“La storia si ripete due volte”, pare che disse Karl Marx, e a questa celeberrima citazione si aggiunge l’altra della scrittrice Harper Lee (nota per il capolavoro Il buio oltre la siepe), che affermò in un altro suo libro “la storia di ripete, e com’è vero che un uomo è un uomo, la storia è l’ultimo posto dove andrà a cercare le sue lezioni” (Va’, metti una sentinella, Feltrinelli).
Ebbene, ricorre quest’anno il trentennale della Guerra dei Balcani, che fu non solo una tra le più sanguinose e fratricide, ma anche teatro, a Srebrenica, del secondo genocidio in ambito europeo della Storia, dopo la Shoah. Già questo basterebbe a dimostrare che la Storia proprio non insegna nulla all’uomo. Se aggiungiamo che di guerra, sempre in seno all’Europa, ne è scoppiata ed è in corso proprio quest’anno un’altra, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, allora le parole diventano poche da dire e la perplessità si trasforma in afflizione.
Per questo, scegliere di leggere Dušan Veličković in questa ricorrenza assume un significato ancor più profondo, per constatare come l’insidia dei massacri bellici sia sempre in agguato e basti pochissimo per tornare a ripetere gli stessi insensati orrori. Accettare che la Storia si ripeta oggi malgrado l’impegno di questi decenni in campo internazionale (esplicitatosi in trattati per il disarmo, per la pace, per i diritti umani) è ancor più difficile, perché lascia la sensazione che nulla valga di fronte alla volontà di sopraffazione e violenza.
Serbia hardcore di Dušan Veličković
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Serbia hardcore (Besa muci, 2020, trad. Sergej Roic) è un libro molto particolare, a cavallo tra il reportage e la raccolta di racconti. Lo scrittore, poco noto in Italia ma molto conosciuto in patria come giornalista e come attivista, spiega bene cosa accadde a Belgrado durante la Guerra dei Balcani. Veličković scrive in presa diretta, sotto le bombe; scrive tra le minacce che riceve a causa della sua attività antigovernativa, di oppositore al governo di Milosevich; scrive mentre i suoi colleghi, altrettanto impegnati in attività giornalistica di denuncia, vengono uccisi o fatti sparire. È coraggioso Dušan Veličković e grazie a questo suo coraggio oggi possediamo un racconto che ci spiega come fu quella guerra:
"Secondo la mia opinione scrivere un diario è un’ottima cosa. Come è un’ottima cosa che anche altri contemporaneamente scrivano. Così un giorno sapremo meglio ciò che è accaduto davvero".
È un dato di fatto che siamo riusciti a conoscerne parte degli orrori solo con un decennio, a volte anche di più, di ritardo. La Guerra dei Balcani, più di ogni altra, ha fatto da spartiacque nella conduzione delle guerre successive (ricordiamo la Siria), anche sotto il profilo della comunicazione, esterna e interna:
"Non si sa più quello che la gente pensa veramente. Viene imposto un unico modo di pensare, come una salsiccia senza fine che esce da una gigantesca macchina tritacarne. Esprimere dubbi o critiche è pericoloso. È una follia o un suicidio".
E ancora: "Traditori sono coloro che, in questo momento critico, non la pensano allo stesso modo di tutti gli altri". È proprio nella Guerra dei Balcani che nasce la cosiddetta retorica della guerra, quella narrazione parallela alla verità, alla realtà, che i governi inscenano e raccontano alla popolazione interna e che veicolano al mondo esterno a giustificazione delle proprie condotte e misfatti bellici. Un film. Veličković afferma che la guerra è fatta passare per un film (“Azione!”, scrive). Veličković lo denuncia apertamente e con ironia in Stress, dove si riesce anche a sorridere quando lo scrittore scrive:
“Stress è una parola assai nota a Belgrado. Tutti soffrono per lo stress. […] Non si può dire con esattezza quando lo stress è diventata una pandemia. Chissà, forse nel 1991, o magari nel 1992. La scaramuccia con la Slovenia, la distruzione di Vukovar, il bombardamento di Dubrovnik, l’assedio di Sarajevo, le guerre in Croazia e in Bosnia, i profughi che arrivano a ondate, la caccia ai riservisti e ai coscritti. O forse l’inflazione galoppante, le sanzioni economiche. Ci sono tante ragioni sociali e politiche che possono aver generato tutto questo stress”.
