È morto ieri, all’età di 93 anni, John Barth, ritenuto l’inventore della letteratura postmoderna. Il suo romanzo più famoso era Giles Goat Boy (“Giles, il ragazzo capra”, 1987), ambientato in America ai tempi della Guerra Fredda, definita una brillante “fantasia di teologia, sociologia e sesso”. Nella sua narrativa Barth giocava con il concetto stesso di trama, rivoluzionando anche il linguaggio sino ad approdare a nuove categorie di senso. Faceva parte della cosiddetta “avanguardia” degli anni Sessanta, le sue opere erano infarcite di teoria letteraria.
John Barth diceva di sentirsi come Sheherazade nelle Mille e una notte, di avere la necessità di inventare storie per sopravvivere. Il personaggio di Sheherazade curiosamente ritorna in numerosi suoi libri, come figura ispiratrice. Ed è così che lo scrittore americano riuscì a dimostrare che l’arte dello storytelling non aveva limiti, poiché quei limiti potevano essere allargati. Barth affidava allo storytelling un potere demiurgico, era la quintessenza dell’attività creativa.
La letteratura postmoderna di John Barth
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Era nato il 27 maggio 1930 a Cambridge, il secondo di una coppia di gemelli che formava con sua sorella Jill. Sin da bambino era affascinato dal linguaggio, tanto da quello parlato come da quello musicale. Alla fine, dopo qualche tentativo di carriera come musicista jazz e batterista, avrebbe scelto la strada della scrittura.
Laureato alla prestigiosa Juilliard di New York e in seguito alla scuola di giornalismo John Hopkins, John Barth aveva trent’anni quando pubblicò il suo terzo romanzo, The Sot-Weed Factor (Il coltivatore del Maryland, 1960), che immediatamente lo classificò tra gli scrittori più innovativi d’America: il romanzo fu definito una brillante rivisitazione della letteratura inglese del Settecento.
Il suo primo libro, L’Opera Galleggiante (The Floating Opera, 1956, pubblicato in Italia da minimum fax con la traduzione di Martina Testa e Henry Furst), era già stato un successo, giungendo finalista al prestigioso National Book Award. Il libro aveva come protagonista Todd Andrews, un uomo che si sveglia una mattina e - sopraffatto dalla noia esistenziale - capisce che l’unica soluzione è il suicidio. Vent’anni dopo, ancora vivo e vegeto, ecco che racconta la sua bizzarra storia e tutte le conseguenze di quella strana giornata.
A quel punto il nome di John Barth fu paragonato a quelli di veri e propri fari della letteratura, quali Borges e Nabokov. Lui stesso diceva che la sua carriera letteraria era iniziata mentre, da studente, lavorava come assistente bibliotecario presso la biblioteca della John Hopkins University. In quel periodo trascorreva più tempo a leggere i libri che a metterli sugli scaffali: lesse davvero di tutto, da Faulkner, a Boccaccio, sino al Satyricon di Petronio.
Le opere di John Barth
Il successo più clamoroso di John Barth, tuttavia, doveva ancora arrivare. Sarebbe giunto con il suo quarto libro, The Giles Goat Boy (1966), ora considerato il suo capolavoro. In quelle pagine lo scrittore raccontava di un ragazzo cresciuto come una capra che, infine, scopre di essere umano e si impegna per scoprire il vero segreto delle cose.
L’anno seguente Barth scrisse un articolo, ormai divenuto famoso, sul The Atlantic Monthly in cui affermava che le convenzioni della narrativa letteraria ormai potevano dirsi esaurite. Il titolo dell’articolo era significativo a tal proposito: The Literature of Exhaustion; ma non prefigurava morte, anzi, era un invito a credere nella forza dell’immaginazione creativa. Quell’articolo oggi è considerato uno degli scritti fondanti del postmodernismo.
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John Barth lavorò per tutta la vita come professore universitario, dedicandosi anche all’insegnamento della scrittura creativa. Scrisse oltre una ventina di romanzi e di raccolte di racconti, tra cui Chimera che vinse il National Book Award nel 1973 in ex aequo con Augustus di John Williams.
Il filo conduttore di tutta la sua opera è stata una continua reinvenzione dell’idea di narrativa, in ogni storia si apriva un’altra storia e così via.
Tra i suoi ultimi romanzi figura Coming Soon!!! (2001), in cui Barth immaginava una sfida tra un anziano professore di scrittura creativa e un suo giovane allievo della John Hopkins University. La sua ultima opera è stata The Last Voyage of Somebody the Sailor (2016) in cui immaginava un incontro tra il giornalista Simon Behler e Sinbad Il Marinaio, i due si alternavano nel raccontare le storie dei loro prodigiosi viaggi.
Recensione del libro
L’Opera Galleggiante
di John Barth
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a John Barth, lo scrittore della postmodernità americana
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