Yi-Fu Tuan: cenni biografici
Yi-Fu Tuan è un geografo e accademico sino-americano, è nato in Cina nel 1930 e lì ha frequentato le scuole elementari per poi proseguire i suoi studi in Australia, nelle Filippine, nel Regno Unito e negli USA. È stato docente di Geografia nell’Università del Minnesota e in quella del Wisconsin, dove è stato riconosciuto professore emerito.
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Il suo ambito di studi prediletto è sempre stato l’indagine del rapporto che lega l’individuo, lo spazio geografico e la cultura. In Italia, presso il lettore generico, si è fatto conoscere grazie alla pubblicazione di un suo breve testo: Cosmos and Hearth (1996), riproposto in traduzione col titolo Il cosmo e il focolare. Opinioni di un cosmopolita dall’editrice Elèuthera nel 2003. Il presente scritto si concentrerà esclusivamente sull’analisi di taluni concetti esposti in questo volume, e in particolare sulle insidie contenute nel termine “cosmopolitismo”, che oggi, spesso, è utilizzato con disarmante leggerezza dagli italiani.
Il focolare contro il caos
Il cosmo e il focolare dovrebbe rappresentare la sintesi di molti anni di lavoro intellettuale di Yi-Fu Tuan, il quale, attraverso un taglio parzialmente autobiografico, vorrebbe proporre un approccio moderno ai nuovi equilibri culturali globali, che aiuti a sentirsi abitatori del “cosmo” comprendendo i molteplici “focolari”, cioè le innumerevoli tessere che, intersecandosi, compongono il mosaico del mondo.
Nel suo libro, tuttavia, il professore compie un errore non trascurabile, che segna l’intera opera: non chiarisce mai il significato di termini quali cosmo, cosmopolitismo e “hearth”. Egli non solo non elenca una serie di definizioni di questi vocaboli proposte da altri autori, ma non ne fornisce nemmeno la sua interpretazione personale; in un testo realmente organico, i primi capitoli avrebbero dovuto essere dedicati proprio a questa indispensabile puntualizzazione, senza la quale ogni discorso si fa – inevitabilmente – più ambiguo.
Evidentemente, il riordino delle nozioni è affidato ai lettori; comunque – da quanto si riesce a comprendere – il "focolare" è ciò che comunemente si chiama la “propria terra” o la propria patria. Nello specifico, Yi-Fu Tuan sembrerebbe rivolgersi con più interesse alla questione dello spazio domestico, delle cosiddette "piccole patrie" o, più propriamente, della patria municipale, contrapposta al cosmo, che qui è inteso come un immenso insieme che comprende il mondo intero.
Va però osservato che il focolare è una dimensione concreta, coglibile nella sua totalità e conoscibile per intero (il contadino dell’era preindustriale – per dirla alla Pasolini – conosceva tutto il suo mondo, tutto ciò che gli era necessario sapere per vivere), mentre il cosmo è troppo vasto per essere compreso del tutto.
Cosa sia precisamente il cosmopolitismo, l’autore non lo spiega mai e c’è da credere che egli faccia riferimento al significato che popolarmente viene attribuito a questa parola sin dall’Illuminismo: il cosmopolitismo è l’atteggiamento di quei filosofi che iniziarono a riconoscersi come “cittadini del mondo”, al disopra di ogni divisione municipale o nazionale. Ne consegue, da un lato, l’esaltazione della libertà autarchica del singolo individuo e, dall’altro, la possibilità che sia fattibile la costruzione di un nuovo ordine politico su scala globale, basato su leggi universali, fondato sull’uguaglianza tra tutti gli uomini e sulla ragione.
A parere di chi scrive, paradossalmente, l’aspetto più rilevante di questa monografia è la sua utilità nel dimostrare l’inconsistenza del concetto stesso di cosmopolitismo e la conseguente inesistenza dei “cosmopoliti” nella realtà.
Il cosmopolitismo non può esistere realmente
Ne Il cosmo e il focolare l’autore, con onestà, ammette subito i suoi limiti:
“Il mio ideale resta l’obiettività, anche se mi rendo conto che in questo libro essa è messa a dura prova non solo dal mio bagaglio culturale e dalle mie carenze di studioso, ma anche dal desiderio di arrivare a un equilibrio tra i due poli”.
