Percorsi criminali nella Torino noir
- Autore: Milo Julini
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2023
C’è anche un addetto alla sicurezza pubblica, non un tutore dell’ordine ma il dipendente di una ditta di vigilanza privata, una guardia giurata, tra i protagonisti di uno degli episodi drammatici raccontati da Milo Julini nel volume Percorsi criminali nella Torino noir, pubblicato dall’Editrice Tipografia Baima & Ronchetti di Castellamonte-Torino (aprile 2023, 187 pagine), con la copertina dell’artista Laura Lepore e la revisione dei testi di Andrea Biscaro, amico torinese di Mino e spesso coautore. Gianni Marietta Oddone ha messo a punto i corsivi in piemontese.
L’autore, Milo Julini, è nato a Torino nel 1951, docente universitario in quiescenza, ricerca vicende di cronaca nera nel Piemonte e nel capoluogo regionale, nell’Ottocento e nel Novecento.
Il caso anticipato in avvio è l’ultimo affrontato nel volume. Risale al Capodanno 1984. La stampa dette risalto alle polemiche per “un assurdo delitto” commesso dopo un sorpasso azzardato, “da un folle armato dai suoi superiori per salvaguardare la vita dei cittadini”, ripeteva la moglie della vittima tra le lacrime. Sotto gli occhi della donna e della figlia, un commerciante sessantenne era stato ucciso in un litigio tra automobilisti, la sera del 1 gennaio, alle 21:30, al semaforo Mirafiori Nord-Sud.
A sparare con una micidiale 357 Magnum, un vigilante ventiquattrenne, da tempo in crisi con il lavoro. Erano rimaste inascoltate le richieste all’Istituto di vigilanza d’essere esonerato dal servizio fisso notturno, che lo stressava ed esauriva.
In Corte d’Assise, riunita in tempi record il 17 aprile, apparve in stato confusionale. Ben difeso, ottenne l’attenuante della seminfermità mentale e una condanna a 16 anni di reclusione, più tre in casa di cura.
“Nessuno controlla se le guardie sono sempre in buona efficienza”, titolava un quotidiano: il primo di tanti “se” in questa vicenda, fa notare Julini. Se il giovane fosse stato esonerato dal turno di notte.
“Se” la famiglia della vittima fosse rimasta al Sestriere, come aveva proposto il figlio. “Se” i nessi reciproci di concausalità non avessero condotto le due vetture allo stesso punto nello stesso momento: sarebbe bastato un chilometro all’ora in più o in meno di media dalla montagna e non si sarebbero accodate. “Se” il conducente armato non avesse estratto la pistola.
L’episodio è nelle ultime pagine dei ventiquattro itinerari criminali percorsi dell’autore nella memoria subalpina, dal 1874 del delitto in via Franco Benelli al del 1994 dei riti voodoo a San Salvario.
Centoventi anni di azioni illegali più o meno gravi quando non gravissime, scrive Biscaro, ai danni di uomini e donne, anche di giovanissimi.
Con l’aggravante del “cotel an sacocia”, il malcostume di portare il coltello in tasca, diffuso per decenni tra le classi sociali più umili a Torino.
Quando una lama spunta tra le mani di un “barabba”, la tragedia è servita. La “barabberia” o “barabbismo” era la “guapparia” sotto la Mole. Indicava i torinesi di basso ceto poco amanti del lavoro, clienti fissi delle osterie, facilmente ubriachi, associati in cattive compagnie, impertinenti e aggressivi, ribelli alla forza pubblica e pronti alle risse con il coltello. Una devianza sociale che coinvolgeva soprattutto i più giovani.
Il 18 agosto 1901, in via Bonelli, in pieno centro storico, a quattro passi dalla Consolata, un cameriere sessantenne disoccupato, a passeggio con la giovane nipote e una donna con un cagnolino, incrocia una coppia di fannulloni. Scherzi pesanti alla bestiola, provocazioni, proteste risentite, un abbaiare insistente, forse un morso, forse un calcio... una coltellata fulminea, l’arteria femorale recisa, il più anziano si accascia.
L’insistenza della stampa sui “soliti fattacci ai quali si abbandona la barabberia nostrana”, non rende un’immagine rassicurante della Torino di una volta, che tutti pensiamo risparmiata da grossi fenomeni malavitosi. Ce n’è anche per la giustizia, accusata d’inefficacia dai giornalisti, sull’eco dell’opinione pubblica. Si direbbero cronache di oggi, sembra di seguire un Talk Show serale di Rete 4.
Ma i riti demoniaci? In Borgo San Salvario, una palazzina liberty è diventata nell’immaginario collettivo un tempio voodoo, dopo la notizia nei primi di maggio del 1994 di una undicenne rapita e drogata da due presunte fattucchiere nigeriane. Le accuse montano, la giovanissima racconta particolari scabrosi di rapporti sessuali con uomini ai quali volevano costringerla. Fa invece acqua da tutte le parti la strategia difensiva delle due accusate (reticenti).
Però, superato il clamore iniziale, cominciano i dubbi. Le dichiarazioni della ragazzina traballano, la “polvere” si rivela fecola di patate, non cocaina. Il PM chiede quattro anni e mezzo di reclusione per le imputate, la Corte le assolve, perché il fatto non sussiste. La verità resta un mistero, compresi i presunti sortilegi.
Abbiamo così citato il primo e l’ultimo, in ordine cronologico, dei casi sviluppati nel libro, che rendono tanto picaresca l’immagine della città sabauda, smacchiando l’etichetta del tradizionale bon ton dei monsù.
Vi si uccide, si tradisce, ci si vendica si truffa e ci si dedica al malaffare. Tutto il mondo è paese, al noto detto non si sfugge in questo testo, a condizione di esprimersi in corretto vernacolo torinese.
Percorsi criminali nella Torino noir
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