A Mosca l’ultima volta. In viaggio con Berlinguer
- Autore: Massimo D’Alema
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Solferino Libri
- Anno di pubblicazione: 2022
A Mosca l’ultima volta. In viaggio con Berlinguer, libro di Massimo D’Alema che lessi già nella sua versione di vent’anni fa, per una bella iniziativa editoriale da parte di Solferino è stato ripubblicato a fine 2022, con un’introduzione ricontestualizzante, a quasi quarant’anni dalla morte di Berlinguer e a cento dalla sua nascita.
Del testo appaiono particolarmente apprezzabili diversi aspetti. Il primo è proprio il protagonista, Berlinguer stesso, figura amatissima, che arriva nelle nostre case, “portato” dai nostri genitori e che ha una grande capacità di influenzare dal punto di vista ideale, politico e culturale anche le generazioni che lo hanno conosciuto piuttosto indirettamente. Ma tale influenza è stata mediata anche da figure più vicine temporalmente, che hanno ricordato Berlinguer e hanno provato ad attualizzarne il pensiero. Berlinguer, così come ci rappresenta il testo di D’Alema, è una figura che comunica identità, in senso ideale e politico, ma anche in senso geografico (questo aspetto è, in quanto piuttosto marginale nel contesto, solo sfiorato nel volume).
Ha rappresentato, come in fondo anche Gramsci, una figura della sardità, aliena da ogni separatismo e autoemarginazione, una sardità che si apre al mondo e ad esso guarda con generosità.
La rievocazione che Massimo D’Alema fa di Berlinguer, non solo in questo testo, ma anche in altri, è differente da quella che fanno altri autori, anche provenienti dalla sua stessa tradizione politico-culturale. D’Alema precisa infatti costantemente l’adesione di Berlinguer al comunismo italiano, al di là degli importanti distanziamenti da quello sovietico, dello "strappo da Mosca", qui anche plasticamente documentato nella rievocazione del funerale di Andropov e del suo tentativo di traghettare il comunismo italiano verso altri orizzonti, tentativo molto importante, interrotto anche dall’uccisione di Moro, che ne era il principale interlocutore esterno.
Massimo D’Alema ripercorre il Berlinguer degli inizi degli anni Settanta, che già pensa all’alleanza tra le masse popolari contro l’eversione; quello dell’eurocomunismo, progetto virtuoso con interlocutori fragili; quello che vive con sofferenza il Movimento del ’77, arrivando a delegare al giovane D’Alema, allora segretario della FGCI, il compito di introdurre il Comitato centrale del PCI sul tema della rivolta giovanile (per approfondimenti si vedano gli atti del Convegno La crisi della società italiana e le nuove generazioni, a cura di Franco Ferri, 7-9 ottobre 1977, Editori Riuniti).
Parla del Berlinguer del grande progetto del “compromesso storico”, di cui si accennava prima, di quello che pone la questione morale come intensamente politica e non moralistica; del leader che negli anni Ottanta compie un’inversione di rotta notevole, organizzando la sua politica intorno all’alternativa democratica, ribadendo un’identità “diversa” che sempre si opporrà al craxismo e a ogni ipotesi di alleanza con il PSI, guardando, semmai, con grande favore al femminismo, all’ambientalismo, alle lotte per la pace e il disarmo.
In questa disamina politica, collocata in un volume dall’impronta decisamente emotiva, l’autore recupera una sua abituale razionalità, divenendo, a tratti, anche severo con Berlinguer, non concedendogli ciò che non ritiene debba essergli concesso. Spiega sempre, tuttavia, che le eventuali mancanze di Berlinguer, i suoi limiti, non sono attribuibili all’uomo, alla persona, al politico, ma alle condizioni proibitive nelle quali si era trovato ad agire.
Il comunismo berlingueriano è tema molto caro all’autore, non solo per adesione biografica, ma anche perché molti, sovente, rievocano il leader sassarese quale persona perbene, onesta, dai grandi pensieri e dal grande fascino, rimuovendo il fatto che fosse comunista, quasi che tale qualità sia incompatibile con le altre (l’anticomunismo è una delle più forti e pervasive ideologie italiane).