Egli afferma poi che negli ultimi decenni – a parer suo – è stato il cosmo ad aver subito gli attacchi più violenti, e qui incappa in un altro errore concettuale, poiché il cosmo, per sua stessa natura, è inattaccabile. Non è il cosmo in sé, infatti, a venire attaccato, bensì il cosmopolitismo: il cosmo, per quanto vasto, è un elemento concreto, che esiste e continuerà a esistere, mentre il cosmopolitismo è una teoria filosofica e, in quanto tale, è soggetta a delle confutazioni.
Stando allo scrittore, il cosmopolitismo si fonda su un’idea di cosmo secondo la quale tutti gli esseri umani hanno fondamentali esperienze comuni e che quindi, sulla base di queste non ben definite “esperienze”, possano mettersi nei panni dell’altro grazie al “potere dell’immaginazione”.
A questo assunto si può ribattere notando che gli esseri umani sono tutt’altro che uguali e si distinguono tra loro per gusti, inclinazioni personali, carattere e cultura: un singolo gesto può avere significati radicalmente diversi presso i differenti popoli che vivono sul nostro pianeta, e quindi andrebbe come minimo definito nel dettaglio cosa si intenda per “esperienze comuni”.
Tuan nota che, sin dall’antichità, “i mercanti avevano bisogno di superare le differenze etniche e culturali per svolgere i loro commerci con reciproci benefici” e pare quindi accostare – più o meno volontariamente – il cosmopolitismo illuminista a quello capitalista: il cosmopolitismo dei mercati e del consumo.
Criticando il pensiero di Voltaire, Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) scrisse:
“Vi è questo da notare: il patriota, per quanto stupido sia, ama la patria, mentre il cosmopolita non prova la minima simpatia per il cosmo”.
Questa sagace osservazione del polemista britannico racchiude magistralmente un pensiero molto complesso, basato sul significato delle parole.
Nella mitologia della Grecia antica il cosmo era il contrario del caos: “kosmos” in greco significa ordine, anche se attualmente il vocabolo è utilizzato come sinonimo di universo. Il caos, invece, nelle cosmologie greche, era il complesso disordinato degli elementi materiali precedente all’ordine: la confusione della materia, Esiodo scrisse “per primo fu Caos”. Si può menzionare anche il greco Anassagora (496 a.C.-428 a.C. ca) – colui che introdusse ad Atene la filosofia –, secondo il quale la natura è formata da particelle similari (omeomerie), tratte dal caos originario e organizzate dalla mente ordinatrice: l’intelletto, o Nous.
Chesterton voleva quindi dire che mentre il patriota, coerentemente, ama la sua patria, il cosmopolita, che (secondo il significato originario del termine cosmo) dovrebbe amare l’ordine, nella realtà dei fatti invoca il sovvertimento di ogni ordine culturale, politico e religioso in nome del disordine onnicomprensivo e amalgamatore. Spesso i cosiddetti cosmopoliti sono più propriamente cittadini del caos che del cosmo.
Sin dal Settecento, molti sedicenti cosmopoliti hanno denigrato il “focolare”, cioè le patrie tradizionali, proponendo di sostituirle con una nuova cultura cosmopolita, e anche qui sorge spontanea una nuova domanda: cos’è la “cultura globale”?
Riferendosi direttamente alla sua esperienza personale, Tuan lo spiega così:
“Noi alunni ricevevamo un insegnamento cosmopolita! Imparavamo a conoscere fatti e personaggi della storia della Cina, dell’Europa e dell’America”.
Ma assorbire tutte queste conoscenze non basta per diventare dei cittadini del mondo; quello descritto dall’autore non è un “insegnamento cosmopolita”, bensì una semplice infarinatura di cultura generale: un’educazione simile la si può ricevere anche senza mai mettere piede fuori dal proprio “focolare” per tutta l’infanzia – basti pensare alla formazione che fu impartita a Giacomo Leopardi nel suo palazzo a Recanati.
Il geografo sostiene che:
“Per raggiungere una frontiera geografica servono soltanto un paio di buone gambe, [mentre] per raggiungere una frontiera intellettuale è necessario un cervello ben allenato.”
