Quello di Er è uno dei miti più celebri della filosofia platonica: un monito che il pensatore ateniese ci consegna, come un monito, alla fine della Repubblica per mettere in guardia l’uomo sul suo ruolo nella vita terrena.
Il mito di Er è uno dei racconti più celebri della Repubblica di Platone, opera capitale della filosofia greca che ha segnato, per molti versi, tanta parte del pensiero occidentale successivo e che, ancora, oggi rimane un unicum per la mirabile capacità di riepilogare e concentrare tutti gli elementi della riflessione matura del grande filosofo ateniese.
Come molti altri miti narrati nella Repubblica, e in altri dialoghi platonici, il mito di Er, lungi dall’essere un banale racconto immaginifico, si configura come una modalità alternativa di pensiero, un felice esempio di quel pensare per immagini che, in Platone, integra e completa il pensiero propriamente detto, ovvero la riflessione di natura discorsiva che utilizza gli strumenti della logica.
Il mito di Er di Platone costituisce, però, anche un episodio di portata rivoluzionaria nella filosofia antica perché, pur riprendendo temi e problemi presenti nella tradizione filosofica e religiosa precedente, li sovverte e ne muta il segno. Il mito di Er assegna così all’uomo la grande responsabilità di scegliere il proprio destino e di diventare protagonista della propria esistenza. Si tratta di un’istanza che tanta parte avrà nella filosofia successiva e che, poi, con accenti diversi sarà recuperata e rielaborata in movimenti culturali dei secoli successivi, come il Rinascimento e l’Idealismo tedesco.
I precedenti del mito di Er: il destino dell’anima dopo la morte nella Grecia antica
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Il mito di Er può essere compiutamente compreso solo tenendo presenti alcuni elementi della tradizione greca e del pensiero che precede Platone. La religiosità greca, e in particolare l’Orfismo, il movimento religioso che influì profondamente sulle dottrine pitagoriche, è permeata dalla convinzione che l’anima, ovvero il principio di natura spirituale che caratterizza l’uomo, sopravviva al corpo mortale e sia destinata a reincarnarsi. Come ribadirono, poi, i pitagorici, l’anima vive un ciclo di reincarnazioni successive (metempsicosi) e potrebbe reincarnarsi non solo in un altro essere umano ma anche in un essere vivente di natura più infima, come un animale e una pianta, a seconda del comportamento tenuto nella vita precedente.
La cultura greca è poi contrassegnata dalla profonda convinzione, evidente anche nelle tragedie di Eschilo e di Sofocle, che l’uomo non sia mai completamente libero e che gli eventi della sua vita debbano conformarsi e seguire un superiore destino che è già scritto e determinato.
A ciò dobbiamo, infine, aggiungere la convinzione, molto diffusa nella cultura greca, che l’anima sia accompagnata, nel suo percorso terreno da un daimon che orienta le sue scelte. Questo daimon - in italiano diremmo demone - che può essere considerato una parte dell’anima o, per altri, l’anima stessa, dapprima pare essere una forza determinante, che impone all’uomo di essere ciò che è. Questa concezione viene però gradualmente destrutturata dai filosofi che precedono Platone: Eraclito, ad esempio, afferma che il daimon dell’uomo è il suo carattere mentre Democrito osserva che la felicità dipende dal daimon e non da fattori esterni come le ricchezze o i beni terreni; Socrate, infine, crede che il daimon non imponga all’uomo cosa fare ma gli suggerisca cosa è meglio non fare, sebbene la scelta ultima sulle azioni compiute rimanga in capo all’anima stessa.
La narrazione del mito di Er
Platone narra il mito di Er nel X e ultimo libro della Repubblica, uno dei luoghi più importanti dei suoi dialoghi per comprendere la sua visione escatologica (relativa al destino dell’anima dopo la morte). Qui Platone non si concentra tanto su quel che succede all’anima dopo la morte del corpo, come aveva fatto nel Fedone, ma illustra cosa succede all’anima nell’Iperuranio, ovvero in quella dimensione ultraterrena in cui le anime sostano prima di reincarnarsi nuovamente in un corpo mortale. Affascinato dalle dottrine pitagoriche, e dall’importanza che in esse rivestivano i numeri, Platone è convinto che le anime debbano permanere per circa 1000 anni (dieci volte il tempo massimo di una vita terrena, ovvero circa 100 anni) nell’Iperuranio, dove hanno la possibilità di contemplare le idee, prima di tornare a una nuova vita terrena.