È in quella guerra che abbiamo conosciuto, per la prima volta, la dissoluzione dei blocchi che si fronteggiano, che abbiamo capito come in realtà le fazioni si possano mescolare, confondere e non si evince più chiaramente chi è con chi e chi contro altri. È con la Guerra dei Balcani che il mondo ha conosciuto ancora una volta l’orrore delle fosse comuni. L’Europa ha dovuto far i conti, seriamente e a un passo dal nuovo Millennio, con la minaccia della propria dissoluzione, piuttosto che la promessa della propria Unione.
I racconti di Veličković sono spesso appunti che lo scrittore aveva messo via per tornarci su, anche se questo, per la maggior parte, poi non è accaduto. Nell’ultimo racconto della prima parte del libro, Amor Mundi, Veličković rivela di aver scritto "delle note durante la guerra con l’intenzione di conservare alcuni pensieri istantanei in forma di "racconti dal vivo" sulla cui base scrivere poi delle storie vere", salvo poi decidere di non rielaborare alcunché e limitarsi a pubblicare ciò che accadde a prescindere alla sua percezione. Sono perciò resoconti compiuti, riflessioni, ritratti di personaggi che con lui hanno vissuto il momento più tragico. Parla di sé, parla del popolo serbo, parla della politica, fa invettiva contro la NATO. Sono riflessioni scaturite e motivate anche alla luce della precedente dissoluzione della Repubblica Jugoslavia, ci sono interessanti accenni al periodo post-Tito che poi approfondirà in altri libri. Serbia hardcore non è infatti l’unico libro di Veličković dedicato alla comprensione delle dinamiche dei Balcani, ce ne sono altri che ricostruiscono i momenti più significativi che hanno portato a quel tipo di guerra e di narrazione.
Lo scrittore è illuminante nel dipingere un quadro della regione; è ironico, non risparmia un umorismo amaro al lettore e scrive con una lama che taglia la pagina e il cuore di chi legge. È una lettura che ha il sapore della rassegnazione di chi è “come una formica” nelle mani dei propri governanti, che decidono la guerra:
“L’unica cosa certa è che il Presidente, per l’ennesima volta, e contro la mia volontà, tiene strette nelle sue mani le redini della mia vita”.
"La nostra volontà, il nostro sapere e i nostri diritti come esseri umani hanno un qualsiasi ruolo in ciò che ci accadrà?"
Si tratta, in buona sostanza, di una lettura edificante, necessaria se si vuol comprendere, senza mediazioni, il presente alla luce del passato. Le emozioni descritte e suscitate dai racconti sono forti, incidono l’emotività. L’ulteriore pregio del libro di Veličković è la spontaneità: i racconti sono scritti senza premeditazione, scaturiscono schietti da ciò che vede, non costruisce una narrazione, la narrazione è in sé; lo scrittore le dà solo posto sulla pagina.
È apprezzabile anche la continua citazione dei molti autori di riferimento per Veličković. Troviamo Hemingway, Carver, Faulkner, ma soprattutto Hannah Arendt, cui lo scrittore dedica la stessa impostazione in due parti del libro. La prima infatti è intitolata Amor Mundi proprio in omaggio ad Arendt e alla sua concezione filosofica, rielaborazione di quella di stampo agostiniano, della condizione umana. La convinzione che l’amore vada inteso come attenzione per la vita in comune (Vita Activa, è infatti il titolo di Arendt nei paesi non anglofoni per The Human Condition), che l’operosità per il bene collettivo distingue l’esperienza umana e la convinzione che solo la capacità umana di amare possa cambiare il mondo sono punto di riferimento per Veličković. Più volte la scrittrice è citata: “Lo sa che tutto ciò che ci sta succedendo ora non accade per caso? È già stato descritto da Hannah”, gli dice una donna che voleva leggere Le origini del totalitarismo di Arendt grazie alla rivista “Alexandria”, di cui Veličković fu fondatore e direttore.
Un libro molto consigliato, quindi, adesso, tra un anno, sempre. Per imparare a capire e valutare. Per riflettere su cosa sia la lotta delle informazioni e capire che non si può assorbire tutto passivamente, occorre diventare parte attiva della propria epoca. Solo questo può aiutare a cambiare davvero la storia e le sorti dell’umanità. Istinto alla guerra compreso. In particolare, un racconto nel libro più di ogni altro conduce alla sostanza della guerra, è Censura. Basterà leggere quello, per capire di cosa parliamo, quando parliamo di guerra, riprendendo anche noi, il Raymond Carver tanto caro a Dušan Veličković.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Serbia hardcore: la guerra spiegata da Dušan Veličković
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