Ciò (volendo tralasciare ogni questione di disponibilità economiche) corrisponde sicuramente al vero, ma è vero anche che nessun cervello è abbastanza capiente per raggiungere tutte le frontiere intellettuali e arrivare a “contenere” il cosmo intero. Un individuo può arrivare a contenere dentro di sé persino 5 o 6 focolari, o forse più di dieci, ma anche 30 focolari non sono il cosmo intero. Il cosmopolitismo, concretamente, si manifesta solo come la posa presuntuosa e arrogante di chi crede di essere in grado di conoscere e comprendere tutte le culture del globo. Nessun uomo è mai riuscito a diventare veramente cosmopolita, alcuni uomini si sono sentiti e si sentono cosmopoliti, ma tra l’essere e l’apparire c’è un abisso.
Meditando sul mondo contemporaneo si deve riconoscere che esiste il focolare ed esiste il cosmo, e che questi due estremi dialogano tra loro: nessun individuo può rinchiudersi ermeticamente nel suo focolare, ma allo stesso tempo è palese che ogni individuo può interagire solo con una parte limitata del cosmo.
Nel 2021, riflettere su quale possa essere il giusto incontro tra cosmo e focolare è naturale e necessario, ma la risposta non può più essere il cosmopolitismo, la cui faciloneria ha prodotto esiti deteriori: basta osservare quante offese ricevono ogni giorno i patrimoni culturali dei popoli del continente europeo a causa delle bizzarrie dell’ideologia cosmopolita. Oggi si discute spesso sull’idea di “appropriazione culturale”, ma l’appropriazione culturale più grave è quella compiuta dai progressisti che hanno il coraggio di definirsi cosmopoliti e sono convinti che tutto il mondo gli appartenga.
Yi-Fu Tuan teorizza la via intermedia del “focolare cosmopolita”, ma nessun focolare può essere tale: come già è stato detto, i focolari non sono mai del tutto isolati, ed esistono focolari eterogenei, ma nessun focolare è cosmopolita, poiché nessun uomo e nessuna famiglia può essere realmente definita “cittadina del mondo”. Il mondo non è un villaggio e non lo sarà mai.
Lo stesso Tuan, raccontandosi, si rivela assai più cinese che “cosmopolita”: egli è un uomo curioso e aperto verso le altre culture, ma resta molto cinese, perfino nell’orizzonte della mentalità – il saggista non è il prodotto astratto della globalizzazione.
Purtroppo l’autore fa spesso confusione e mescola il concetto di cosmo “razionalista”, proprio della cultura cinese (argomento che qui non ci è concesso di approfondire adeguatamente), con il cosmopolitismo illuminista, accostandolo anche al concetto di universalismo, proprio degli imperi del passato (Cina compresa) e dei governi tradizionali.
Tuttavia Tuan spiega con maestria il modello imperiale nella tradizione cinese, in cui le usanze straniere potevano anche essere accolte senza drammi, poiché “il successo militare […] non implicava [automaticamente] una supremazia culturale” e il governo era solito affidare colonie agricole ai soldati, irradiando la cultura cinese. Al pubblico italiano tali caratteristiche possono suggerire assonanze con l’imperialismo romano e queste pagine, da sole, valgono il libro intero.
Se il cosmopolita è un’invenzione astratta, gli uomini del focolare esistono e sono uomini concreti e unici, con caratteri peculiari. L’uomo “del cosmo” invece è il capitalista liberale, nemico delle tradizioni, della moralità, delle culture, dei governi e di ogni forma di ordine che limiti i suoi guadagni. Il capitalista cosmopolita – in nome del suo interesse privato – sogna di avere sotto i piedi tutti i popoli del mondo e di schiacciarli, per appiattire le loro culture e fonderli in un’unica poltiglia fatta di persone che si credono “cosmopolite”, ma non conoscono nemmeno la storia del loro quartiere. Abbandonare le proprie tradizioni per diventare parte di una fantomatica “cultura globale” significa perdere tutto ciò che si possiede per non guadagnare nulla, ma purtroppo, in un paese tristemente esterofilo come l’Italia, quest’idea riscuote ancora molto successo presso i progressisti.
La differenza che distingue l’universalismo tradizionale dal cosmopolitismo illuminista è la stessa che distingue la melodia dalla cacofonia: l’universalismo unisce elementi diversi in maniera armoniosa e ordinata, il cosmopolita produce confusione e disarmonia, è la negazione stessa della musica. Il frutto dell’universalismo è la ricchezza multiculturale, l’effetto del cosmopolitismo è una tabula rasa. Il cosmopolitismo dei progressisti si diletta con l’antropologia e anziché risolvere i conflitti li genera.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Yi-Fu Tuan e l’inesistenza del cosmopolitismo
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