L’8 giugno 1949, esattamente settantatré anni fa, veniva pubblicato a Londra dalla casa editrice Secker & Warburg 1984 di George Orwell.
Uno dei maggiori capolavori della letteratura novecentesca ebbe una genesi curiosa e controversa. Leggenda narra che fu proprio la gestazione dell’opera a uccidere lo scrittore.
Nonostante fosse gravemente malato di tubercolosi, George Orwell dedicò gli ultimi mesi della sua vita alla scrittura. Lavorò ininterrottamente a un progetto da lui concepito anni prima, nel lontano 1944, scrivendo la maggior parte del romanzo nella remota isola scozzese di Jura.
La trama narrava di un mondo futuro in guerra perpetua, senza sogni né speranze, in cui uno sparuto gruppo di persone cerca di ribellarsi alle superpotenze che detengono il controllo della vita degli individui.
Era un romanzo cupo, così come cupa era l’esistenza di Orwell in quel peculiare momento storico. Il grande romanziere inglese era infatti provato dalla recente perdita della moglie Eileen e schiacciato dal peso di un successo inaspettato che gravava sulle sue spalle come un carico di aspettative troppo grande. Tutti attendevano con fervore il suo prossimo libro e lui sentiva di non avere più energie. Decise quindi di fuggire dalla vita mondana e rifugiarsi in un’isola scozzese dove avrebbe potuto riflettere e rimettere insieme i cocci di una vita andata in frantumi.
C’era però un’idea che gli germogliava nella mente da tempo, una storia nata sotto i bombardamenti della guerra civile spagnola che ora scintillava nella sua immaginazione unendosi al desiderio disperato di scrivere per trovare un senso al dolore per la morte prematura di Eileen.
L’isola di Jura favorì l’ispirazione dello scrittore, ma il suo rigido inverno fu un contraccolpo durissimo per la già fragile salute di George Orwell.
In quel desolato paesaggio scozzese l’autore decise che avrebbe scritto a ogni costo, sino a essere prosciugato dalla scrittura, l’unico appiglio che ormai gli rimaneva in un’esistenza svuotata da ogni senso.
Strinse così il suo patto personale con il diavolo o, forse, con il demone della creatività che abita nel profondo del cuore di ogni artista. Avrebbe dato la sua vita per un libro - e quel romanzo, forse oscuramente Orwell lo presentiva, sarebbe diventato un capolavoro della letteratura mondiale: 1984.
George Orwell e la scrittura di 1984
Il 4 dicembre 1948 Orwell, provato dalla fatica e dalla malattia, inviò il manoscritto finale all’editore Secker and Warburg di Londra. Il libro fu pubblicato con il titolo di Nineteen Eighty-Four l’8 giugno 1949; il suo autore morì pochi mesi dopo il 21 gennaio 1950.
Link affiliato
Si racconta che fosse stata proprio la scrittura di 1984 a uccidere George Orwell. Per dedicarsi al romanzo infatti l’autore rifiutò ogni cura e assistenza medica, isolandosi volontariamente per dare libero sfogo al proprio genio creativo. Vi è qualcosa di profondamente romantico e, al contempo, di dolorosamente vero in questa storia: George Orwell dedicò le forze che gli rimanevano al suo capolavoro, donò il suo ultimo respiro alla scrittura, suggellando un patto estremo, definitivo, con l’arte che aveva rappresentato la sua stessa vita.
Non poteva morire prima di aver terminato il libro, che sarebbe diventato la sua eredità: quelle pagine - Orwell lo sapeva - avrebbero continuato a vivere mentre lui abbandonava le sue spoglie mortali. La dedizione dell’artista all’opera in questa storia assume contorni quasi parossistici.
In una lettera al caro amico David Astor, editor del giornale Observer, Orwell stesso definì la sua opera in questi termini:
Sanguinoso libro.
La scrittura si rivelò essere un’impresa titanica: una lotta, l’autore la descrisse proprio in questi termini nella lettera. Scosso da accessi di tosse, con il petto dolorante, mentre il sangue macchiava i fazzoletti George Orwell era determinato più che mai a concludere la sua opera. Si era prefissato una scadenza per la metà di dicembre, consapevole di non avere molto tempo. La diagnosi del medico del resto era stata spietata: tubercolosi in stato avanzato. Lo supplicarono di abbandonare l’isola, di riguardarsi, di pensare alla propria salute; ma lui fu sordo a ogni preghiera, mentre sentiva il tempo sfuggirgli dalle dita come sabbia da una clessidra si aggrappava ancora più disperatamente alla scrittura.
Batté le pagine a macchina sdraiato nel suo letto, perché ormai per lui persino stare in piedi o seduto alla scrivania era una fatica. Fu costante, determinato come un bravo scolaro e rispettò la sua consegna, spedì il manoscritto all’editore addirittura in anticipo rispetto alla data indicata da contratto.
