Tutti conoscono le sue poesie d’amore così traboccanti di tenerezza e passione da far ribollire il sangue nelle vene. Ne deriva l’impressione che Pablo Neruda nella sua vita abbia amato molto; ma non fu solo il “poeta dell’amore”, fu anche un politico militante, un uomo animato da un impegno civile implacabile che credeva nella letteratura come strumento per cambiare il mondo.
La politica ebbe un peso determinante nell’esistenza di Neruda tanto da porlo al centro di alcuni intrighi internazionali: negli anni della sua militanza comunista fu persino accusato di aver avuto un ruolo determinante nella congiura contro Lev Trotsky. Gli negarono il Nobel per questo, ma in seguito si sarebbe preso la sua rivincita.
Nel 1971 fu conferito a Pablo Neruda il premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione:
Per una poesia che con l’azione di una forza elementare porta vivo il destino e i sogni del continente.
La sua era dunque una poesia d’azione che agiva tramite l’impulso di parole semplici, elementari comprensibili alla moltitudine popolare.
Scriveva:
La vita mi chiese di combattere
e organizzai il mio cuore lottando
per ridestare la speranza
Io sono
fratello dell’uomo, di tutti gli uomini
Le mie due mani si chiamano
dovere e amore.
Io suoi erano versi che facevano emozionare perché evocavano immagini concrete, vitali, piene di audacia, traboccanti di vita. Era un uomo tra gli uomini, non un eroe né un dio: nella sua poesia dava ai versi la profondità della sostanza, trasformava pure la luce in materia impastandola sulla pagina in un grumo di colore vivido come un pittore che gioca con i suoi pennelli. Persino le donne amate da Neruda non sono muse astratte ed eteree ma presenze fatte di carne e sangue, eleganti e sensuali.
La sua era una poesia di vita, che narrava l’amore così come la solitudine, la natura e i giochi di potere, che ha lasciato un segno indelebile nella letteratura del Novecento.
Scopriamo la vita del grande poeta cileno che inevitabilmente si trasfonde nella sua opera in una infinita metafora che sfuma ogni confine tra realtà e letteratura. Un anno prima di morire il premio Nobel ripercorse la sua intera esistenza in un libro di memorie, che fu pubblicato postumo con il titolo Confesso che ho vissuto (Einaudi, 1974).
Pablo Neruda: la vita
La mia infanzia sono scarpe bagnate, tronchi spezzati
caduti nella selva, divorati da liane
e scarabei, giorni dolci sull’avena
e la barba dorata di mio padre.
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Nella sua unica opera in prosa Pablo Neruda ripercorre la propria vita procedendo per schizzi e illuminazioni improvvise, seguendo i misteriosi circuiti del ricordo. Del resto l’esistenza non ha mai un andamento lineare, procede per sensazioni, percezioni, intuizioni improvvise ed esattamente questo ritmo nervoso, fatto di ritmi lenti e improvvise accelerazioni, che Neruda ci restituisce in Confesso che ho vissuto.
Il poeta nacque il 12 luglio 1904 a Parral, in Cile. Il suo vero nome era Neftali Ricardo Reyes Basoalto, avrebbe in seguito adottato lo pseudonimo in onore di Jan Neruda il poeta ceco che celebrò la rivoluzione.
Lì, nel centro del Cile, crescono le vigne e il vino abbonda. Senza che me lo ricordi, senza sapere di averla guardata con i miei occhi, mia madre, donna Rosa Basoalto, morì. Io nacqui il 12 luglio 1904 e un mese dopo, in agosto, sfinita dalla tubercolosi, mia madre non c’era più.
Neruda apparteneva a una modesta famiglia di agricoltori, che avevano “poca terra e molti figli”. Il padre , José del Carmen, inizialmente lavorava come operaio per poi finire a fare il ferroviere nella cittadina Temuco dove si trasferì portando anche il figlio. L’uomo si risposò con Trinidad Candìa Marverde, colei che sarebbe diventata l’angelo custode dell’infanzia del poeta che le avrebbe affibbiato il dolce appellativo di Mamadre.
Il piccolo Pablo scoprì l’amore per la scrittura nella prima infanzia. Il padre lo scoraggiava perché avrebbe voluto che il figlio si impegnasse in un mestiere più tecnico e concreto e facesse carriera. Il giovane poeta trovò però una valida alleata nella sua insegnante: una maestra di provincia Gabriela Mistral, che nel 1945 avrebbe vinto il premio Nobel per la letteratura. Il destino non è mai casuale: sembra combinare gli incontri a tavolino, predisporre in anticipo le occasioni, intrecciare vite.
Fu proprio Gabriela Mistral a prestare al giovane Neruda i libri dei più celebri autori russi incoraggiandolo a perseverare nella scrittura. A soli tredici anni il piccolo allievo prodigio scrisse un articolo dal titolo Entusiasmo y perseverancia che pubblicò sul giornale locale “La Manana”.
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Nel 1920 il poeta decise di dare una svolta alla propria vita recandosi a Santiago dove sperava di trovare lavoro come insegnante. In questo periodo iniziò a firmare le proprie poesie con lo pseudonimo di Pablo Neruda, in onore del poeta ceco. Con quel nome nuovo pubblicò le prime raccolte, che gli fecero guadagnare l’epiteto di “poeta modernista”. Ancora non poteva sapere che un giorno il nome immaginario di Pablo Neruda gli sarebbe stato riconosciuto anche a livello legale.
