Mi chiamavano piccolo fallimento
- Autore: Gary Shteyngart
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2014
Spesso ci si trova a leggere un autore sconosciuto, di cui magari ci è giunta notizia solo tramite un trafiletto letto velocemente su una rivista di settore, che però ci stupisce a tal punto da chiederci come mai non lo avevamo conosciuto prima. Di conseguenza, facciamo subito una ricerca sul suo conto: chi è? Da dove proviene ? Cosa ha già pubblicato? Perché?
A voi di seguito tutte le risposte.
Si chiama Gary Shteyngart (nome d’origine: Igor Shteyngart poi americanizzato in Gary), è nato a San Pietroburgo nel 1972 e successivamente si è trasferito a New York con la famiglia nel 1979. Ha esordito negli Stati Uniti nel 2002 con il romanzo “Il manuale del debuttante russo” (Mondadori, 2003), per poi pubblicare con successo “Absurdistan” (Guanda, 2007), “Storia d’amore vera e supertriste” (Guanda, 2011) ed infine “Mi chiamavano piccolo fallimento” (Guanda, 2014). E’ stato segnalato dal New Yorker come uno dei migliori autori americani under 40.
Come lo stesso autore ha tenuto a precisare, quest’ultimo suo ultimo romanzo racchiude una serie di autobiografie già parzialmente pubblicate in Italia e all’estero, come a chiudere un cerchio e a raggiungere la completezza dei fatti. In esso Shteyngart si racconta con una spiazzante ironia, ma anche con tenerezza e autocritica: dalla sua infanzia trascorsa con il padre a far volare un aeroplanino in piazza Mosca (rischiando tutte le volte di avere acuti attacchi di asma), ai momenti di infinito amore trascorsi sul “divano della cultura” con nonna Poljia; dall’arrivo a New York (“siamo sbarcati in un film in tecno-color”), all’esperienza scolastica (una scuola ebraica prima ed un college universitario alquanto stravagante poi); fino al ritorno in Russia con i genitori e la tanto attesa pubblicazione del suo primo romanzo.
Il filo conduttore di tutto il romanzo è la sua famiglia: una luce costantemente accesa durante la sua infanzia, durante il buio dello sradicamento dalla Russia e durante la numerosa catena di insuccessi e di ultimi faticosi successi. Un confronto tra le tradizioni ancestrali di famiglia e quelle incomprensibili del mondo occidentale, un ostacolo linguistico che con orgoglio si cerca ogni giorno di superare, la condizione di povertà nella quale si ritrovano ancora oggi innumerevoli immigrati.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è lo humor con cui l’autore descrive anche le situazioni più tragiche o comunque più difficili, dovute indubbiamente ai suoi problemi di salute (asma) e alla complessità di inserirsi in una società basata sul consumismo completamente all’opposto di quella sovietica pre-caduta del muro di Berlino. Qualche esempio? Il piccolo protagonista viene ribattezzato con affetto “moccioso” dal padre, ma anche “failurscka” termine inventato dalla madre che risulta essere un mix tra inglese (failure) e vezzeggiativo russo. Ma non è finita qui! Viene bollato dagli insegnanti di scuola americani “fetido orso russo” a causa dell’immancabile e unico cappotto con pelliccia russa e poi “Gnu” (autore della Gnorah - un’irriverente parodia della Torah) e “scary Gary” dai compagni universitari.
Igor/Gary farà di tutto (ma proprio di tutto!) per capire chi realmente è e ciò che profondamente desidera diventare, soddisfacendo almeno parzialmente le attese ed i sacrifici dei suoi adorati Mama e Papa che lo avrebbero voluto avvocato.
La scrittura, oltre ad essere divertente, è provocante, indiscreta, sfacciata e crea un ponte alquanto insolito tra San Pietroburgo e New York.
Il piccolo fallimento non c’è, tutt’altro: si tratta di un’avvincente storia di successo e di riscatto sociale!
Mi chiamavano piccolo fallimento
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