1943, i giorni più cupi
- Autore: Mario Bussoni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2013
Il 25 luglio 1943 una sagra squallida e pasticciata: è l’opinione di Mario Bussoni, che ha dedicato uno dei suoi saggi di ricerca storica e commento alle settimane fatali della quarta estate di guerra. Quelle in cui si consumò la fiera delle falsità, che provocò ancora più lutti a un’Italia gettata da Mussolini in un conflitto planetario dalla parte che non gli apparteneva, quella di Hitler, del nazismo e dell’imperialismo straccione per un Paese che non era affatto la potenza mondiale che pretendeva di essere.
Il volume è “1943, i giorni più cupi. Dal 25 luglio all’8 settembre”, pubblicato a settembre 2013 dalle edizioni Mattioli 1885 di Fidenza-Parma, nella collana Archivi storici (127 pagine in brossura, 15 euro).
La notte del 25 luglio, alle 2.40, al termine di una riunione aperta alle 17.15 del pomeriggio precedente, il Gran Consiglio del Fascismo approvò l’ordine del giorno proposto da Dino Grandi alla discussione nella massima consulta del regime e sottoscritto da altri, tra i quali il genero del duce, Galeazzo Ciano. Chiedeva al “Governo” di “pregare la Maestà del Re” di assumere “l’effettivo comando delle Forze Armate”, “per l’onore e la salvezza della Patria”. Era di fatto la deposizione di Mussolini, che nel documento non veniva mai nominato. Benito raggiunse nel pomeriggio di quella domenica Villa Savoia, per rassegnare le dimissioni in mano al re. E Vittorio Emanuele, nel puro stile di quella commedia degli inganni, lo fece arrestare in segreto dai Carabinieri, che lo condussero fuori della residenza regia a bordo di un’ambulanza.
Ma perché il “dittatore” aveva acconsentito a far trattare l’odg Grandi come unico argomento della seduta di un consesso che non convocava dal 1938? Perché non si oppose a quella sorta di processo? Perché Palazzo Venezia, sede della riunione, non era presidiato dalla consueta guardia d’onore dei Moschettieri del Duce e dal reparto d’ordinanza dei Battaglioni “M”?
Il sovrano smaniava da un po’ per levarsi di torno il fascismo e il suo capo, ma era frenato da tanti timori, compreso quello che il duce o soprattutto Hitler tirassero fuori un coniglio dal cilindro, rovesciando le sorti segnate del conflitto. Quanto a Mussolini, aveva avuto certamente sentore dei complotti che serpeggiavano nella capitale, ma non dava “peso alla cosa”, osserva Bussoni.
L’uomo era solo, precocemente invecchiato, afflitto dall’ulcera duodenale che lo tormentava da tempo, schiacciato da eventi bellici che non poteva fermare con la sola forza di volontà oppure con un bluff o con l’ennesima scommessa azzardata.
A complottare, non erano solo gerarchi, generali, la Chiesa ed emissari degli alleati; tramavano perfino Donna Rachele (la moglie cercava di far sì che il marito prendesse le distanze dalla politica) e l’amante Claretta, “per ragioni incomprensibili, forse intimorita dal peggio che potrebbe succedere”.
E se per conto della Corona il duca Aquarone continuava a contattare diplomatici americani e inglesi, vertici del Regio Esercito, Vaticano e Massoneria, lo stesso nobiluomo teneva Mussolini costantemente al corrente di ogni movimento.
Col “cattivo” relegato al confino, il regime si sgonfiò in una mattinata. Ci si disfece rapidamente dei distintivi del partito, al quale bene o male si era iscritta la stragrande maggioranza degli italiani: “mai stato fascista io” si sentiva affermare dovunque. Ma l’estate del disonore doveva scrivere una pagina se si vuole ancora più vile: il tradimento del Paese e delle forze armate da parte del re e del capo del governo, Badoglio.
“La guerra continua” aveva proclamato alla radio il maresciallo d’Italia il 25 luglio. Ma i contatti con gli alleati per l’armistizio erano già stati avviati, anche se si dovette attendere l’8 settembre pomeriggio perché le carte venissero scoperte, con l’annuncio da parte del gen. Eisenhower.
Il re, il delfino Umberto, la famiglia reale, i dignitari, Badoglio e molti alti gradi, imboccarono l’unica strada aperta verso l’Adriatico, la Tiburtina. Era la fuga vergognosa da Roma e dalle loro responsabilità. Nella penisola e all’estero, i tedeschi stavano rastrellando tutti i militari italiani, tenuti all’oscuro delle trattative con gli angloamericani. 650mila prigionieri deportati in Germania e non vennero nemmeno considerati prigionieri di guerra, erano truppe di un Paese che aveva tradito, non avevano diritti.
La vistosa carovana di auto, con tanto di guidoni sui cofani, superò senza problemi alcuni posti di blocco, compreso quello della Divisione Goering, truppe scelte.
Qualcuno dirà che la fuga del re era “autorizzata” dai tedeschi, avanza Bussoni, ma “non si sa in cambio di cosa” riconosce. L’affermazione resta “priva di ogni prova che la renda credibile”.
Raggiunta Pescara, il corteo reale si spostò a Ortona, dove si imbarcò sulla regia nave militare Baionetta, per raggiungere Brindisi, il porto pugliese in salda mano italiana più vicino agli alleati sbarcati a Taranto. “Ad Ortona è in ansiosa attesa la più grande concentrazione di generali mai vista nella storia del Regno”.
Ecco una delle “pagine più deprimenti della pur travagliata storia del Paese”.
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