Cesare Cantù è uno scrittore ragguardevole nel panorama Italiano dell’Ottocento: a lui dobbiamo, infatti, Margherita Pusterla, un romanzo storico che ancora oggi riesce a suscitare il nostro interesse. Nato a Brivio nel 1804, oltre a questo romanzo Cantù scrive numerose opere soprattutto di carattere storico. Accusato di aver partecipato alla Giovane Italia, nonché a un programma di riforme politiche e sociali, si guadagna diversi mesi di carcere e proprio durante questa circostanza, tra mille disagi, inizia a scrivere Margherita Pusterla.
Per capire l’importanza di Cantù dobbiamo inquadrarlo in un preciso contesto. L’Ottocento, infatti, è il secolo dove il romanzo storico trova la sua completa fioritura. Sebbene, difatti, opere di fantasia ambientate in epoche del passato fossero apparse anche precedentemente, solo durante l’Ottocento questa tipologia di narrazione acquista una precisa specificità e una precisa collocazione nel panorama letterario. Walter Scott è riconosciuto come il precursore del genere, con Waverley e le opere successive. Da Walter Scott, per tornare in Italia, il discorso scivola ovviamente su Alessandro Manzoni, autore di uno dei romanzi storici più famosi di tutti i tempi, I Promessi Sposi.
Eppure lo stesso Manzoni, nel trattato Del romanzo storico, arriva ad ammettere che questo genere letterario presenta più di un’insidia, vista la difficoltà di trovare un soddisfacente equilibrio tra la narrazione dei fatti realmente accaduti e quella necessaria dose di invenzione che in ogni caso risulta necessaria. Il discorso autocritico di Manzoni parte da alcune osservazioni da parte di Goethe, che pur apprezzando l’opera del collega e riconoscendone la valenza poetica, nota come in alcune parti dei Promessi Sposi - ad esempio dove si rievoca il flagello della peste – lo scrittore italiano si comporti più da scrupoloso storico che da vero romanziere.
Quindi il Romanzo storico si presenta come un genere non facile da maneggiare; al di là della cura con cui si decide di affrontarlo.
Cesare Cantù, che certo non può ignorare queste difficoltà, decide comunque di scrivere un’opera che ha l’intenzione di ricreare, attraverso l’immaginazione, un’atroce vicenda realmente accaduta.
La storia vede protagonista Margherita Visconti, una nobile vissuta nel 1300, tanto bella quanto sfortunata. Sposata con Franciscolo Pusterla, anch’egli membro di un’importante famiglia, viene però corteggiata insistentemente da Luchino Visconti, ricco e arrogante signorotto (nonché suo cugino) che le farà pagare a caro prezzo la sua onestà. Margherita lo respinge e Luchino decide così di rovinare la vita della donna e quella dei suoi famigliari. Prima imprigiona lei, poi riesce a mettere le mani anche su Franciscolo e sul figlio Venturino, che nel frattempo sono scappati in Francia. Segregati dentro prigioni diverse, con la scusa di una congiura che in realtà ha poca o nulla consistenza, verranno condannati a morte e giustiziati senza alcuna pietà.
Intorno all’ossatura di questa tragica vicenda, Cantù riesce a intrecciare le storie di altri personaggi i cui destini ruotano intorno a quello di Margherita Pusterla, ad esempio fra Buonvicino, uomo dalla grande fede, che ancor giovane perde la testa per lei, fino a dichiararle il suo amore sebbene lei sia già ufficialmente sposata con Franciscolo. Dopo il rifiuto di Margherita, che lo respinge con grazia, Buonvicino decide di dedicare la sua esistenza al Signore, diventando un esempio di carità e di dedizione agli altri. Sarà proprio lui ad assistere Margherita nei giorni precedenti alla sua esecuzione, chiedendole ancora perdono per lo sbaglio commesso in passato. Poi c’è la storia di Ramengo, bieco personaggio al servizio di Luchino. Costui si convince, a torto, che sua moglie Rosalia abbia perso la testa per Franciscolo. Pazzo di gelosia, mette in piedi uno scellerato piano, e decide di uccidere lei e il figlio Alpinolo abbandonandoli su una barca, dove si salveranno per miracolo, anche se la donna morirà dopo pochi giorni. Alpinolo, invece, una volta cresciuto, diventerà fedele scudiero di Franciscolo e devoto servitore di Margherita. Ramengo inseguirà suo figlio inutilmente, rimpiangendo che sia passato sul fronte dei nemici. In ultimo, cercherà di salvare Alpinolo proprio quando costui sta per essere giustiziato dopo aver tentato di far evadere Margherita e i suoi cari dal carcere. Riconosciuto Ramengo come padre, Alpinolo preferirà affrontare la morte piuttosto che abbracciare quell’uomo malvagio.