Socrate (personaggio della Repubblica) narra la storia di Er, un valoroso soldato della Panfilia, che dopo esser caduto in battaglia torna miracolosamente alla vita avendo memoria del suo viaggio ultraterreno. Er, in qualche modo, compie un’esperienza di pre-morte e ha il privilegio, più unico che raro, di conservare il ricordo di ciò che ha visto.
Er allora può a sua volta dar conto del suo estemporaneo viaggio e descrivere come le anime vengono giudicate; sono gli stessi giudici che gli impongono di osservare per poterlo, poi, raccontare. Più interessante è, però, quel che avviene dopo, quando le anime che hanno già concluso il loro viaggio ultraterreno, sono condotte in un luogo divino dove vedono una luce simile all’arcobaleno, che irradia il cielo nel quale è sospeso il fuso di Ananke, la divinità greca del destino, della necessità ineluttabile che regge tutte le cose e tutte le cose governa. A lei sono strettamente connesse le tre figlie (Cloto, Lachesi e Atropo) chiamate Moire in greco, o Parche in latino, anche loro impegnate a definire e assegnare il destino futuro degli uomini.
Le anime vengono allora disposte in fila da un araldo, per presentarle a Lachesi, quest’ultimo mostra i possibili modelli di vita futura e pronuncia il seguente discorso:
«Parole della vergine Lachesi sorella di Ananke. Anime dall’effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a una nuova morte. Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la onori o la spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il Dio non è responsabile». (Platone, Repubblica, X, 617d-617e; Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 699)
Dopo un sorteggio che stabilisce l’ordine nel quale le anime sceglieranno, tra i vari paradigmi di vita proposti, Er si trova di fronte allo spettacolo, insieme penoso e sublime, della scelta della vita futura: la maggior parte delle anime sceglie in base alle abitudini della vita precedente, altre, invece, sono più avvedute grazie all’esperienza maturata, altre ancora, come quella di Odisseo, stanche di avventure eroiche ma pericolose, preferiscono la vita ordinaria di un privato cittadino. Il destino scelto da ciascuna anima viene poi confermato e reso inalterabile dalle altre due Moire; le anime, poi, vengono condotte presso il fiume Amelete e costrette, tutte tranne quella di Er, a bere l’acqua della dimenticanza che rimuoverà ogni ricordo della dimensione ultraterrena.
Il significato del mito di Er
Il messaggio che Platone ci consegna nel mito di Er ha una portata rivoluzionaria e sovverte tutta la tradizione greca precedente, perché il filosofo sta affermando, sotto le mentite spoglie del racconto immaginato, dislocato peraltro in una dimensione ultraterrena e posto, come un monito, nel libro finale del suo capolavoro, che ciò che siamo dipende in larga parte dalle nostre scelte.
Non esiste, dunque, per Platone, una disposizione dell’anima, un ordine stabilito a priori al quale, volenti o nolenti dobbiamo sottometterci né una forza divina - il daimon, appunto - che ci guida, eventualmente anche al male, se è un cattivo daimon.
Socrate, poi, nota a margine del racconto che saper scegliere un modello di vita giusto, e conseguentemente saper scartare un paradigma ingiusto è di fondamentale importanza per raggiungere la maggiore eudaimonia, ovvero, letteralmente, il buon daimon, la buona disposizione d’animo, quindi, in definitiva, la felicità.
Se la scelta del proprio destino viene fatta con cognizione di causa, l’anima potrà condurre la successiva vita in modo felice e, osserva Socrate, anche noi che abbiamo appreso il racconto di Er, dobbiamo tenerlo a mente per seguire, anche in questa vita, la retta via della giustizia e della saggezza, così da massimizzare la nostra felicità anche in questa vita.
Anche se la sorte terrena, una volta scelta, è irrevocabile, la scelta di quel che saremo, pare dirci Platone rimane in capo a noi e al nostro discernimento: è questo il grande insegnamento del mito di Er che tanta fortuna avrà nei secoli successivi: è in questo racconto, ad esempio, che trova la sua origine più profonda la preferenza rinascimentale per una vita attiva e la convinzione che la virtù possa sempre vincere la sorte, buona o cattiva che sia, e che l’uomo sia homo faber suae quisque fortunae, ovvero artefice libero del proprio destino.
Recensione del libro
La Repubblica
di Platone
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il mito di Er di Platone: analisi e significato
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