Quali furono gli amori di Cesare Pavese? Il nostro collaboratore Francesco Bova ci propone questo interessante excursus letterario su tutte le donne di Pavese, da quelle in carne e ossa - che furono croce e delizia e muse ispiratrici - sino alle protagoniste dei suoi grandi romanzi, come Cate, Irene, Silvia e molte altre...
A vent’anni Pavese afferma che la donna è per lui fonte di amore ma anche, e forse soprattutto, di poesia, alta, struggente, divina poesia (...). I successivi tradimenti e le frequenti delusioni non gli impediscono di ritornare poeta e di trasformare in musa la donna di volta in volta incontrata e, per un tratto più o meno lungo di strada, amata.
Così scrive Mariarosa Masoero nell’introduzione al romanzo Fuoco Grande.
Nel 1960 Davide Lajolo ne Il vizio assurdo. Storia di Cesare Pavese (minimum fax) scrive.
Non c’è racconto, romanzo, pagina di un libro, dove non si levi il ricordo o il volto o il desiderio di una donna.
Infine Silvia De Paola, nel saggio Gli amori sofferti di Cesare Pavese (Bibliosofica, 2013), scrive che:
La figura femminile ha da sempre avuto un ruolo ambivalente. (…) Nonostante il poeta non avesse mai frequentato molte donne nella sua vita, ne conosceva bene la psicologia e benché spesso ne parlasse male, nei momenti di confessione più autentica la donna gli appare come il calore della vita, il sangue, la ragione primigenia dell’’esistenza.
Sugli amori dello scrittore delle Langhe si veda anche l’interessante lavoro di Saverio Ieva “Le donne di Pavese in Pavese” pubblicato su “Open edition Journals”.
Attraverso l’attenta disamina di un nutrito corpus di articoli, saggi e monografie, questo lavoro si propone di analizzare la presenza della donna nell’opera di Pavese seguendo tre distinte direzioni tematiche: l’aspetto della donna, il suo rapporto con la natura e il tema della misoginia. La donna appare come un essere dal duplice aspetto: da un lato donna-terra-madre, legata all’ambiente contadino dell’infanzia; dall’altro figura beffarda, lontana, estranea ed irraggiungibile, immagine questa coincidente con il polo negativo della città.
Gli amori e le donne difficili nella vita dello scrittore piemontese (1908–1950) sono state almeno quattro: Battistina Pizzardo, Fernanda Pivano, Bianca Garufi e Constance Dowling.
Poi ci sono state altre donne in carne e ossa nella prima giovinezza e altre ancora amate e odiate, personaggi ed eroine vissute tra le pagine dei suoi racconti e nelle raccolte poetiche più struggenti come Le poesie del disamore (1934-1938), La terra e la morte (1945- 1946) e le dieci poesie, di cui due in inglese, della raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi scritte tra l’11 marzo e l’11 aprile 1950.
Tina, il primo amore di Cesare Pavese
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Battistina Pizzardo, detta “Tina” (1903 - 1989), era la donna dalla voce rauca di cui s’innamorò perdutamente il giovane universitario Cesare Pavese.
Scrive Lajolo:
Entra nella sua esistenza l’unica donna che egli abbia veramente amato(...) La sua tragedia incomincerà appena sarà costretto a rendersi conto che questa donna lo abbandona e lo respinge senza pietà.
Ma Tina non ha mai accettato di essere il misterioso fantasma della mitologia amorosa di Cesare Pavese e ha descritto nel libro Senza pensarci due volte la sua relazione con Pavese con accenti molto diversi, definendo fumettistiche e leggendarie le interpretazioni di Davide Lajolo sulla loro relazione e su ciò che era accaduto in quegli anni.
Lajolo (...) vuole provare che Pavese non ha amato che una donna e sarei io quella (...) credo che lui (Pavese) abbia sempre cercato ciecamente gli amori infelici (...) Io ero il suo amore- tormento ma soprattutto gli facevo da pubblico.