A soli vent’anni raggiunge già un discreto successo con la pubblicazione della raccolta Venti poesie d’amore e una canzone disperata. È nato un poeta, intanto Neruda si lascia alle spalle l’infanzia di Temuco e i tumulti dell’adolescenza e si avvia verso l’età adulta.
All’attività di giornalista e poeta Neruda affianca la carriera diplomatica. Nel 1927 venne eletto console onorario in Birmania. Iniziò un lungo periodo di viaggi: nel sud est asiatico, poi in Spagna e a Buenos Aires e infine a Città del Messico. In questi anni Neruda conosce la banchiera olandese Marietje Antonia Hagenaar, detta Maruca, che diventerà la sua prima moglie.
Da Maruca il poeta ebbe una figlia, Malva Marina Trinidad, che morì ancora bambina per una idroencefalite. Quella tragica perdita fu una ferita irreparabile da cui la coppia non si riprese più. Neruda iniziò a frequentare Delia del Carril che lo avrebbe introdotto alla passione per la politica marxista e sarebbe diventata la sua seconda moglie.
L’impegno politico e gli anni dell’esilio
L’impegno comunista del poeta in questi anni si fa più fervente, si occupa di seguire in prima persona la campagna elettorale di due presidenti cileni. La passione politica l’avrebbe tuttavia condannato a un lungo esilio. In seguito alla svolta dittatoriale del governo di Videla Pablo Neruda, in quanto suo oppositore, fu costretto a fuggire dapprima in Argentina e poi in Europa dove rimase sino al 1952.
Tornò in patria per seguire la campagna elettorale di un candidato promettente, Salvador Allende che appoggiò con tutte le sue forze. Per conto di Allende, Neruda si recò a Parigi dove lavorò per alcuni anni come ambasciatore. In questo periodo si innamorò perdutamente di Matilde Urrutia, cantante e scrittrice cilena, per la quale lasciò la sua seconda moglie.
L’amore di Pablo per Matilde durò oltre ventiquattro anni fino alla fine della vita di lui. La passione intensa tra i due è testimoniata da un fittissimo scambio di lettere. Missive disseminate di indizi che erano in grado di raggiungere Matilde ovunque, in ogni parte del mondo. Il carteggio segreto durò fino al 1955, e fu portato sullo schermo da Massimo Troisi nel celebre film Il postino (1994) ispirato al romanzo Il postino di Neruda dello scrittore cileno Antonio Skármeta.
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Il poeta nelle lettere all’amata Matilde si firmava sempre con l’identica espressione: Tu Tuyo, che può essere tradotta in italiano come “il tuo tuo”, a lei si consegnava con tutto il corpo e tutta l’anima. Una firma poetica che sanciva una dichiarazione d’amore incondizionato.
A Matilde, Neruda avrebbe dedicato la sua raccolta di poesie più lunga e appassionata I versi del capitano che fu pubblicata in forma anonima nel 1952 a Napoli per rispetto a Delia, che all’epoca era ancora la moglie del poeta. Sono versi struggenti e delicati, appassionati e irruenti che raccontano tutta la folle passione di Neruda per Maltide Urrutia che sarebbe stata la sua ultima musa.
Il premio Nobel per la Letteratura
Nel 1971 Pablo Neruda, già consacrato in patria da diversi premi nazionali, fu insignito del Nobel per la Letteratura. Era il terzo scrittore sudamericano a riceverlo, dopo la sua maestra Gabriela Mistral e a Miguel Angel Asturias.
Nel suo discorso di accettazione, nel 1971, citò il poeta francese Arthur Rimbaud, parafrasando una delle sue celebri frasi:
Solo con ardente pazienza conquisteremo la splendida città che darà luce, giustizia, dignità a tutti gli uomini.
Dopo la consacrazione letteraria del Nobel iniziarono per Neruda anni difficili. Visse in prima persona il momento più nero della storia del Cile, ovvero il colpo di stato del generale Pinochet, l’11 settembre 1973, che avrebbe portato alla morte del suo amato presidente Salvador Allende.
La misteriosa morte di Pablo Neruda
Mentre cercava di fuggire in Messico la morte lo colse all’improvviso - o forse no. Sono in molti oggi a pensare che ci sia un colpo di Stato dietro la scomparsa di Pablo Neruda. Il 23 settembre 1973 il più grande poeta del XX secolo venne assassinato, probabilmente con un’iniezione letale nella clinica di Santa Maria a Santiago, per volere del dittatore di Pinochet che in seguito tentò in ogni modo di infangarne la memoria.
La sua poesia tuttavia restava, quella poesia scritta col sangue, più forte di ogni resistenza, con la sua musicalità infinita capace di incantare intere generazioni raccontando la verità di un uomo che aveva intensamente vissuto ed era rinato a se stesso.
La nascita non è mai sicura come la morte. È questa la ragione per cui nascere non basta. È per rinascere che siamo nati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Pablo Neruda: "Confesso che ho vissuto", la vita e le memorie di un poeta
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