Agrò e i segreti di Giusto
- Autore: Domenico Cacopardo
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2019
L’ultima avventura di Italo Agrò è stata una piacevole sorpresa: confesso infatti che, prima di leggere Agrò e i segreti di Giusto (Marsilio, 2019), non conoscevo il sostituto procuratore protagonista di diversi romanzi dello scrittore Domenico Cacopardo che, oltre ad essere stato consigliere di stato fino al 2008, magistrato per il Po (Parma) e magistrato alle Acque (Venezia), collabora con vari quotidiani e periodici e vanta un’intensa attività letteraria.
Contrariato dall’inattesa e sgarbata intrusione dell’avvocata Olga Semmelweis Zalanji e diffidente di fronte a una donna bella e provocante che pretende si occupi, nonostante i tanti “forse”, del presunto suicidio di Giusto Giarmana – l’ingegnere amante della donna, coinvolto nell’ambizioso progetto dei lavori di costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità da Trieste a Budapest. Il giovane sostituto procuratore Italo Agrò cerca di rimandare il momento in cui dovrà prendere una decisione su un caso ormai chiuso e archiviato.
Tornata alla carica dopo qualche giorno, l’avvocata confessa di aver pensato anche lei, in un primo tempo, che Giusto si fosse tolto la vita in un momento di sconforto, a causa della pressione alla quale era stato sottoposto dai familiari.
Ora, però, tormentata dai dubbi, ammette:
Io e Giusto eravamo amanti. Dal 1996. Cinque anni. Aveva lasciato la famiglia e s’era sistemato in un piccolo attico, terrazzo a livello, in via Nicotera. E le aggiungo che c’erano ventisette anni di differenza tra noi: lui ne aveva sessantasei. La questione non è il nostro amore: gliel’ho detto, non credo che si tratti di suicidio.
Inoltre, dopo la morte dell’amante, alla donna sono stati recapitati tre volumi in cui l’ingegnere descrive vicende personali e professionali, queste ultime, riguardanti ciò che stava succedendo nei paesi coinvolti nel progetto della linea ferroviaria ad alta velocità. Il quarto libro, il più recente, è invece sparito: forse è stato sottratto dall’appartamento dopo la disgrazia.
Per la riapertura del caso, l’avvocata si è affidata ad Agrò perché:
Perché lei, dottor Agrò, è il dottor Agrò di cui si parla in tutta la procura di Roma e negli studi professionali. Non molla la presa. Lavora con pazienza certosina sino a quando non ha ricostruito gli eventi.
Il sostituto procuratore ha una teoria, intorno alla quale si muovono le sue indagini, ovvero che “è la vittima a condurre all’assassino” e che “i cadaveri sono più loquaci delle persone vive”.
Affiancato dal commissario di pubblica sicurezza Lanfranco Scuto e da Adamantino Armillato, vicecommissario in servizio al nucleo di polizia scientifica della questura di Roma e da altri fidati collaboratori, Agrò comincia dunque ad analizzare la scena dove si è consumata la tragedia, i documenti ufficiali relativi alle società che lavorano a livello europeo per costruire la nuova tratta del treno ad alta velocità e le memorie private del defunto ingegnere.
Il quadro che si va delineando è quello di una realtà piuttosto intricata, nella quale si mescolano affari e passioni, complicità e omertà, potere politico e potere imprenditoriale e un meccanismo di appalti a cascata dove si annida il seme dell’illegalità.
Giarmana, del resto, era un tecnico qualificato delle ferrovie dello stato trasferitosi alla Sitcof, la Società appositamente istituita per essere il partner operativo della compagnia impegnata nella realizzazione dell’opera. Possedeva dunque la preparazione e l’esperienza per valutare la fattibilità del progetto e i relativi costi e, soprattutto, per mettere in evidenza le anomalie che erano andate via via emergendo.
Naturalmente, l’insistenza e i contenuti delle sue relazioni tecniche, inviate anche agli amici politici, erano risultate piuttosto sgradite ai vertici delle aziende private che lo avevano assunto: da una parte, si erano delineati ben presto assetti organizzativi che gradualmente tendevano ad escludere Giarmana, dall’altra, gli aumenti delle retribuzioni e lo standard amministrativo lo aveva portato a desistere. In questa battaglia che molti definivano senza prospettive, aveva deciso di dedicare il tempo libero ai suoi affari e alla sua compagna.