Si erano conosciuti nel 1933 tramite la comune amicizia con Leone Ginzburg.
Tina Pizzardo, docente di matematica, era un’antifascista che aveva aderito al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, iscritta al Partito Comunista clandestino, aveva una stretta relazione con Altiero Spinelli e con Henek Rieser, un ebreo polacco, militante comunista rifugiato a Torino che poi sposerà nel 1936.
Per queste ragioni era sotto la lente della polizia di regime e fu pure incarcerata per attività sovversiva. Pavese accettò di ricevere a casa propria le lettere di alcuni antifascisti ristretti in carcere e destinate a Tina Pizzardo.
Fu così che dopo una irruzione della polizia dell’OVRA il 15 maggio 1935 Pavese venne arrestato, incarcerato e mandato al confino di Brancaleone Calabro. La donna dalla voce rauca, durante il confino, gli scrisse solo qualche cartolina. Pavese lasciò il confino nel marzo del 1936 e Tina si sposò con Rieser il mese dopo.
A proposito del suo rapporto con Pavese,Tina Pizzardo scrive:
“ (...) dico a Pavese che il nostro amore, come lui lo chiama, è stato un colpo di follia (...) siamo fatti per essere amici (...) O amici, o niente(...) Ecco che Cesare Pavese si mette a piangere come un bambino (...) -Piuttosto amici che niente -, diceva remissivo e lacrimante. Fidava della mia pietà. (...) Se non avesse avuto speranza si sarebbe ammazzato. Era capace di farlo, da commediante che recita fino in fondo la sua parte”.
Pavese nel suo Diario Il mestiere di vivere scrive il 7 dicembre 1945:
“Il colpo basso che ti ha dato Tina lo porti sempre nel sangue. Hai fatto di tutto per incassarlo, l’hai perfino scodato, ma non serve scappare. Lo sai che sei solo? Lo sai che non sei nulla? Lo sai che ti lascia per questo? Serve qualcosa parlare? Serve a qualcosa dirlo? Hai veduto, non serve a niente. Perché s’interessa di un tisico? Per la fica la fica la fica – oh Pavese”.
Cesare Pavese, l’amore per Fernanda Pivano e Spoon River
Fernanda Pivano, detta “Nanda” (1917 – 2009), la grande interprete della beat generation, frequenta nel 1935 il liceo classico Massimo d’Azeglio, dove ha come compagno di classe Primo Levi e come supplente di italiano, Cesare Pavese.
Nel 1938 Cesare e Fernanda iniziano a frequentarsi condividendo la passione per lo studio della letteratura, in particolare per quella americana. Pavese nomina per la prima volta Fernanda Pivano nel suo Diario il 26 luglio del 1940 con il nomignolo di Gognin, che in piemontese vuol dire “musetto”.
Le chiede di sposarlo due volte, nel 1940 e nel 1945, ma Fernanda era già innamorata di Ettore Sottsass, suo futuro marito. L’inizio della sua carriera letteraria risale al 1943, quando pubblica per Einaudi, sotto la guida di Pavese, la sua prima traduzione della Antologia di Spoon River.
Cara Fernanda, - le scrive il 30 maggio 1943 - che Lei è cattiva ed egoista l’ho sempre saputo, ma neanche io non scherzo e quindi sono disposto a correre il rischio.(...) quando ci si rifiuta di sposarmi, almeno si ha il dovere di risarcirmi facendosi una cultura e imparandola più lunga di me. Non aspetti a saper leggere un libro quando sarà vecchia come il bacucco e per sedurre i giovanotti non servirà più a nulla essere una raffinata intenditrice di poesia. (...) La saluto caramente, non senza augurarmi che noi due siamo insieme, in una casetta di mare, entrambi con la tosse asinina, a darci i colpetti sulla schiena e confondere i nostri ruggiti.
