Ovvero: se io fossi il ministro dell’istruzione raddoppierei lo stipendio agli insegnanti (e altri rimedi meno piacevoli)
Claudio Cremaschi è un uomo di scuola sotto ogni punto di vista. Lo è stato come studente – e prima ancora come figlio di insegnanti -, professore, preside e sindacalista: ha conosciuto la scuola in tutti i suoi aspetti e ha sicuramente trascorso buona parte della sua vita tra l’odore del gesso e il suono della campanella.
È quanto mai importante tenere presente il suo curriculum mentre si legge il saggio “Malascuola” perché sono ormai tanti, decisamente troppi i tuttologi e gli esperti che dissertano dei problemi della scuola pubblica e si permettono di valutare le soluzioni proposte alla luce della loro esperienza che molte volte risale all’anno del Diploma di Maturità.
Cremaschi parla con competenza e approfondita conoscenza di un mondo per il quale nutre un grande amore che pure non lo rende cieco né tanto meno tollerante verso le gravi mancanze che da anni stanno facendo inabissare il nostro sistema scolastico.
Con uno stile “politicamente scorretto”, chiama per nome le cause di questa deriva dell’istruzione, attingendo a piene mani dalla sua lunga esperienza, ma confrontandosi anche costantemente con i dati e gli esiti di ricerche condotte in Italia e in Europa.
Il risultato è un saggio che si legge con la piacevolezza di un romanzo, che alterna aneddoti divertenti a descrizioni scioccanti di una realtà che abbiamo finito con l’accettare per inedia, ma che ancora potrebbe essere cambiata. E le soluzioni – radicali, rivoluzionarie, ma al contempo semplici e di un buon senso disarmante – sono illustrate e motivate in ogni capitolo. Basti pensare alla proposta dell’autore di introdurre la settimana corta di cinque giorni e l’anno scolastico lungo di quaranta settimane (in linea con la media dei paesi europei): due innovazioni che fanno della logica e del buon senso i propri porta-bandiera e che potrebbero essere realizzate facilmente, apportando in breve tempo molti benefici.
“Malascuola” è sicuramente un libro da leggere, da discutere, da far circolare, ma assolutamente non da far impolverare su uno scaffale per non continuare ad essere complici del silenzio che uccide il sistema scolastico.
L’epilogo del libro, in cui l’autore immagina come il suo progetto verrebbe accolto dal mondo politico, ma anche da quello scolastico, ci regala un’ultima risata che ha purtroppo il gusto amaro di chi sa che, in Italia, è molto più facile discutere ed infiammarsi per un’idea che metterla in pratica.
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