Alla maniera dei briganti. La Grande Guerra del capitano Ettore Cavalli
- Autore: Giorgio Cavalli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
30 maggio 1916: tutto contrasta ogni possibilità di avanzare ordinatamente verso la cima del Monte Priaforà. Si cerca riparo ciascuno per sé, nei pochi anfratti naturali offerti dai rilievi ripidi e scoscesi delle Prealpi vicentine. Intorno, i compagni cadono colpiti. Il nemico si para avanti all’improvviso.
Ci si batte come nei libri d’avventura con i fuorilegge e gli indiani, perché film e fumetti sono ancora di là da venire quando l’ufficiale parmense di fanteria affronta i primi combattimenti. A lla maniera dei briganti. La Grande Guerra del capitano Ettore Cavalli è il titolo delle sue memorie, rielaborate un secolo dopo dal nipote Giorgio Cavalli, nel volume pubblicato a marzo dalle edizioni udinesi Gaspari, nella collana “Diari e memorie della Grande Guerra” (2023, 176 pagine), con numerose fotografie e cartine in bianco e nero nel testo.
Il testo si avvale della prefazione di Andrea Caspani, direttore di LineaTempo. Anche Giorgio è attivo nella redazione della rivista online di storia, letteratura e filosofia. Nato a Verbania nel 1954, già insegnante di liceo, è nipote di Ettore (Parma 1891-Opera 1987), ch’è stato reduce del primo conflitto mondiale, Cavaliere di Vittorio Veneto e antifascista dell’Oltretorrente nella sua Parma nel primo dopoguerra, poi procuratore generale delle Cartiere lombarde Sterzi.
Nessuno sapeva niente del manoscritto, fino alla morte del nonno.
Venne rinvenuto solo allora dalla terza figlia, che lo affidò a sua volta ai nipoti nel 2015. Si notò subito l’esigenza di decifrarlo: un quadernetto scolastico a righe, non tante pagine piene di appunti e riflessioni, probabilmente ricopiate a mano in un tempo successivo. Un’equipe familiare ha provveduto a interpretare la calligrafia e a trascrivere una bozza digitale, sulla quale Giorgio si è dedicato al lavoro critico e alla ricostruzione storica. Lo stile di scrittura era scarno e asciutto, per niente retorico, secondo il carattere del nonno. Poche concessioni a sentimenti o svolazzi letterari: abbondavano informazioni dettagliate, riferimenti puntuali a date e ore, accenni ad amicizie durevoli, incontri occasionali:
Piccoli accadimenti nel contesto della grande storia.
Due, anzi tre, i teatri di guerra, Quella alpina, rarefatta, nel Vicentino, a difesa della pianura veneta, nel 1916. Poi l’inverno 1917 nelle trincee tra le pietre del Carso, a Castagnevizza, assalti, contrassalti, bombardamento e pause, comunque sotto il pericolo. Infine, le retrovie del Piave, nel 1918.
Come fa notare Caspani, il libro non si limita a presentare l’esperienza di guerra di “un giovane di belle speranze”, scaraventato come milioni di altri in uno scenario drammatico, tra lunghe attese (di cui è fatta la vita militare, diceva Ettore) e brevi strappi violenti, con la morte paro a paro.
Perché Giorgio ha reso il diario del nonno il racconto di una fase della vita che “illumina lo spessore umano del protagonista”, senza nulla togliere all’interesse storico della ricostruzione bellica effettuata dal curatore, capace di sceneggiare le scarse annotazioni sui fatti di guerra, collegandole ad altri piani narrativi e a ulteriori testimonianze, che collocano un’esperienza personale nel lo scenario più ampio di una vicenda collettiva, un evento di massa.
Allievo ufficiale in anticipo sulla leva fin dall’aprile 1915, il ventitreenne ragioniere comincia a frequentare il corso a Bologna, scelta perché vicina a Parma. Il suo voler esserci è in linea con i sentimenti di una generazione in gran parte adolescente, ma già stanca dei conformismi e dei compromessi della vecchia Italia liberale, scrive il nipote. Cercano un posto nel mondo e nel futuro. Seguono nuovi ideali e vogliono concorrere ad affermarli.
L’avventura militare prende le mosse dai topi che infestano la vecchia caserma bolognese e dal sollievo per le bretelle inviategli da casa, che alleviano il fastidio della cinghia sul ventre. E comprende le due volte in cui il giovane ufficiale ha sfiorato la morte. Nell’agosto 1918, una violenta orticaria con febbre lo aveva esentato dal collaudo di una nuova bomba da fucile. Il collega inviato a sostituirlo nel poligono era stato investito dallo scoppio anticipato dell’ordigno difettoso. Un’altra volta, era appena uscito da una latrina per ufficiali, quando una granata aveva distrutto quella tenda, sollevando tutto per aria.
Battesimo del fuoco nel maggio 1916, nel Vicentino, per fronteggiare l’offensiva austroungarica dal Trentino, la Strafexpedition. Assegnato al 209° Reggimento della Brigata Bisagno, aveva impiegato due giorni per arrivare da Genova a Pordenone, in tradotta ferroviaria.
Due considerazioni. La prima è di Ettore Cavalli. Osservando i soldati malmessi della Milizia territoriale in ritirata, classi anziane che i suoi vengono a sostituire per fare argine contro le truppe avanzanti, non nasconde un moto di rabbia contro i Comandi, che avevano preteso di far presidiare un tratto delicatissimo del fronte a quelle truppe da retrovia, contro le quali si era infatti scatenato il nemico.
Troppo tardi ci si era decisi a inviare reparti efficienti, che arrestarono l’avversario a giugno e contrattaccarono. Anche l’Intendenza aveva dato il peggio di sé: i territoriali disponevano dei vecchi fucili Vetterli 1870, ma le cartucce rifornite erano per il Vetterli 1916, di calibro inadatto alle armi della “Terribile”.
Un’altra considerazione è del recensore. Il 25 maggio, Cavalli è in colonna verso il Monte Cimone. Vengono investiti dal fuoco a shrapnel dell’artiglieria austriaca. Non c’è riparo dagli scoppi sopra le teste.
Le pallette di piombo infieriscono dall’alto sui soldati. Sangue, morti, feriti. Più avanti, nel buio e nella confusione, reparti amici si scambiano fucilate per errore. Poche ore dopo arriva l’ordine di tornare sulle posizioni di partenza. Un sacrificio inutile, all’ordine del giorno, in quella guerra.
Alla maniera dei briganti. La Grande Guerra del capitano Ettore Cavalli
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Ringrazio di cuore Felice Laudadio per questa bella recensione, che ha saputo cogliere con grande empatia e accuratezza di lettura lo spirito che mi ha guidato nella stesura di questo lavoro dedicato all’esperienza di guerra (e non solo) di mio nonno Ettore.