Survivor. The triumph of an ordinary man in the Khmer Rouge genocide
- Autore: Chum Mey
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2012
“My wife and children are dead and the torture I endured was horrible. At that time, it would have been better to die than to survive.” (Pag. 7)
Phnom Penh è una bella città, con una popolazione pacifica e tranquilla. Il lungo fiume del Mekong la attraversa creando un luogo armonico, animato da tanta gente seduta sul muretto. La gente conversa, fa amicizia, amoreggia. Venditori portano bibite e cibo da strada. Ristoranti e bar sono pieni, gli stranieri passeggiano sereni, osservando il palazzo reale e la vivacità della gente. I turisti hanno ripreso numerosi ad arrivare in Cambogia, possono godere di un luogo ancora distante dai grandi flussi.
Dopo le solite visite d’obbligo, l’elegante palazzo reale e il museo nazionale, l’autista del tuktuk cambogiano mi conduce nella periferia. Intorno a delle case banali mi lascia all’ingresso di uno spoglio muro di cinta, al cui interno ci sono degli edifici scrostati e malmessi: è la famigerata prigione di Tuol Sleng, la S21.
Prima del 1975 era una normale scuola elementare con tanti esuberanti bambini, con delle aule su tre piani, tutte su uno spazioso cortile interno.
Con l’arrivo nella capitale cambogiana dei Khmer Rossi questa mediocre struttura fu trasformata da Deuch – uomo forte della dittatura – in una delle più terrificanti prigioni di tortura.
La maggior parte della popolazione fu deportata nei campi di prigionia delle campagne ma molti membri della classe media, ex soldati, insegnati, commercianti, e perfino alcuni occidentali, furono imprigionati a Tuol Sleng.
Come tutti i regimi puritani e moralisti, in seguito molti membri degli stessi Khmer Rossi furono vittime della loro stessa mentalità, e gettati nelle squallide aule tramutate in celle, come spie o traditori.
Con l’arrivo dei vietnamiti nel 1979, delle migliaia d’incarcerati a Tuol Sleng, solo sette persone erano ancora in vita. Uno di questi è Chum Mey
Incontro Chum Mey all’ingresso della scuola, intento a firmare copie del libro Survivor. The triumph of an ordinary man in the Khmer Rouge genocide (Documentation Center of Cambodia, Phnom Penh, 2012).
Personaggio serioso, austero, nel libro racconta l’esperienza di come è sopravissuto alla sua famiglia e agli altri infausti compagni di cella a Tuol Sleng.
Riuscì a salvarsi perché Chum Mey è persona intraprendente, capace di aggiustare qualsiasi cosa gli capitasse per mano: da una macchina per scrivere ai camion.
Dopo un’infanzia difficile conseguì, con tanti sacrifici e duro lavoro, un buon mestiere come meccanico. Fu proprietario di garage con ottimi affari. Come un medico guariva tutti i mezzi, senza chiedersi a che servissero. Fu meccanico per il Ministero dei trasporti durante la guerra contro i Khmer Rossi. Quando Pol Pot conquistò la Cambogia, egli si comportò allo stesso modo per gli autobus, le barche e gli altri mezzi del nuovo stato.
Il 28 ottobre del 1978, nonostante l’evidente collaborazione ed efficienza, fu arrestato e imprigionato nella S21. Prevalse il regno del sospetto, del dubbio, della paura. Chum Mey fu accusato di essere un’agente della CIA o del KGB. Poiché non poté ammettere, fu torturato e dopo dieci giorni di supplizi egli confermò tutto.
Passato il primo periodo di sevizie, poiché era un abile riparatore, fu messo al lavoro all’interno della prigione, mentre gli altri erano costretti alla segregazione.
Con l’arrivo dei vietnamiti ci fu la fuga e una lenta riconquista della propria vita.
Dopo tanti anni, insieme con gli altri sopravissuti, fu chiamato come testimone vivente di un periodo funesto.
Nel libro, nonostante le ingiustizie e le dolorose sofferenze, non mostra odio nei confronti degli autori del massacro, neppure durante il processo.
Al detto inumano dei Khmer Rossi: “To keep you is not a gain, to destroy you is no loss” (Pag. 37), spaventoso concetto per la capacità di rendere superflua la vita umana, secondaria al bene del partito, l’autore risponde riportando un vecchio detto Khmer:
“If a mad dog bites you, you don’t bit eit back. If you do, it means you are mad too.” (Pag. 8)
Gli avvenimenti del regime di Pol Pot furono interrotti dall’intervento dell’esercito vietnamita.
La giustizia per i morti e il senso dell’equità per i sopravissuti furono ottenuti soltanto nel 2003, dopo circa trent’anni, quando la Cambogia, con l’aiuto delle Nazioni Unite, aprì un tribunale speciale per crimini di guerra.
Il libro riproduce la testimonianza di Chum Mey in aula, con il ricordo dei duri tentativi di sfuggire alla morte.
Le difficoltà economiche e sociali della Cambogia, anche attuali, non devono impedire la ricostruzione della follia. Come ci insegna Chem Mey, l’odio può essere abbandonato, perché se un cane ci morde, non è mordendolo a nostra volta che risolviamo il problema.
Survivor: The Triumph of an Ordinary Man in The Khmer Rouge Genocide
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Survivor. The triumph of an ordinary man in the Khmer Rouge genocide
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