Il pensiero di Protagora ci permette di scoprire i tratti caratterizzanti della Sofistica, una corrente di pensiero che per la sua attenzione all’uomo dischiuse le porte di un nuovo campo d’indagine della filosofia.
Durante la sua vita, consumatasi nell’età di Pericle, Protagora si trovò invischiato in vicende politiche che si intrecciano con la religione e restituiscono l’atmosfera che si respirava ad Atene, nel momento del suo massimo splendore.
Ancora oggi celebre per l’aforisma secondo il quale l’uomo è misura di tutte le cose, Protagora è il filosofo che meglio di ogni altro, nell’età antica, ha anticipato quel relativismo culturale che tanta parte avrà nella riflessione degli illuministi e dei pensatori contemporanei.
Vediamo insieme vita, opere e pensiero filosofico, con il significato della sua frase più famosa.
La vita e le opere di Protagora
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Nato ad Abdera, in Tracia, tra il 491 e il 481 a.C. Protagora, come Gorgia e molti altri sofisti, viaggiò in tutta la Grecia ed esercitò la professione di insegnante a pagamento. Operò a più riprese anche ad Atene dove ottenne grande successo: nella democrazia ateniese erano molti i cittadini che potevano partecipare alle assemblee e molti di loro sentivano la necessità di migliorare le proprie abilità dialettiche e la propria capacità di parlare in pubblico: un abile maestro di retorica non doveva faticare molto per procurarsi un vasto seguito di giovani aristocratici.
Come ci raccontano le testimonianze relative alle Antilogie, l’opera principale di Protagora, la sua arte oratoria era apprezzata anche da Pericle col quale collaborò e dal quale ricevette l’incarico di redigere la costituzione della nuova colonia di Turi, intorno al 444 a.C.
Caduto il regime democratico, anche le sorti di Protagora subirono dei profondi rivolgimenti: i nemici di Pericle misero in atto delle vendette trasversali e accusarono il filosofo di empietà, ovvero di scarsa devozione verso gli dei tradizionali. Era un’accusa di carattere religioso che celava un attacco di natura politica e che costò a Protagora l’espulsione dalla città. Allontanato su una barca il filosofo morì in un naufragio, intorno al 410 a.C.
“L’uomo misura di tutte le cose”: cosa significa?
Tutta la filosofia di Protagora si fonda sul principio dell’ homo mensura, in base al quale:
“l’uomo è misura di tutte le cose: di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono”.
Cosa intende il filosofo con queste parole?
- Il soggetto della frase è l’uomo, che possiamo intendere in due accezioni: come colui che misura, che giudica, che valuta ma anche come lo stesso metro di giudizio che viene utilizzato per misurare e valutare;
- dobbiamo poi intendere misura come il criterio di giudizio che, appunto, viene stabilito dall’uomo per dar conto della realtà e giudicarla;
- l’uomo applica i suoi criteri di giudizio ad ogni ambito della realtà: non solo quando afferma ciò che esiste e nega ciò che non esiste ma anche in ambito morale, quando valuta leggi e comportamenti;
L’uomo, che è la parola chiave della Sofistica, l’oggetto che calamita l’attenzione della nuova filosofia ateniese, come dimostrerà anche Socrate, poi, va pensato a tutto tondo: egli si approccia alla realtà non solo con la sua ragione, con il suo logos, ma soprattutto con i suoi sensi. Ora, a questo proposito, occorre sottolineare una differenza importante con Parmenide: alla base della sua famosa massima sull’essere e il non essere vi era l’uso del puro ragionamento, della pura logica, si trattava di un’affermazione razionalmente condivisibile, dove il singolo uomo non aveva alcuna rilevanza. Protagora difende, invece, un punto di vista diametralmente opposto: per lui non si dà un criterio assoluto che ci permetta di discriminare ciò che è ciò che non è perché chi giudica è sempre l’uomo, il singolo uomo con i suoi sensi e con una razionalità che è solo sua e differisce da quella di altri uomini. Quando chiediamo, ad esempio, se è freddo, qualcuno potrebbe rispondere sì e qualcun altro no, ed entrambi, in base alle loro diverse sensibilità, avrebbero ragione.