1984 di George Orwell: la genesi del titolo
Nelle intenzioni di George Orwell il romanzo si sarebbe dovuto intitolare The last man in Europe. In una lettera all’editore Fredric Warburg, datata 22 ottobre 1948, otto mesi prima della pubblicazione, Orwell affermò di essere indeciso tra quel titolo e Nineteen Eighty-Four. Nella risposta Warburg suggerì di scegliere quest’ultimo, che riteneva commercialmente più valido come titolo principale, malgrado l’autore non fosse del tutto d’accordo.
Esiste una teoria molto popolare secondo cui il titolo 1984 fu scelto perché rappresentava l’inversione di 1948, l’anno in cui fu completato il libro. La data scelta, secondo alcuni critici, intendeva esprimere l’urgenza e la minaccia incombente di un nuovo regime totalitario. L’idea è stata tuttavia contestata dal critico Houghton Mifflin Harcourt che, studiando i manoscritti di Orwell, notò che l’autore sin dalla prima bozza continuò a intitolare il romanzo The Last Man in Europe. Dalle analisi di Harcourt si evince dunque che il titolo più famoso della storia della letteratura novecentesca fu frutto di un emendamento tardivo.
leggi anche
Il romanzo distopico: George Orwell e 1984
1984 di George Orwell: la storia di un successo annunciato
Il libro apparve per la prima volta nelle librerie di Londra l’8 giugno 1949. Era rilegato in una copertina di tela verde rigida, non presentava alcuna illustrazione. Il titolo era scritto a grandi lettere bianche in elegante corsivo che si sovrapponevano alle cifre giganti, 1984, lasciate in trasparenza sullo sfondo. La copertina originale era infine corredata dal nome dello scrittore per esteso: George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, e dall’indicazione didascalica A novel, un romanzo.
L’opera riscosse sin da subito un successo clamoroso. L’editore Warburg stampò solo 25500 copie per la prima edizione, ma in Gran Bretagna ne vennero vendute 49917 in un solo anno. Lo stesso successo si ripeté negli Stati Uniti dove il romanzo ottenne, se possibile, una fama ancor maggiore.
Le recensioni furono entusiaste; i giornalisti inglesi colsero subito il profondo messaggio del romanzo di Orwell, l’intenzione di schierarsi contro ogni forma di dittatura. Negli Stati Uniti piovvero invece alcune critiche da parte dei comunisti e di alcuni esponenti del partito laburista. In Urss il libro fu censurato sino al 1988; in seguito si disse che con il crollo dell’unione sovietica la profezia tragica di Orwell non si fosse avverata.
Ben presto il libro venne conosciuto con il titolo in cifre 1984, che troneggiava sulle copertine successive, nonostate non fossero queste le intenzioni originali dell’autore.
In Italia il libro - pubblicato da Mondadori nel 1950 con la traduzione di Gabriele Baldini - divise ugualmente il pubblico, suscitando un intenso dibattito politico. Il primo a dare importanza al romanzo fu Benedetto Croce, di certo non un amatore di letteratura avveniristica e profetica. Il grande filosofo e critico parlò con toni entusiastici di George Orwell in un saggio intitolato pubblicato sulla prima pagina della rivista Il Mondo, l’8 ottobre 1949,
Benedetto Croce scrisse a proposito di 1984:
Chi, come Orwell, ha guardato il mostro (il totalitarismo, Ndr) e non si è perso d’animo, e lo ha posto a sé, fuori di sé, a fronte di sé, oggetto di disamina e critica, ha scritto il suo libro non certo per rendergli omaggio, ma per esortare a raccogliere le forze di resistenza di difesa e offesa, e perché non si dimentichi mai che nella attuazione di quel sistema totalitario accadrebbe qualcosa di immensamente più vasto e profondo della caduta della civiltà greco-romana.
In seguito la figlia di Croce, Elena, avrebbe dichiarato che le parole del padre furono profetiche. Le attenzioni che Benedetto Croce riservò a quello strano romanzo inglese, così lontano dal suo gusto letterario, le permisero di capire che George Orwell non aveva ancora fatto il suo tempo ma sarebbe stato un autore “da tenere in riserva per tempi più duri”.
Lo sappiamo bene noi oggi che, a settantatré anni di distanza, leggiamo le pagine di 1984 senza smettere di stupirci di come quel libro rappresenti uno specchio riflettente, forse appena deformato, della nostra realtà. La data posta come titolo è ormai superata da quarant’anni, eppure continua a parlarci con il linguaggio cifrato e oscuro delle profezie. L’universo orwelliano dopotutto ci parla di un avvenire prossimo e ancora possibile, le cui inquietanti minacce oggi - nell’era tecnologica - appaiono ancora più tangibili.
In quel romanzo, scritto con il sangue, George Orwell aveva davvero visto il futuro, forse con lo sguardo allucinato e veggente che è proprio dei moribondi. Voleva consegnare al mondo la sua visione e - per nostra fortuna, è riuscito a donarci l’ultima luminosa scintilla del suo genio, anche se a prezzo della vita.
leggi anche
15 cose che (forse) non sai su George Orwell
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’8 giugno 1949 la prima edizione di “1984”, il libro che uccise George Orwell
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri George Orwell Storia della letteratura
Lascia il tuo commento