

Luigi Capuano (1904-1979), regista conosciuto per i suoi film epici del genere ’cappa e spada’, era nativo di Napoli, ma ha sicuramente subito il fascino della città di Venezia e dello scontro navale tra la Serenissima e i corsari uscocchi, che ha trasposto in due pellicole uscite a poca distanza l’una dall’altra: Il boia di Venezia, del 1963, e Il Leone di San Marco, uscito nelle sale italiane nel 1964.
L’analisi di questi due piccoli “colossal” – invero un po’ dimenticati – ci spinge a interrogarci sul legame tra fantasia e realtà storica: in questo articolo proveremo a passare le due trame al vaglio delle fonti, senza per questo voler screditare artisticamente i due lavori, la cui visione può offrire ai nostri lettori un po’ di divertimento per una serata con gli amici.
Il boia di Venezia
Il boia di Venezia è ambientato nel 1645, erroneamente sotto il governo del Doge Giovanni Bembo (1543-1618), il cui dogado nella realtà storica durò dal 1615 al 1618. La trama si basa sull’immagine fosca di Venezia rappresentata come stato poliziesco retto da magistrati onnipotenti, ossia la leggenda nera creata per fini politici dagli illuministi e poi assorbita dagli scrittori romantici, che si nutrivano di atmosfere torve. L’Inquisitore Roderigo Zeno (interpretato da Guy Madison) desidera assumere il potere e deporre il Doge, gravemente ammalato, in un vortice di intrighi: Sandrigo Bembo (interpretato da Lex Barker), supposto figlio del Serenissimo Principe, è in verità figlio del boia Guarneri (Mario Petri), un ex-uscocco in cerca di vendetta contro il governo veneto.
Nel 1645, in verità, sul trono di Venezia era seduto il Doge Francesco Erizzo (1566-1646), che fu in carica dal 10 aprile 1631 alla sua morte; ciononostante, va detto che il già citato Giovanni Bembo fu effettivamente un avversario degli uscocchi sin dal biennio 1597-1598, quando era ancora Provveditore militare del Golfo e arrivò quasi ad annientare i filibustieri presso Rogosnizza, portando poi a compimento la repressione dei corsari da Doge. Sotto il Bembo, infatti, nel 1617, era stata definitivamente chiusa (per via diplomatica) la questione uscocca. Durante il suo dogado inoltre un tentativo di colpo di stato si era manifestato davvero, ma non l’aveva preparato un Inquisitore, bensì (pare) il governo spagnolo: si tratta della famosa congiura di Bedmar sventata il 12 maggio del 1618, quando Bembo era da poco passato a miglior vita (spirò il 16 marzo di quell’anno). Se si vuol proprio cercare qualche elemento per giustificare la sovrapposizione o l’inversione di due figure ben distinte e cronologicamente distanti, si può notare che sia Giovanni Bembo che Francesco Erizzo alla fine del loro dogado erano in pessime condizioni di salute, ma Capuano ha indubbiamente creato una bella confusione...
Chi erano gli uscocchi?
Tornando a noi, chi erano gli uscocchi?
Nel suo libro Venezia e i corsari (Laterza, 1961), lo storico Alberto Tenenti (1924-2002) spiega:
“Dal 1540 all’incirca, e per oltre un secolo, il problema uscocco ricorre incessantemente nei dispacci diplomatici, avvelena i rapporti tra Venezia e la Casa d’Austria, il Papa, i Turchi. Questi ultimi, dopo aver conquistato la maggior parte del regno d’Ungheria – di cui faceva parte Segna, con la Croazia – si erano fermati alle soglie del Quarnaro; gli Asburgo, eredi dei diritti alla corona ungherese, avevano accolto benevolmente al loro soldo un certo numero di famiglie che si erano rifugiate su quel lembo di terra. Per lunghissimi decenni né l’Impero ottomano riprese seriamente l’offensiva né l’Austria fu in grado di partire al contrattacco: vivaci e frequenti continuarono invece le scaramucce tra i due avversari. In questa piccola guerra di frontiera quei profughi – ché tale è il significato della parola uscocchi – si trovarono del tutto a loro agio. Sicuri della protezione imperiale, aiutati dai Pontefici che vedevano in loro dei crociati”.