Pavese nel Diario il 26 ottobre del 1946 scrive:
“Do dentro al romanzo. La Piv. si è sposata stamattina. Sono raffreddato. Bene.“
Fuoco grande: l’amore di Pavese per Bianca Garufi
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Bianca Garufi (1918-2006), la pietra che rotola, a cui Pavese dedicò i 26 brevi Dialoghi con Leucò (da “Leucotea”, la forma greca arcaica del nome Bianca) è stata una scrittrice e psicanalista junghiana. Dal 1944 al 1958 Bianca Garufi lavora per Einaudi nella sede romana e qui conosce Cesare Pavese, interessato alla psicanalisi e ai miti greci. Pure questa volta Pavese s’innamora ma il loro è un amore difficile.
La Garufi, dopo una parentesi di “carnale convivenza”, è riluttante davanti alle profferte di matrimonio, insiste a considerarlo “un’anima gemella”, sostiene di provare per lui:
un sentimento familiare che so come fra fratelli e sorelle o come appartenenti alla stessa razza.
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La studiosa Mariarosa Masoero con il saggio Una bellissima coppia discorde ricostruisce attraverso il carteggio tra Cesare e Bianca la loro tormentata “liaison” sentimentale. Pavese dedica alla “donna venuta dal mare” le nove poesie di La terra e la morte.
Tra il febbraio e l’aprile del 1946 la Garufi scrive, a quattro mani con Pavese, il romanzo bisessuato Fuoco grande. Un interessante esperimento letterario: come in uno specchio i capitoli dispari sono narrati da Pavese (Giovanni), quelli pari dalla Garufi (Silvia).
Il romanzo rimane incompiuto a causa della stanchezza e delle discordanze tra gli autori e solo nel 1959 il libro verrà pubblicato.
Bianca, alla notizia del suicidio di Cesare, scrive:
“Pavese, sciocco, non potevi farti aiutare? Io forse, adesso, ti potevo aiutare”.
Constance Dowling, il grande amore di Pavese
L’attrice americana Constance Dowling (1920-1969), la donna venuta di marzo, è l’ultimo amore infelice di Pavese. A lei dedica le dieci poesie di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Si erano conosciuti a Roma nel dicembre del 1949 e si erano rivisti a Cervinia nel marzo del 1950. Scrive nel Diario del 6 marzo:
Connie, è stata dolce e remissiva, ma insomma staccata e ferma. Il cuore mi è saltato tutto il giorno, e non smette ancora.
Il 9 marzo scrive:
Battito, tremore, infinito sospirare: Possibile alla mia età? Non mi succedeva diverso a 25 anni. Eppure ho un senso di fiducia, di (incredibile) tranquilla speranza. È così buona, così calma, così paziente. Così fatta per me. Dopotutto lei mi ha cercato. Ma perché non ho osato lunedì? Paura? (…) paura della mia impotenza? È un passo terribile.
Quell’amore durò poche settimane perché Connie lo lasciò per l’attore Andrea Checchi e poi ripartire per gli Stati Uniti. Ne Il vizio assurdo Davide Lajolo riporta una confidenza che gli fece Pavese:
È scappata di notte dal mio letto nell’albergo di Roma. Ed è andata nel letto di un altro, dell’attore che tu conosci. Come quell’altra, peggio di quell’altra. Ti ricordi quella di Torino? È lei che ha detto l’ultima parola tra me e le donne.
Oltre le quattro donne difficili Pavese ebbe altre storie, brevi e intensi innamoramenti non ricambiati. Alcuni nell’età adolescenziale come la cantante ballerina Pucci, a cui Pavese dedica la poesia O ballerina ballerina bruna (1925), conosciuta nel cafè - chantant “La Meridiana” di Torino dove lei lavorava.
Pavese le diede un appuntamento, ma lei non si presentò nel luogo dell’appuntamento e il giovane Pavese la aspettò per ore sotto la pioggia, finendo poi per ammalarsi di pleurite. Francesco De Gregori cita questa storia nella canzone “Alice”, tratta dall’album Alice non lo sa del 1973.
