Nel magma delle figure retoriche, che spesso inquieta e atterrisce gli studenti, la personificazione è tutto sommato tra le più amate. Il suo nome è immediatamente parlante: consiste nell’attribuire tratti umani a qualcosa che umano non è. Quando si tratta di prosopopea, però, le cose sembrano complicarsi: cosa vorrà mai dire? Come sono legate le due figure?
Scopriamo insieme cosa sono personificazione e prosopopea e facciamo qualche esempio.
Personificazione: cos’è
"Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo".
G. Pascoli, La mia sera
La personificazione è una figura retorica che consiste nell’attribuzione di comportamenti, pensieri, tratti fisici, psicologici e comportamentali umani a qualsiasi cosa che non sia umana, si tratti di un animale, un oggetto o persino un concetto astratto.
Nei versi di Pascoli citati poco fa, per esempio, al "rivo" (ruscello) viene attribuita la capacità di singhiozzare, e sia le rane sia il cielo vengono citati con attributi umani ("tenero e vivo", "allegre").
Se avete bene in mente la differenza tra figure retoriche di suono, ordine e significato, vi sarà immediatamente chiaro che si tratta di una figura retorica di significato.
Cos’è una prosopopea
Un caso particolare di personificazione è quello della prosopopea, tramite la quale si dà facoltà di parola ed espressione a animali, oggetti, entità astratte. Anche il discorso di un defunto si considera una prosopopea.
Quando nelle Catilinarie, per esempio, Cicerone immagina che la Patria, sdegnata, rimproveri Catilina per la congiura da lui operata, siamo di fronte a una prosopopea.
Esempi di personificazione: nel quotidiano e in letteratura
La personificazione è una figura retorica piuttosto comune nel parlato quotidiano. Spesso, infatti, senza neanche rendercene conto, personifichiamo entità astratte, elementi naturali e oggetti. Quando diciamo che i rami di un albero danzano al vento, che la fortuna bussa alla nostra porta, che il sole si nasconde o fa capolino da una nuvola, per esempio, stiamo personificando alberi, sorte e sole.
Gli esempi di personificazioni e prosopopee presenti nella letteratura italiana non sono certo pochi: eccone due tra i più significativi.
La personificazione della Fama contenuta nel IV libro dell’Eneide:
"Subito Fama va per le grandi città di Libia,
Fama, male di cui nessun altro è più veloce:
si rafforza colla mobilità ed acquista forze andando,
piccola alla prima paura, poi s’innalza nell’aria,
ed avanza sul suolo, ma nasconde il capo tra le nubi".
Non fatevi ingannare dal fatto che più che avere i tratti di un essere umano la Fama assomigli a un vero e proprio mostro, coperto di piume e con migliaia di occhi, lingue e orecchie pronte a captare e a diffondere qualsiasi diceria. Siamo comunque di fronte a una personificazione: un’entità astratta (la fama) acquista caratteristiche animate (non solo nell’aspetto: vola, si sposta, parla).
La prosopopea di Roma nel VI canto del Purgatorio:
"O Alberto tedesco ch’abbandoni
costei ch’è fatta indomita e selvaggia
[...] Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m’accompagne?»".
Nel bel mezzo dell’invettiva all’Italia, Dante esorta Alberto d’Austria a venire a vedere l’Italia "indomita e selvaggia" e Roma, "vedova e sola". Dante personifica tanto l’Italia quanto Roma attribuendo loro aggettivi umani, ma con la città si spinge oltre: Roma non è solo vedova, ma anche in grado di invocare il proprio imperatore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Personificazione e prosopopea: cosa sono ed esempi delle figure retoriche
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