La citazione è sintomo d’amore. Cantautori italiani e memoria letteraria
- Autore: Francesco Ciabattoni
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2016
Che la canzone d’autore sia un genere a sé stante, un genere alto, intrinseco alla letteratura e alla poesia, può sfuggire soltanto a chi non ha orecchie per intendere (e nemmeno per ascoltare dischi che abbiano qualcosa da dire, se vogliamo dirla tutta). Per quanto mi riguarda, non fosse esistita la canzone d’autore, avrei persino potuto fare a meno della musica. Mi conforta non poco trovare sostegno alle mie idee in un testo di chiara impronta accademica (con i giornalisti ho ormai perso le speranze, troppo occupati a stare al passo coi tempi, loro). Lo ha scritto - benissimo – Francesco Ciabattoni (professore associato alla Georgetown University di Washington DC), si intitola “La citazione è sintomo d’amore. Cantautori italiani e memoria letteraria” (Carocci, 2016) e dimostra come la parola scritta di romanzi e poesie possa diventare (di fatto è diventata) in alcuni cantautori italiani testo di canzone. Non certo per voglia di indebita appropriazione, piuttosto per suggestione conscia o inconscia, omaggio, rimando, citazione, rivisitazione.
In altre parole: per il sacrosanto sintomo d’amore da cui discende il titolo (a parte il calembour del battistiano “l’eccitazione è simbolo d’amore”). Spiega Francesco Ciabattoni:
“La pratica letteraria dell’allusione, sia essa palese o celata, rappresenta una forza centrifuga del genere canzone d’autore (…) Canzoni così costruite tendono a gettare ponti verso qualcos’altro da sé e ad instaurare un dialogo con generi e forme d’arte diverse” (p. 143).
L’analisi di Ciabattoni prende in esame lo specifico letterario di alcuni cantautori - Vecchioni, Guccini, Banduardi (sic!), De Andrè, De Gregori e Baglioni (doppio sic!, nel senso che proprio Baglioni uno non se lo aspetta, e invece ci trova dentro articolati riferimenti a Pasolini) - al fine di provare, in fondo, che trattasi tutt’altro che di canzonette. Insomma: paralleli, comparazione, analisi del verso impiegati dall’autore per questo libro non fanno altro che dimostrare l’estrazione colta dei cantautori italiani di vecchia scuola (mica i licealetti dal background stereotipato di oggi. E di quest’ultima mi assumo piena la paternità). Prendete nota del modo in cui Ciabattoni sintetizza mirabilmente e vi sarete resi ulteriormente conto della natura di questo saggio:
“La tecnica intertestuale preferita di Vecchioni e Guccini consiste nel mettere sotto i riflettori l’elemento importato dal testo di origine: essi utilizzano interi versi di poesie troppo note per passare inosservate, giocano per lo più a carte scoperte, citando nei propri titoli direttamente i nomi degli scrittori o dei loro celebri protagonisti” (p. 143).
Cosa che non fa quasi mai Francesco De Gregori, il cui tratto evocativo (più che ermetico) tende a sfrangiare, rielaborare e a suggerire, piuttosto che a illustrare. Cosa che Fabrizio De Andrè fa a volte, citando sin dalla copertina (vedi il Lee Master di Non al denaro, non all’amore né al cielo) e a volte no, riprendendo “singole parole o sintagmi che tradiscono l’influenza della fonte” (p. 144). Quando invece Angelo Branduardi “si appoggia al testo intero, non lo fa scomparire dentro alla sua canzone, ma lo riscrive e lo declina secondo la sua grammatica artistica” (p. 144).
L’esaurimento dello spazio a mia disposizione mi costringe alla sintesi ma giuro che la struttura di “La citazione è sintomo d’amore. Cantautori italiani e memoria letteraria” merita invece di essere approfondita, riletta, studiata per esteso e in modo capillare. Si vede lontano un miglio, insomma, che il libro c’è. Che non si tratta del solito libro sul cantautore di turno scritto dal giornalista officiante di turno. Francesco Ciabattoni ha inoltre dalla sua il vantaggio di una scrittura fruibile anche dal lettore non specialista. Davvero ottimo.
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