Pavese s’infatuò pure di un’altra artista, l’attrice e cantante Carolina Mignone (1905 –1980) in arte Milly. All’età di 19 anni, nel marzo del 1927, senza mai avvicinarla, le scrisse una lettera:
Certo signorina non potrà non stupirla, per non dire peggio, questa lettera di una persona che lei non conosce. Vorrei farmi perdonare scrivendole che se lei non conosce me io conosco lei, ma non sarebbe sfacciata la pretesa? (…) Se non sono riuscito che a farla ridere, signorina, mi getti in un angolo e sarà finita, ma se almeno un briciolo di quel che provo l’ho espresso, e lei l’ha compreso, allora non mi lasci in questo dubbio. È una speranza folle, ma pure una risposta benevola sarebbe tutta la mia gioia. Tante cose avrò da dirle se lei sarà così buona da ascoltarmi.
La Mignone, per una serie di circostanze avverse, lesse quella lettera addirittura dopo la morte di Pavese e decise di inserire nel suo repertorio una canzone in “Ricordo di Cesare Pavese”, conosciuta anche come Un paese vuol dire non essere soli.
Pierina, l’ultimo amore di Pavese
L’ultima infatuazione nella vita di Pavese, dopo la fine della sua storia con Constance Dowling, è la giovanissima Pierina Romilda Bollati di Saint Pierre (1932 – 2014), sorella di Giulio che all’epoca lavorava da Einaudi e in seguito diventerà amministratore delegato della casa editrice Bollati Boringhieri.
Pierina è la donna venuta dal mare, a cui Pavese scrisse la sua ultima lettera nell’agosto del 1950, pochi giorni prima del suicidio.
“Cara Pierina (…) Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? (...) Non si può bruciare la candela dalle due parti - nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto. Tutto questo te lo dico non per impietosirti - so che cosa vale la pietà, in questi casi - ma per chiarezza, perché tu non creda che quando avevo il broncio lo facessi per sport o per rendermi interessante. Sono ormai aldilà della politica. L’amore è come la grazia di Dio - l’astuzia non serve. Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falò di bene. Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela. Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei - in fondo non voglio che questo - ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono. Amore”.
Le donne di Cesare Pavese nella letteratura e nei romanzi
Oltre alle donne in carne e ossa, ci sono le donne protagoniste, comprimarie o semplici comparse delle poesie, dei racconti e dei romanzi. Ne elenco alcune.
C’è Gisella, uccisa dal fratello durante la mietitura in Paesi tuoi (1941).
Talino aveva fatto due occhi di bestia e, dando indietro un salto, le aveva piantato il tridente nel collo.
C’è Rosetta in Tra donne sole (1949) che si suicida in una camera d’affitto.
Un gatto l’aveva tradita – era nella stanza con lei, e il giorno dopo, miagolando e graffiando la porta, s’era fatto aprire.
Ci sono Amelia, malata di sifilide, Tina la zoppa e Ginia, l’adolescente che perde l’innocenza, lasciandosi sedurre da un pittore ne La bella estate (1949).
C’è Cate, la protagonista femminile de La casa in collina (1948 ).
Con Cate lasciavamo la barca tirata a riva, scendevamo sull’erba, e giocavamo a fare la lotta tra i cespugli (…) Così ci prendemmo sull’erba, una volta, due volte, malamente.
Ci sono Linda e Gina (Il compagno, 1947).
Linda ballava stretta stretta e mi cercava lei la bocca”. “ La chiamavo Ginetta. Lei rideva e piangeva; non stava mai ferma.
Ci sono Elena, donna remissiva e materna e Concia (Il carcere, 1939) la serva selvatica, inafferrabile, disposta a cedersi una volta e poi fuggire.
Altre donne sventurate nell’ultimo romanzo (La luna e i falò, 1950): le bellissime Irene, che morì di tifo; Silvia, per le conseguenze di un aborto e Santa, uccisa dai partigiani e il suo corpo bruciato.
Una donna come lei non si poteva coprirla di terra e lasciarla così. (…) Ci pensò Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bastò. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli amori e le donne difficili di Cesare Pavese: i libri che li raccontano
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