Ambrogio Spinola. Il vincitore dell’assedio di Breda
- Autore: Carmen Muñoz Roca-Tallada
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Spinola, chi era costui? Non deve sembrare irriguardoso chiosare Alessandro Manzoni, che infatti cita a sua volta ne I Promessi Sposi il condottiero genovese al servizio della corona di Spagna nel XVII secolo.
Don Ambrogio, marchese di Los Balbases, finora trascurato dalla saggistica e ignorato nella memoria nazionale, è invece un grande italiano preunitario, protagonista della storia europea dei suoi tempi.
Due anni fa, una preziosa pubblicazione ha provveduto a trarlo dall’emarginazione plurisecolare. L’Associazione Italia Storica di Genova ha proposto nel novembre 2021 il saggio storico firmato nel 1947 dalla nobile spagnola Carmen Muñoz Roca-Tallada dal titolo Ambrogio Spinola. Il vincitore dell’assedio di Breda, disponibile nella collana Modernantica (156 pagine), nella traduzione dallo spagnolo di Anna Cristini e a cura di Andrea Lombardi, storico, ricercatore, collezionista, editore.
All’iniziativa editoriale, che si avvale della prefazione di Gabriele Campagnano di Zhistorica, hanno collaborato Luca Cristini di Soldiershop, per le illustrazioni ed Emanuele Mastrangelo, per l’elaborazione cartografica.
In appendice al testo della contessa di Yebes, scrittrice, traduttrice e intellettuale iberica (1901-1988), un approfondimento storico militare di Vittorio Mariani e Varo Varanin sulle operazioni militari in Germania del generale Spinola e del luogotenente Pompeo Giustiniani nella Guerra dei Trent’anni, un saggio sul “Tercio”, la prima formazione militare della modernità e una sezione iconografica di oltre sessanta pagine, integralmente a colori su carta patinata, con ritratti, illustrazioni, mappe, piante degli assedi, tavole degli ordini di marcia, armi e bandiere degli eserciti delle guerre del primo 1600.
È Campagnano ad osservare che se Andrea Doria è stato tra i più importanti ammiragli nel secolo precedente, Ambrogio Spinola merita lo stesso rilievo tra i comandanti di terra più capaci. Entrambi genovesi, di famiglie a lungo rivali:
Sono stati in grado di scrivere a lettere cubitali il loro nome nella storia militare della prima epoca moderna.
Il secondo, penalizzato dalla disattenzione della storiografia italiana e locale, si è sempre impegnato esclusivamente per la monarchia spagnola, avviando la carriera in età già matura, con il primo comando nel 1603.
Incaricato di continuare l’assedio del porto fortificato di Ostenda, nelle Fiandre, ha presto giustificato l’appellativo con cui venne conosciuto da contemporanei e avversari: l’espugnatore di piazze.
Il nobile genovese ricorre più volte nel romanzo di Manzoni, ma non si può dire che vi figuri in modo specchiato. Nel 1629 sostituisce il de Cordoba nella carica di governatore di Milano e appare distratto dalla campagna in Monferrato contro i francesi, due gestioni fallimentari, che lo condurranno all’esilio volontario a Castelnuovo Scrivia. Il Tribunale di Sanità gli chiede di stringere d’urgenza un cordone sanitario, per prevenire l’ingresso della peste in città, ma tentenna e decide di non decidere, in anticipo di quattro secoli sul negato stato d’emergenza anticovid nella Bergamasca. Incurante degli affollamenti, letali ai fini del contagio, dispone anzi pochi giorni dopo pubblici festeggiamenti per la nascita del primogenito di re Filippo IV. Preso dalle esigenze belliche più che dalle misure sanitarie, indifferente ai problemi della popolazione, si fa notare per altri dinieghi e distrazioni, che lo scrittore lombardo condanna con ironia.
Nel contributo in cui si parla del Tercio, si comprende perché l’esercito spagnolo abbia acquisito un vantaggio tattico sul campo di battaglia, che conservò per un secolo.
La formazione nacque con la riorganizzazione dello Stato accentrata nelle mani del re, attuata dagli unificatori di Spagna Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Nei ranghi dell’esercito, soldati di mestiere arruolati e pagati direttamente dal sovrano sostituirono le milizie signorili e cittadine, ovviando alla debolezza di quelle truppe, scarsamente addestrate e indisciplinate.
Fino a quel momento, l’unità tattica elementare era la compagnia, detta anche bandera (insegna), dal vessillo che la distingueva. Incapace di operare autonomamente, venne trasformata nel 1505 in corpi composti da varie compagnie, colunelas (colonnellie).
Alla fine del XVI secolo, una nuova riorganizzazione costituì il Tercio, al comando di un maestro di campo e composto da due colunelas, ognuna su quattro compagnie di 300 uomini ciascuna, comandate da un capitano. All’inizio, alcune compagnie erano formate da picchieri, altre da archibugieri, in seguito si decise che dieci compagnie fossero di picchieri e due di archibugieri. Indubbia la loro forza, efficacia e versatilità sul terreno: andavano a creare un esercito di professione, numeroso, ben addestrato e soggetto a un comando unico, che sarà protagonista delle guerre d’Italia (1494-1559).
I primi Tercios erano quelli di stanza negli stati della Corona nel territorio italiano (Tercio di Lombardia, di Napoli, di Sicilia), impegnati nel presidio fisso di quei territori e allo stesso tempo utilizzabili come massa di manovra di pronto impiego, da trasferire per linee interne nei domini europei, che andavano dalle coste sudorientali del Mediterraneo (Iberia e Trinacria) ai Paesi Bassi a settentrione.
Nel 1536, i Tercios italiani e quello di Malaga vennero riordinati e si confermò che ogni colonnellia fosse composta da 300 uomini. Nelle compagnie di fanteria spagnola era vietata la presenza di soldati di altre Nazioni, ad eccezione di tamburi e pifferi.
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