Ascolti d’autore. La narrativa contemporanea e la musica. Interviste a venticinque scrittori
- Autore: Pierluigi Lucadei
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2014
Un viaggio attraverso i gusti, i ricordi e le idiosincrasie musicali di alcuni tra i più noti scrittori contemporanei del panorama italiano e internazionale.
Non faccio il romanziere e dunque nisba, Pierluigi Lucadei non verrà mai a intervistarmi sugli album della vita per un suo “Ascolti d’autore” bis (Galaad Edizoni, 2014), anche se nel mio piccolo ci ho sempre scommesso - sono quasi trent’anni che ci scommetto - sull’assioma inalienabile letteratura/canzoni (parole scritte e stampate e altre parole scritte e cantate). Certo che se si tira in ballo gente tipo David Leavitt, Joe R. Lansdale, Hanif Kureshi - e persino i nostri Niccolò Ammaniti, Giuseppe Culicchia, Nicola Lagioia e Gianluca Morozzi - non c’è partita, non c’è convinzione personale che tenga, nemmeno un po’. Così come, del resto, in fatto di glamour: ma cosa vuoi che abbiano i (miei) cantautori autoctoni rispetto a Lou Reed, David Bowie, Nico, Velvet Underground, Bob Dylan, per citare una minima parte degli stranoti preferiti dagli scrittori sentiti da Lucadei? Che poi (qualora non ci foste ancora arrivati) il giochino in pillole e senza parafrasi di "Ascolti d’autore" sarebbe questo: indagare il rapporto coi dischi - e le sette note più in generale - di romanzieri italiani e non, di fama conclamata e/o giù di lì. E’ fuori di dubbio che un’ideale compilation di compilation desumibile dal libro reciterebbe quasi esclusivamente inglese. Come fa notare Nicola Lagioia nella sua postfazione al volume:
“(…) quasi tutti gli scrittori intervistati da Pierluigi Lucadei (…) quando si tratta di venire interpellati sulla musica, parlano quasi solo di rock (…) molto Dylan, Beatles, Springsteen, Nirvana, Arcade Fire, e poi Cat Power, Modest Mouse … qualche spruzzata di cantautorato italico d’istituzione (De Andrè e Battiato) e un certo post punk nostrano tipo cccp o Diaframma. E tutti gli altri, certo. Appunto jazz e classica, ma in proporzioni di riserva indiana”.
C’è anche che il discorso scivola a tratti sulla letteratura e che, in questo caso, “Il soccombente” di Thomas Bernhard – ispirato alla vicenda del pianista Glenn Gould – lasci le briciole alla concorrenza, ricorrendo spesso come miglior romanzo dedicato alle cose di musica, diverse spanne sopra al pure imprescindibile “Alta fedeltà” di Nick Hornby.
A questo punto dovrebbe essere chiara la natura a sua volta trasversale di “Ascolti d’autore” (175 pagine “austere”, grande formato, a cavallo tra musica e narrativa), un testo congegnato a dovere e scritto ancora meglio, data caratura - spesso cosmopolita - degli intervistati e comprovata pratica saggistica di Lucadei (firma articoli, fra gli altri, per l’autorevole “Outsider”). Domande pertinenti, stile agile/scattante, dritto al sodo, nulla da obiettare. Dell’esterofilia reiterata delle playlist riportate nel testo (comprese quelle stilate dagli ascoltatori-autori italici) me ne faccio ormai una ragione: la mia segnalazione si chiude qui, con un otto convintissimo.
La cinquina di dischi che segue non è da assumersi dunque come corollario all’articolo, potete tranquillamente saltarla, è autobiografica e assolutamente non richiesta: è solo che la sfida sulla top five dei must discografici di ogni tempo era troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Allora vediamo, in ordine sparso e senza alcun commento (please): -* “Calabuig, Stranamore… e altri incidenti” (R. Vecchioni”),
- “Via Paolo Fabbri, 43” (F. Guccini),
- “Patriots” (F. Battiato),
- “Francesco De Gregori” - l’album della Pecora, o dell’Agnello in copertina, se più vi piace - (F. De Gregori),
- “Lilly" (A. Venditti).
Già finito? Mannaggia, ha ragione Efraim Medina Reyes (pag. 116) che si rifiuta di assecondare l’intervistatore in questo modo:
“Non sono ancora abbastanza stupido per rispondere a questa domanda”.
Ostico ridurre a una manciata di titoli la pletora degli amori musica & parole contigui ad una vita.
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Non so – ancora – quanto siano “sensate” le risposte degli intervistati alla domanda - poco cruciale, spiritosamente giornalistica – posta agli autori sopra citati; né saprei abbandonarmi d’istinto alla risposta di Efrain Medina Reyes (che liquida per sempre il tentativo): ciò che credo di sapere – per diretta esperienza sul campo – è che si continua a propagare la leggenda Thomas Bernhard a proposito di Glenn Gould.
Ovvero: si continua a ritenere quella prova narrativa come un breviario intimista e risolutivo dell’epopea pianistica gouldiana, il ritratto-resoconto più efficace che si potesse concepire in letteratura. Non è così.
Per la semplice ragione che il Glenn Gould evocato da Bernhard incappa in “ragionamenti” poco probabili e assai poco veritieri.
Uno per tutti: Bernhard ipotizza un suono gouldiano in diretta diramazione del tocco di Horowitz. Ebbene, mai pianisti furono più lontani e antitetici, mai Gould avrebbe dichiarato come proprio “maestro” il sublime Horowitz (avversione, peraltro, ricambiata).
Grazie a Mario Bonanno per l’occasione suscitata e per il contributo al dibattito.
Carlo Rafele
(autore e regista del radiodramma “Glenn Gould, il corpo del pianoforte”, RSI 2012)
(http://www5.rsi.ch/it/home/networks/retedue/colpodiscena/2012/09/17/Glenn-Gould.print)
(www.fonderiamercury.it/product/prosa-rsi)