Nella costanza con la quale D’Alema tiene a ricordare Berlinguer, appare anche l’intento, storicamente documentato da ciò che racconta, di rivendicare una posizione solida tra coloro i quali aspiravano e aspirano, con più o meno ragioni, a esserne riconosciuti seguaci e successori.
Ne risulta un profilo umano di Berlinguer, lontanissimo da rappresentazioni che ne sottolineano la rigidità e perfino il cinismo, come abbiamo visto, ad esempio, in alcune scene di Esterno Notte di Marco Bellocchio o nelle rappresentazioni del comunismo italiano quale mondo "alieno", come se potesse davvero essere un mondo a parte quello cui, fin negli anni Ottanta del Novecento e non cent’anni fa, hanno, in qualche momento, aderito un italiano su tre.
In secondo luogo, questo libro rappresenta un singolare incontro tra storia e memoria: come ricordiamo la Storia che abbiamo vissuto e come essa si è intrecciata con la nostra storia personale? Si tratta di un tema che, ormai, gli stessi storiografi accolgono e praticano (tra di essi c’è, ad esempio, Miguel Gotor). Ci sono eventi che segnano "a fuoco" le generazioni: le grandi memorie della nostra infanzia e prima adolescenza sono il sequestro e la morte di Aldo Moro e la morte di Enrico Berlinguer e ciò che suscitò nel sentimento collettivo; tale intreccio deve, tuttavia. essere esplicitato, deve essere ragionato e elaborato, essendo un grande motivatore politico e ideale ma anche qualcosa di cui dobbiamo essere consapevoli, perché può anche farci vedere la Storia in un modo del tutto distorto. Benché questa seconda opzione non riguardi D’Alema, egli, essendo comunque non un testimone come tanti altri, ma persona che era molto vicina a Berlinguer, ai luoghi e ai momenti in cui ha agito, avverte l’esigenza di utilizzare un singolare registro di scrittura, che bilancia distanza con grande immersione nei fatti.
Il terzo aspetto che vorrei sottolineare è l’intenzione dell’autore di rendere omaggio a una persona molto importante della sua vita che venne a mancare in modo tragico. D’Alema, intervistato in un’occasione sul perché avesse - già una ventina d’anni fa, tra l’altro - voluto farlo, ha risposto:
Perché la vita è una. Pubblico e privato si uniscono in un’unica vicenda, sono indissolubili.
La vita, per chi ha vissuto la militanza politica e la direzione dei movimenti giovanili della sinistra, è stata una: la militanza è stata studio, lavoro, fatica, ma anche svago, “luogo” delle grandi amicizie e dell’amore.
Le righe del testo dedicate all’allora compagna dell’autore fanno pensare a una generazione di donne che hanno cambiato la politica perché hanno tentato di renderla più vicina alla vita. Hanno insegnato alle più giovani il valore di una differenza di genere che si vive e basta, anche quando non è molto comodo farlo e che oggi viene a sua volta messa radicalmente in discussione dalle giovanissime. Questo – si direbbe fisiologico - tramandarsi di visioni, simili e dissimili, del rapporto tra vita e politica è qualcosa di importante, che Livia Turco ha recentemente testimoniato nel suo libro Compagne, edito da Donzelli.
Infine, questo volume ha un suo protagonista implicito, neanche tanto nascosto, ed è il suo stesso autore. Non lo è in modo narcisistico, ma come persona che sente il bisogno, a un certo punto della sua vita o in diversi momenti della sua esperienza - vista la doppia pubblicazione - di raccontarsi attraverso persone che ha amato e per le quali ha sofferto.
È parso sempre un po’ paradossale che un politico come D’Alema, che non è amato da tutti, riesca molto bene nel delineare la figura umana di un uomo che, invece, amato lo è stato molto. Forse qualcosa vorrà dire; forse le persone possono essere giudicate solo in considerazione rigorosa del loro opus complessivo.
A Mosca l'ultima volta. In viaggio con Enrico Berlinguer
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