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Umberto Matino, curatore della Storia degli uscocchi. Trascritta dal testo originario di Minuccio Minucci e Paolo Sarpi (Biblioteca dell’Immagine, 2016) riporta che “uscocchi” deriva
“dalla parola croata uskok che significherebbe fuggiasco e che stava inizialmente ad indicare quella gente dei Balcani – soprattutto serbi e croati – che agli inizi del ’500 scappò dalle proprie terre occupate dall’Impero Ottomano, rifugiandosi nei centri rivieraschi dell’Adriatico”.
Gli uscocchi erano nei fatti dei corsari al servizio dell’Austria che (seppur sempre difficili da controllare) crearono dei grossi problemi sia agli Ottomani che al governo veneziano. Dopo il trattato stipulato successivamente alla battaglia di Lepanto, infatti, i veneti avevano ottenuto che le navi da guerra turche restassero fuori dall’Adriatico, garantendo però il mantenimento dei lucrosi commerci con la Sublime Porta. Dal 1574 turchi e veneziani erano in pace e mercanteggiarono con reciproco vantaggio, ciò offrì agli uscocchi un pretesto religioso per attaccare le navi dei due stati: quelle turche perché appartenenti agli infedeli e quelle venete per il fatto che la Serenissima si era fatta troppo tenera coi maomettani e poiché a quel tempo tra i suoi armatori c’erano numerosi ebrei. Secondo Tenenti gli uscocchi non erano che "un pugno di uomini, in ogni caso non più di mille”, ciononostante essi “erano riusciti a costituire una società di pubblica rapina così efficace che nulla valse a sradicarla”.
Solo nel 1617 nuovi accordi tra le potenze europee segnarono la fine dei predoni del mare: con il Trattato di Madrid gli ultimi gruppi di uscocchi sopravvissuti alla guerra combattuta tra Venezia e Vienna nel 1616-17 furono deportati nella regione di Karlovac e la loro flotta fu bruciata, ponendo fine a ogni controversia internazionale derivante dalle loro razzie.
Il boia Guarneri è quindi un reduce uscocco, uno degli ultimi sopravvissuti della grande stagione della pirateria slava nell’Adriatico, e desidera rifarsi su chi ha distrutto la fortuna dei suoi compagni.
Il boia di Venezia, nel suo genere e per la sua epoca, è un film di buon livello: la scena della battaglia a colpi di sciabola davanti alla facciata di San Marco, da sola, è già una sequenza notevole e suggestiva. Però la questione degli uscocchi, certamente interessante e niente affatto priva di potenziale per immaginare ulteriori avventure, avrebbe meritato di essere sviscerata meglio. Tuttavia, forse, dobbiamo costatare che – ahinoi – il pubblico degli anni Sessanta, era probabilmente più colto di quello di oggi e non aveva bisogno di particolari introduzioni o parentesi narrative per avere un’idea (almeno basilare) di chi fossero gli uscocchi.
Il leone di San Marco
Tutto incentrato sui corsari slavi è invece Il Leone di San Marco, che è una sorta di riproposizione marittima di Zorro. In questa seconda trama le vicende hanno luogo decenni prima rispetto a quelle de Il boia di Venezia, cioè quando il pugno di ferro degli uscocchi percuoteva il Golfo di Venezia al massimo della sua energia, tanto da arrivare a minacciare la stessa città lagunare (circostanza mai avveratasi nella realtà). Il figlio del Doge, il giovane Manrico Venier (interpretato da Gordon Scott), non tollera di vedere infangato il nome della sua Patria e si trasforma in un supereroe antelitteram: il Leone di San Marco, con tanto di maschera, costume nero e marinai al seguito, per sgominare le barche dei nemici della Serenissima.
Nella finzione cinematografica la Repubblica fatica a battere gli uscocchi perché ha affidato la difesa dei suoi porti a dei mercenari tedeschi poco motivati, ricostruzione assurda quando nella realtà gli avventurieri dell’Adriatico erano proprio al soldo dell’Austria. Va però detto che le truppe veneziane impiegate contro i corsari erano spesso formate da schiavoni (quindi soldati slavi), che erano talvolta amici o addirittura parenti di uscocchi, ed effettivamente non desideravano battersi con essi (anche per paura di attirare sulle loro famiglie le rappresaglie dei banditi).
