Jacopone da Todi (1236-1306) è la personalità più insigne della poesia umbra insieme a san Francesco. La sua “O iubelo de core” è una lauda ascetica volta a rappresentare l’esperienza mistica in tutta la sua pienezza. Sul piano formale fa da contrappunto il controllo dell’espressione metrica perché questa lauda non è affatto la trascrizione spontanea di uno slancio interiore.
Vediamone testo e parafrasi strofa per strofa.
“O iubelo de core”: testo e parafrasi
O iubelo de core,
che fai cantar d’amore!
Parafrasi: O gioia mistica che mi spingi a cantare per amore!
Quanno iubel se scalda,
sì fa l’omo cantare,
e la lengua barbaglia
e non sa que se parlare;
drento no ‘l pò celare,
(tant’è granne!) el dolzore.
Parafrasi: Quando la gioia si infiamma, fa cantare davvero chi la prova; e la lingua balbetta e non sa che dire: non può nascondere all’interno questa dolcezza, tanto è grande!
Quanno iubel è acceso,
sì fa l’omo clamare;
lo cor d’amor è appreso,
che nol pò comportare:
stridenno el fa gridare,
e non virgogna allore.
Parafrasi: Quando c’è la gioia mistica, chi la prova grida; il cuore è così infiammato che non può contenerla; lo fa gridare senza vergogna.
Quanno iubelo ha preso
lo core ennamorato,
la gente l’a ’n deriso,
pensanno el suo parlato,
parlanno esmesurato
de que sente calore.
Parafrasi: Quando la gioia mistica ha conquistato il cuore, la gente lo sbeffeggia osservando quello che dice, dato che parla senza misura di ciò di cui sente il calore.
O iubel, dolce gaudio
ch’è’ drento ne la mente!
Lo cor deventa savio
celar so convenente;
non pò esser soffrente
che non faccia clamore.
Parafrasi: O gioia, dolce piacere che sei dentro la mente! Il cuore diventerebbe saggio nascondendo il suo status, invece non può sopportare di non gridare.
Chi non à costumanza
te reputa empazzito,
vedenno esvalïanza
com’om ch’è desvanito.
Dentr’a lo cor firito,
non se sente de fore.
Parafrasi: Chi non ne fa esperienza, pensa che tu sia impazzito vedendoti fuori di sé. Chi (prova la gioia mistica) non si accorge di quanto accade all’esterno.
“O iubelo de core”: metrica e figure retoriche
“O iubelo de core” è una ballata sacra formata da sestine di settenari rimati o in assonanza con schema ababbx, introdotti dal dittico con rima xx, che funge da refrain. È proprio il settenario – il verso incalzante del “Cinque maggio” di Alessandro Manzoni - a dare energia all’insieme. L’origine della ballata è incerta, secondo alcuni risalirebbe a un componimento arabo, lo zagial o zajel. A riguardo la Treccani scrive:
Lo zagial è un tipo di componimento della lirica araba, in arabo-andaluso volgare, che presenta un numero variabile di stanze uguali e regolari precedute da una stanza introduttiva più breve, detta markaz, con chiara funzione di ritornello; lo schema metrico fondamentale dello zagial (aaaz az, bbbz bz ecc.), insieme con altre forme più complesse, si trova nel canzoniere del poeta arabo-andaluso Ibn Quzmān.
Considerata marginale rispetto a canzone e sonetto, la ballata si caratterizza per un ritornello chiamato ripresa e la presenza di una o più stanze dalla medesima struttura metrica; l’ultima, come in questo caso, ha il valore di una chiusa sentenziosa.
FIGURE RETORICHE
Ripetizione
Consiste nella ripetizione dei sinonimi di cantare: clamare e gridare a mettere in luce l’urgenza espressiva di chi prova l’esaltazione mistica.
Anafora
Consiste nella ripetizione per tre volte all’inizio di ogni strofa di “Quanno iubel” a sottolineare il motivo della “divina pazzia”, l’ansia di annullarsi in Dio dell’amore mistico.
Cos’è la “santa pazzia”?
Accantoniamo il profilo biografico di Jacopone da Todi per sottolineare che scrisse un centinaio di laudi segnando il passaggio dalla lauda lirica a quella dialogata come la splendida “Donna de’ Paradiso”. Riprendendo questo genere poetico dai movimenti religiosi umbri del secolo precedente, alcune riflettono la morale francescana, le più personali manifestano quell’ardore mistico di elevazione a Dio, immagini e timbri accesi, per i quali Natalino Sapegno ha coniato la fortunata definizione di “santa pazzia”. Di cosa si tratta e qual è la sua origine? Secondo Jacopone il creato non è un insieme ordinato governato da Dio, piuttosto un caos di follie, incongruenze e sofferenze. A ciò si unisce un pessimismo che riguarda le istituzioni, l’umanità, i ministri sacerdotali, il papa. Il fatto di vedere solo uomini travolti dal peccato unito al suo carattere intransigente radicalizzano il pessimismo di fondo, generano angoscia, solitudine e isolamento che i contemporanei e lui stesso chiamarono pazzia. Il suo è un temperamento battagliero estraneo alle vie di mezzo che si esprime con originalità e forza inusuali. Però la pazzia è anche la gioia mistica.
“O iubelo de core”: analisi e commento
Il filo conduttore è il sostantivo “iubelo”, la gioia mistica che percorre tutte le strofe a parte l’ultima. Infatti questa ballata sacra descrive gli effetti dell’amore mistico che esonda da ogni misura, in relazione alla mezura dei trovatori, la capacità di controllare gli impulsi imposta dall’amor cortese.
Quali azioni “il giubilo” fa compiere?
- Fa cantare, ma è così intenso che le parole si bloccano: il poeta oscilla tra urgenza espressiva e impossibilità a parlare, perché questa esperienza interiore è indicibile. Se il contrasto tra voler dire e limiti del linguaggio è dei mistici, qualcosa di simile colpisce anche il poeta stilnovista di fronte alla bellezza della donna amata. In “Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira” Cavalcanti afferma che l’uomo non possiede i mezzi espressivi per definire la bellezza della donna. Tenetelo a mente.
- Fa gridare senza provare vergogna, perché il cuore “misticamente giubilante” (Contini) non riesce a contenere tanta gioia.
Cosa fa sentire “il giubilo”?
Dolcezza, piacere, allegria, fuoco interiori analogamente alla passione amorosa.
Qual è la reazione altrui?
- La derisione, quella ai danni del fedele deriva dalla Bibbia
- La convinzione che il soggetto sia impazzito. L’incomunicabilità tra le persone normali e chi prova la gioia mistica è bilaterale. Infatti i primi la scambiano per follia; i secondi, presi come sono da essa, non sono in grado di giudicare il proprio comportamento con oggettività.
Dunque in questo testo alcuni stilemi dell’amor cortese sono trapiantati in ambito religioso, mentre i motivi della dismisura e dell’incomunicabilità, il contrasto tra voler dire e limiti del linguaggio - già in sant’Agostino - derivano dalla tradizione mistica. Una vera esplosione di sentimenti dal ritmo trascinante che ibrida sacro e profano ben diversa dalla tendenza didattico-allegorica della produzione religiosa coeva nell’Italia settentrionale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “O iubelo de core” di Jacopone da Todi: testo, parafrasi e analisi
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