Ci troviamo di fronte a un chiaro relativismo, una posizione nuova per il tempo, che suscitò ampio dibattito già quando Protagora era ancora vivente. L’oggetto del contendere fu l’interpretazione della parola uomo che nell’aforisma del filosofo poteva assumere sfumature differenti:
“L’uomo” può essere il singolo uomo, in questo caso ci troveremo di fronte a un relativismo estremo, perché ogni uomo differisce dagli altri e ogni uomo, quindi, ha la sua verità;
- “L’uomo” potrebbe alludere anche al genere umano, quindi ci troveremo di fronte a un relativismo meno stringente perché ci sarebbero idee condivise che varierebbero, eventualmente con il passare del tempo;
- “L’uomo”, infine, potrebbe indicare chi appartiene alla stessa comunità, si tratterebbe, in questo caso di un relativismo intermedio, perché le verità condivise sarebbero limitate agli appartenenti, ad esempio, a uno stesso stato o a una stessa città;
In ogni caso è l’uomo il criterio di giudizio e il metro di misura, per questo a proposito di Protagora si parla anche di umanismo: anche se il filosofo sembra, in testimonianze diverse, abbracciare ciascuna delle possibili sfumature del termine uomo, non c’è più un riferimento a entità superiori come gli deì del mito o il logos universale al quale si erano affidati i filosofi precedenti.
La conoscenza e il divenire
Questa posizione ha conseguenze profonde anche in campo conoscitivo: se è l’uomo, con i suoi sensi, a giudicare del mondo esterno e dell’esperienza, non si dà più una sola verità condivisibile, si danno solo opinioni soggettive.
È una forma di empirismo che sfocia in quello che è stato definito anche fenomenismo: Protagora non è interessato a capire cosa sia l’arché che sta dietro al divenire o l’essere che nessuno vede, per lui ciò che esiste è solo ciò che percepibile con i sensi, ciò che appare. L’oggetto d’indagine della filosofia allora cambia: non è più la natura, ma la realtà che circonda l’uomo, in particolare il contesto politico, morale, sociale.
La religione e l’etica di Protagora
In base a una testimonianza, Protagora sarebbe uno dei primi agnostici, non sarebbe stato in grado di dire né che gli dei esistevano né che gli dei non esistevano. Ciò sia perché gli dei non erano percepibili con i sensi, sia perché riteneva la religione un argomento oscuro, sul quale non valeva la pena spendere energie, considerata la brevità della vita.
Dobbiamo chiederci, infine, come è possibile scegliere in una visione dove tutto è relativo e l’opinione di ciascuno, anche in ambito morale, può ritenersi valida e accettabile. Protagora risponde avanzando un criterio di utilità: quando ci troviamo di fronte a una scelta, di fronte a un dilemma morale, l’azione migliore sarebbe quella che produce l’utile maggiore sia per il singolo per la comunità, la scelta, quindi, che armonizza l’interesse privato e quello pubblico.
Questo criterio, seppur debole perché anche l’utile è relativo alle circostanze, allo scopo dell’azione, al soggetto che compie l’azione, eviterebbe il rischio di una società sregolata dove ciascuno agisce per proprio conto e ammette la possibilità di un accordo intersoggettivo che assicura una minima stabilità alle istituzioni e alla città.
Il sofista Protagora, con la sua filosofia tutta terrena, imprime una svolta irreversibile al pensiero antico, l’attenzione vira sull’uomo che diventa misura di tutte le cose e il relativismo, culturale ma anche morale, compare per la prima volta nella riflessione occidentale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Protagora, il filosofo che considerava l’uomo misura di tutte le cose
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