“Questa è memoria di sangue”, si apre così la poesia di Salvatore Quasimodo dedicata alla Resistenza: non come un omaggio, ma come un atto di accusa. È battagliera, bruciante come le pallottole dei fucili, impetuosa come la marcia dei partigiani, l’eco dei cui passi vibra ancora tra le strade impervie dei monti. Sin dalle prime righe rievoca l’atrocità della guerra in una drammatica climax che sembra descrivere, gradualmente, il passaggio dalla ferita fatale alla morte: “memoria di sangue, di fuoco, di martirio”, in soli tre versi è contenuto il “più vile sterminio di un popolo”. È infatti a un avvenimento preciso che Quasimodo si riferisce: la strage di Marzabotto, compiuta per mano dei nazifascisti il 29 settembre 1944.
Il testo è divenuto un’epigrafe collocata su un faro che oggi illumina il “Sacrario dei Caduti” sulle vette di Monte Sole, l’appennino bolognese dove operava la brigata partigiana “Stella Rossa”, luogo simbolo dell’eccidio.
Il riferimento alla strage di Marzabotto era presente anche nel monologo di Antonio Scurati in occasione del 25 aprile:
Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.
Queste le parole di Scurati che sembrano fare eco alle parole di Salvatore Quasimodo. Anche il poeta ermetico di Ed è subito sera in questa lirica poneva un esplicito atto d’accusa presente sin dalla prima strofa: lo sterminio, scriveva il poeta, era stato voluto dai nazisti di von Kesselring e non solo, anche dai loro soldati di ventura dell’ultima servitù di Salò. Un lunga perifrasi, neanche troppo velata, attraverso la quale il poeta premio Nobel chiama in causa i fascisti ed evidenzia lo stretto collaborazionismo tra fascismo e nazismo, sancito dalla Repubblica di Salò, il regime di Mussolini fantoccio della Germania nazista. Con un’intelligente operazione retorica, Quasimodo prima punta il dito contro i colpevoli, dopo, soltanto dopo, elenca il numero delle vittime: “milleottocentotrenta”, un numero abnorme, sottolinea il poeta, passato alla storia col nome di strage di Marzabotto.
Scopriamo testo e analisi della poesia.
“Questa è memoria di sangue” di Salvatore Quasimodo: testo
Questa è memoria di sangue
di fuoco, di martirio,
del più vile sterminio di popolo
voluto dai nazisti di von Kesselring
e dai loro soldati di ventura
dell’ultima servitù di Salò
per ritorcere azioni di guerra partigiana.I milleottocentotrenta dell’altipiano
fucilati ed arsi
da oscura cronaca contadina e operaia
entrano nella storia del mondo
col nome di Marzabotto.Terribile e giusta la loro gloria:
indica ai potenti le leggi del diritto,
il civile consenso
per governare anche il cuore dell’uomo
non chiede compianto o ira,
onore invece di libere armi
davanti alle montagne e alle selve
dove il Lupo e la sua Brigata
piegarono più volte
i nemici della libertà.La loro morte copre uno spazio immenso,
in esso uomini di ogni terra
non dimenticano Marzabotto,
il suo feroce evo
di barbarie contemporanea.
“Questa è memoria di sangue” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
Salvatore Quasimodo commemora la strage di Marzabotto, ma soltanto alla fine ne dà una definizione compiuta e indelebile: “feroce evo di barbarie contemporanea”, segnando di fatto un ritorno al passato attraverso una sintesi volutamente anacronistica dei tempi storici. Una definizione che appare in stretto dialogo con il nostro presente, nel quale ci troviamo a denunciare, di nuovo, una simile retrocessione: davvero l’uomo non impara nulla dalla Storia? La “barbarie contemporanea” di cui parlava Quasimodo in questi versi infuriati e furiosi, volutamente provocatori, si verifica ancora, è tuttora presente nelle nostre guerre e nelle nostre battaglie così speculari a quelle di un’epoca remota. Questa memoria di sangue di Salvatore Quasimodo si conclude con un invito che richiama Primo Levi: “non dimenticare”.
Fa riflettere questa urgenza storica: sia Levi sia Quasimodo ci invitano a “non dimenticare” un passato per loro non ancora passato, un passato recente che era ancora insito nel presente che loro stavano vivendo. Entrambi si appellavano alla memoria come a un monito, rivendicandone il valore civile. La parola memoria dà il titolo, non a caso, alla poesia: Quasimodo poteva intitolarla “strage” o “eccidio”, darle sin dall’apertura un attributo violento, guerresco, invece sceglie di utilizzare il termine mite di “memoria” che si appella a una sfera più intima, privata, a una dimensione della coscienza.
Nella parte centrale della poesia viene posto l’accento sulla lotta partigiana, compiuta di nascosto tra le fronde dei boschi dalla brigata Stella Rossa (il riferimento al Lupo, citato dal poeta, era il loro stemma), per combattere coloro che vengono definiti i “nemici della Libertà”: il poeta premio Nobel intesse un elogio della resistenza partigiana, rivendicando le azioni gloriose compiute dai partigiani in vita, che ora ne rendono onorevole la morte.
Era il 29 settembre 1944, la guerra si stava avviando verso la conclusione e, nella consapevolezza della disfatta imminente, i nazifascisti divennero feroci, la loro violenza centuplicata: non avevano più paura di nulla, perché ormai non avevano più niente da perdere. Fu così che, in quell’autunno di sangue, fu compiuta la più terribile rappresaglia sulla popolazione civile: l’ordine fu dato dal maggiore Walter Reder, comandante del 16° battaglione Panzer Aufklärung, che aveva ricevuto l’incarico di ripulire la zona dalla rappresaglia partigiana. In seguito Reder sarebbe stato processato, nel 1951 con la condanna all’ergastolo, e passò alla storia con il nome di “boia”; fu tuttavia liberato nel 1965 e morì a Vienna, dopo aver ritrattato ogni dichiarazione di pentimento riguardo l’eccidio.
La strage di sangue iniziata nel settembre 1944 proseguì per giorni, con devastazioni e uccisioni, sino al 5 ottobre di quell’anno. Furono distrutti fienili, scuole, persino i cimiteri: la gente non trovava scampo neppure rifugiandosi nelle chiese.
Le testimonianze di quei giorni narrano di crimini inauditi e strazianti; neonati arsi vivi e strappati dal petto delle loro madri, non a caso Marzabotto è passato alla storia come l’Olocausto italiano. La maggior parte dei corpi delle vittime, tra cui figuravano uomini, donne, bambini e anziani, restarono insepolti. Il bilancio finale sarebbe stato di milleottocentrenta vittime - come riporta Salvatore Quasimodo nella poesia - ma sappiamo che si tratta di un bilancio provvisorio, in verità le vittime furono molto di più, addirittura si parla di tremiladuecento o più. Il numero esatto probabilmente non lo sapremo mai; ma non è certo la cifra che conta, come rammenta Quasimodo, ma la memoria di ciò che è stato, della tremenda azione di rappresaglia nazifascista contro l’inerme popolazione civile.
È alle nostre coscienze che Salvatore Quasimodo si appella con la sua Memoria di sangue e ci rammenta la strage, senza sottolineare la ferocia degli assassini, ma il valore delle vittime, ricordando il valore della parola Resistenza, da appuntare al petto come una medaglia, perché sia ogni giorno il 25 aprile.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Questa è memoria di sangue” di Salvatore Quasimodo: la poesia sulla strage di Marzabotto
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Anniversario della Liberazione (25 aprile) Salvatore Quasimodo
Lascia il tuo commento