serve? Ancora oggi molti genitori vogliono il figlio dottore e lo considerano il coronamento di un sogno, ma oggi avere un titolo di studio conta molto meno per trovare un lavoro. Anche se per fare un concorso di Stato la selezione avviene tramite il titolo di studio, è altrettanto vero che nel mondo privato è meglio acquisire una certa esperienza in un settore.
La laurea decenni fa era quasi un punto di arrivo, un grande lasciapassare che apriva molte porte; oggi solo le lauree scientifiche sono richieste dal mercato del lavoro. Ci sono ancora troppi laureati in discipline umanistiche e troppo pochi in discipline scientifiche.
Le scuole medie inferiori e le scuole medie superiori sono ancora oggi prevalentemente umanistiche: per diplomarsi ragionieri o periti bisogna avere una certa infarinatura letteraria. Nei licei scientifici ci sono molte ore di materie umanistiche (storia, filosofia, italiano, latino, storia dell’arte), mentre spesso i laboratori di fisica, chimica, scienze lasciano molto a desiderare. È un bene o un male?
Se i governi italiani valorizzassero il patrimonio artistico e la cultura italiana gli italiani potrebbero vivere di turismo culturale; moltissimi umanisti avrebbero un lavoro decente. Però questo in realtà non avviene e perciò siamo punto e a capo.
Il ruolo della formazione
Il problema principale riguarda la formazione. Secondo molti la scuola deve imparare a imparare, deve fornire il metodo di studio per imparare. Secondo questa scuola di pensiero la formazione e la crescita professionale dovrebbero essere continue, durare tutta la vita. Anche perché, se in una scuola superiore dovessero insegnare le competenze tecniche per le professioni più richieste sul mercato in quel periodo, nel giro di un decennio quelle conoscenze sarebbero obsolete. Alcuni esperti dichiarano che gli studenti di oggi andranno a fare lavori in futuro che oggi non esistono.
Ci sono altri esperti che sostengono che la scuola italiana sia invece troppo teorica, troppo nozionistica, mentre invece dovrebbe insegnare dei mestieri ai ragazzi. Il fatto è che ancora oggi i licei sono tutti sovraffollati, mentre sono poco appetibili le scuole professionali. Ma in futuro mancheranno proprio i tecnici, quelli che il giornalista Giorgio Bocca chiamava "gli omini", insomma gli smanettoni, le persone pratiche, che riparano i guasti tecnici e informatici non avendo magari il famigerato pezzo di carta, ma esperienza da vendere.
La laurea riesce a fornire un corpo di conoscenze organico, che però deve essere aggiornato, ed è un certificato che garantisce che la persona in questione è stata esaminata e ha passato degli esami. A parità di esperienza e capacità la laurea può avvantaggiare una persona. Visto e considerato che il titolo di studio è una discriminante nel mondo del lavoro, ci sono individui "arrivati" e non laureati che hanno dei pregiudizi nei confronti di chi ha studiato e viceversa. Alcuni dicono di questa o quella persona che ha bruciato la sua laurea, nel senso che non l’ha saputa far fruttare perché è sottoccupata oppure disoccupata.
Il mondo del lavoro in Italia
Il mondo del lavoro italiano è fatto soprattutto da piccoli imprenditori, artigiani e commercianti che non sono laureati e che talvolta scartano a priori un candidato laureato perché troppo astruso, poco pratico, inesperto in quel lavoro, troppo pretenzioso e problematico. Ci sono laureati che si sentono incompresi e datori di lavoro senza titolo di studio che danno addosso ai laureati disoccupati. Ci sono datori di lavoro che sostengono che i laureati hanno troppe pretese e non si vogliono sporcare le mani, mentre alcuni laureati dichiarano che certe aziende non assumono chi è dottore per lavori da operaio. Insomma ci sono scambi di accuse e conflittualità, ma alla fine il risultato è che domanda e offerta non si incontrano.
In realtà è una concezione datata e antiquata quella che contrappone lavori da laureati e lavori da non laureati: ci sono alcuni operai specializzati che fanno lavori di concetto più impegnativi intellettualmente degli impiegati. C’è chi dice che circa 300’000 persone in Italia hanno una laurea inutile, ma c’è anche chi sostiene che nessuna laurea è inutile.
Viene però da chiedersi se la laurea debba per forza avere una qualche utilità pratica. Così come viene da interrogarsi se sia meglio inseguire la propria vocazione, i propri interessi e la propria attitudine laureandosi in una disciplina umanistica oppure costringersi a studiare una materia scientifica per avere un miglior futuro professionale, snaturandosi per tutta la vita.
L’affermazione culturale
Infine per affermarsi culturalmente c’è bisogno della laurea? Non è assolutamente detto. C’è bisogno di una formazione umanistica, indipendentemente dalle scuole frequentate. Ci sono stati premi Nobel della letteratura autodidatti come la Deledda, Quasimodo, Montale, Dario Fo. Anche un grande critico d’arte come Philippe Daverio non era laureato, ma insegnava all’università grazie ai libri pubblicati con grandi case editrici e in riviste importanti accademiche.
Oggi se uno vuole acculturarsi può farlo in modo molto economico senza frequentare l’università. Infatti oggi c’è una grande fruizione culturale. In tutta Italia è gratuito ed efficiente il prestito interbibliotecario gratuito ed esistono molte edizioni economiche dei capolavori. Non solo: tramite Internet la cultura è molto più diffusa socialmente e le conoscenze vengono trasmesse più facilmente. È quindi più facile ricevere degli input culturali, interiorizzare l’abc di una disciplina.
Ma questo non significa che tutti gli scriventi debbano considerarsi scrittori o che tutti i lettori forti debbano considerarsi critici letterari. Se è vero che ci sono autodidatti con talento, senso critico e senso estetico, è altrettanto vero che ci sono degli step, degli ostacoli da superare in virtù delle competenze e delle capacità. Un autodidatta che si rispetti studia per tutta la vita la materia di cui è appassionato e quindi può diventare un vero e proprio cultore della materia. Un autodidatta può avere più lacune, essere più disordinato, ma può trovare un suo filone, può trovare nuovi collegamenti tra le cose e risultare più originale. Il problema degli autodidatti è che non vengono controllati a sufficienza, nel senso che nessuno li esamina. Un tempo gli autodidatti erano più isolati, più lasciati a sé stessi. Oggi tutti siamo connessi con chiunque e da questo punto di vista nessuno è più chiuso, solo. Oggi basta connettersi a Internet, visitare i siti letterari giusti per farsi una gita a Chiasso e non essere provinciali, come consigliava tempo fa Arbasino.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La laurea serve? Il mondo del lavoro e l’affermazione culturale in Italia
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