L’opera di Cantù è intrisa di un potente pessimismo: non c’è scampo per nessuno, né per i buoni né per i cattivi. Il destino di Margherita è senza pietà e davvero non esiste nessuna consolazione, per questa donna, che non si collochi nelle speranze offerte dalla religione cristiana. La donna è insinuata da tutte le parti per la sua bellezza, tradita persino dal marito che non rinuncia ad altre conquiste femminili, confinata in un carcere durissimo, senza nessuna figura amica a consolarla, almeno fino all’arrivo di Buonvicino.
Quello che descrive lo scrittore è un mondo pieno di brutalità:
- dove i "buoni" sono costretti a soccombere alla tirannia del prepotente di turno;
- dove la giustizia è sommaria e per niente efficiente;
- dove il popolo tutto è pronto a giudicare i condannati senza conoscere nell’esattezza la realtà dei fatti.
Eppure, anche i disonesti non se la passano molto bene: Ramengo si punisce da solo allontanando da sé il figlio tanto agognato, mentre Luchino prospera e detta legge in vita, ma morirà avvelenato mentre il popolo festeggia la sua definitiva dipartita.
I personaggi di Cantù sono spesso privi di un’autentica profondità psicologica - sono caratterizzati sovente da pochi tratti immutabili. Luchino e Ramengo, ad esempio, sono i cattivi per antonomasia, mentre Margherita è una figura tanto angelica da risultare spesso poco credibile. Tuttavia, non mancano anche degli approfondimenti più realistici; ad esempio Franciscolo è un uomo dai buoni sentimenti ma tradisce sua moglie; oppure più complesso e sfaccettato appare il personaggio di Alpinolo, giovane virtuoso ma con delle debolezze, tormentato dalla solitudine per la mancanza di un padre e una madre a cui fare riferimento.
È stata notata la somiglianza del romanzo di Cantù coi Promessi Sposi e in effetti le somiglianze sono parecchie. Luchino ad esempio può essere paragonato a Don Rodrigo ed esattamente come lui decide per capriccio di spezzare il legame d’amore tra un uomo e una donna. Margherita può essere accostata facilmente a Lucia, come figura semplice e incorruttibile. È facile vedere in Buonvicino una sorte di padre Cristoforo; come lui in passato ha commesso un errore (sebbene decisamente meno grave di un omicidio) e adesso vuole espiare aiutando gli altri in tutti i modi possibili.
Come nei Promessi Sposi, anche qui la fede cristiana diviene spesso l’ultimo appiglio a cui i personaggi possono aggrapparsi per trovare una speranza e per tentare di riconciliarsi con il mondo. Tuttavia, proprio perché Cantù decide di rimanere fedele a una vicenda realmente accaduta, nel complesso Margherita Pusterla risulta un’opera più pessimista rispetto a quella di Manzoni, se non altro per il mancato lieto fine. La fede per Margherita è l’ultimo baluardo contro la crudeltà che la circonda, ma non la salva dall’andare incontro a una sorte tra le più amare che si possano immaginare. La sua storia, così impressionante, ha dato persino avvio a delle leggende, che sopravvivono ancora oggi. Si dice, infatti, che intorno al castello di Invorio, in provincia di Novara, vagherebbe ancora il fantasma della bella Margherita.
Insomma, la tragica vicenda di questa donna, a distanza di secoli, trova tutt’oggi un’eco, debole ma persistente e anche grazie a Cesare Cantù non verrà dimenticata.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Margherita Pusterla: il romanzo storico di Cesare Cantù
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