Forte del precedente successo, ne Il Leone di San Marco il regista dorme un po’ sugli allori cadendo in errori francamente evitabili: è possibile che nella Venezia del Seicento un cagnetto da compagnia si chiami “Jolly”? Si sente poi parlare di “combattere contro i turchi a Cipro”, ma siamo nel Seicento e l’isola era già caduta nel 1571...
Va anche detto che qui, per le scene di battaglie, Capuano mira più in alto rispetto a Il boia di Venezia e vorrebbe portarci fin dentro i luoghi e i covi degli uscocchi.
Storicamente la fortezza dei predoni, praticamente fuori anche dal controllo dei loro protettori austriaci, era Segna (Senj):
“Situata nei pressi di Fiume sotto un’aridissima montagna detta Morlacca, senza acqua, senza terra e persino senza legna per qualche miglio all’intorno”
nota Tenenti nel suo saggio:
“Segna non aveva nemmeno un porto o una cala sicura per ospitare navigli: i venti che di frequente spazzavano furiosi le acque antistanti impedivano a qualsiasi vascello di fermarvisi”
, eppure essa pareva una rocca imprendibile.

L’Arcivescovo di Zara Minuccio Minucci (1551-1604), nella sua citata Historia degli Uscochi, scrisse che Segna era un vecchio feudo dei nobili croati Frangipane ormai trascurato:
“Nel passato la città di Segna e la sua fortezza ricadevano all’interno dei vasti possedimenti della nobile casa dei Conti Frangipane i quali, a suo tempo, erano stati dei valorosi cavalieri nel mentre oggigiorno sono alquanto decaduti”.
Il regista, però, sostituisce Segna con Ragusa (Dubrovnik), città che ha tutta un’altra storia, eppure sarebbe bastato riportare un nome corretto per migliorare il film evitando un ulteriore scivolone gratuito.
La battaglia finale vede l’invincibile forte assediato ed espugnato; anche nella realtà i veneziani compirono un’incursione contro la piazza d’armi, ma non fu propriamente quella l’azione risolutiva nella lunga contesa. Comunque sia, lo storico Tenenti riconosce ai veneti:
“possiamo generalizzare senza tema di errore: mai le triremi della Repubblica (se non erano impedite dalla mancanza di ciurme, di vettovaglie o da altri accidenti) rifiutarono la lotta contro i corsari e tutte le volte che riuscirono ad ingaggiarla ne sortirono, materialmente o moralmente, vincitori”.
Il presente scritto non mirava a evidenziare puntualmente tutti i difetti dei film di Capuano, ma anzi a rinverdirne la memoria. Da lungo tempo non si vedono più al cinema delle pellicole dedicate alla storia della Repubblica di Venezia. Nel 2014 nelle sale venete è circolato Il Leone di Vetro, piccola e sfortunata produzione del regista Salvatore Chiosi (curiosamente napoletano come Capuano), ma la Serenissima vi rivive in un solo breve episodio, che racconta alcuni momenti del tramonto della Repubblica nel 1797.
Dato che i registi italiani sono completamente disinteressati alla storia veneta, sarebbe significativo se qualche grande nome del cinema statunitense volesse raccontare (preferibilmente con degni effetti speciali) le battaglie dei veneziani, magari quella di Lepanto, o anche la gloriosa resistenza di Corfù all’invasione turca nel 1716. Tuttavia la rabbiosa islamofilia che condiziona il mondo progressista, il quale attualmente controlla l’intera “industria culturale”, nonché le grandi capacità economiche che consentono a diversi governi musulmani di esercitare la corruzione a ogni livello nel cosiddetto “Occidente”, spesso coalizzate anche per deformare la concezione della storia presso gli abitanti del continente europeo, non lasciano ben sperare riguardo la fattibilità di una simile impresa... purtroppo, come diceva Orwell, “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Due film di Luigi Capuano sulla Repubblica Veneta passati al vaglio della realtà storica
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