Pare infatti che l’unico vero problema di Giusto fossero i rapporti, molto deteriorati, con la famiglia: moglie e figlie, ferite e incattivite, timorose di perdere diritti sull’eredità, lo avevano già da tempo escluso dalle loro vite, giungendo a considerarlo morto.
A questo proposito, l’avvocato e amico di famiglia, Fausto Orale, sembra non avere dubbi:
Non credo proprio che la sua attività nella nuova struttura possa essere in alcun modo la ragione del suicidio. Era pagato in modo principesco, aveva un amore giovane e condiviso. L’unico cruccio era la famiglia, cioè le figlie, così dure e ricattatorie nei suoi confronti. Se un movente del gesto può essere trovato è lì che occorre cercare, nei traumi psicologici che l’atteggiamento di Regina e Rosaria Giarmana hanno provocato in lui e che, nonostante tutto, non riusciva a nascondere appieno.
Il lavoro di Agrò e della procura si rivela presto titanico: la verità non sempre si distingue dalla menzogna e, più che far luce sull’accaduto, le testimonianze, spesso contrastanti e contraddittorie, scoperchiano gli intrighi di un’operazione opaca e pericolosa: il problema, però, è che i sospetti non sono sostenuti da prove, ma da indizi e dicerie.
E come se non bastasse, il sostituto procuratore deve arginare le pericolose avance di Olga Semmelweis Zalanji, dapprima forse solo immaginate, poi, via via, sempre più esplicite e dirette.
Pur ammettendo – solo a se stesso – una certa attrazione, Italo riesce a non cadere vittima delle sue adulazioni e dei suoi approcci sessuali, riuscendo a portare a termine un’indagine descritta da Cacopardo fin nei minimi particolari.
Il lettore di Agrò e i segreti di Giusto riesce ad appassionarsi al lavoro, quotidiano e, a volte, frustrante, della procura romana, a entrare nei luoghi che la delimitano, come nelle procedure investigative.
È forse l’aspetto più interessante di questo romanzo: anche se – come spiega l’autore nella postfazione – il contesto narrato, ambientato nel 2001, è frutto della sua fantasia, la trama si fonda su un presupposto geopolitico reale:
Infatti, dopo il 9 novembre 1989, giorno della caduta di Berlino, le relazioni internazionali Est-Ovest ebbero impensati sviluppi. Per l’Italia si aprì uno scenario già noto: quello di poter annoverare i Balcani, l’Ungheria e la Romania come area di propria specifica influenza, sottraendo quei paesi alla pressione della Germania riunificata.
Di un patto di cooperazione pentagonale – la Pentagonale, appunto – che portò all’avvio di una serie di progetti di sviluppo in vari settori, ma che ebbe vita breve, rimase l’idea della realizzazione di un’iniziativa internazionale votata alla realizzazione di una ferrovia ad alta velocità in grado di unire Trieste a Lubiana, Zagabria e Budapest.
Molti anni sono passati dal quel memorabile 9 novembre, ma molte situazioni, in Italia non sono cambiate e Cacopardo è riuscito ad inserire in un intreccio realistico e ancora molto attuale, vicende e personaggi credibili che si muovono in luoghi reali. Fra questi, a fare da contraltare alla procura romana – non solo gli spazi istituzionali, ma anche i ristoranti, dove consumare frettolosamente il pranzo, e i bar dove concedersi una pausa – c’è la Sicilia.
I suoi colori, i suoi sapori, gli scorci, le pietanze e i profumi vengono spesso rievocati nei ricordi di Agrò e in quelli che Giusto ha riportato nei suoi diari:
Cenammo su uno dei laghi messinesi di Ganzirri, da Anselmo, da un lato il lago, oscuro nel buio della notte, salvo il riflesso dell’illuminazione, e dall’altro il mare e lo Stretto, uno degli spettacoli che madre natura ha donato all’uomo per fargli sentire l’orrore della morte e della cecità eterna.
Un ritorno alle origini, non solo fisico e geografico, ma anche interiore e spirituale, che conferma – se ce ne fosse bisogno – il legame profondo e indissolubile fra i siciliani e la loro terra.
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