Autobiografia di Irene
- Autore: Silvina Ocampo
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Sellerio
Silvina Ocampo, nata a Buenos Aires nel 1906 e morta nella stessa città nel 1993, fu moglie dello scrittore Adolfo Bioy Casares e amica di Jorge Luis Borges: con loro firmò nel 1940 un’importante “Antologia della letteratura fantastica”. Autrice di racconti, poesie e testi per l’infanzia, seppe offrire nuova linfa alla narrativa sudamericana di impianto tradizionale, inserendovi una sensibilità inquieta e moderna, aperta alle ansie del pensiero novecentesco, nutrita dal disagio esistenziale e dall’interesse verso lo studio dell’inconscio che hanno caratterizzato la cultura contemporanea.
I cinque racconti presenti in “Autobiografia di Irene”, edito da Sellerio nel 2000, cinquant’anni dopo la loro pubblicazione in Argentina, sono coerentemente legati alla visione ideologica dell’autrice, radicata nella consapevolezza che non tutto ciò che accade e ci circonda abbia una sua corrispondenza concreta nel reale, e possa nascondere invece cause ed effetti misteriosi e inspiegabili.
“La vita ci rinchiude continuamente in prigioni invisibili, da cui solo la nostra intelligenza o il nostro spirito creativo possono liberarci”.
Nelle prime due novelle (Epitaffio romano e La rete) i protagonisti, il nobile romano Claudio Emilio e la giovane donna cinese Kèng-Su, patiscono una vendetta implacabile da parte di coloro che hanno ferito con eccessiva severità o crudele leggerezza: la moglie Flavia e un lepidottero dai caratteri umanoidi.
Nell’ultimo racconto, che dà il titolo al volume, Irene Andrade ripercorre la sua infanzia “giudiziosa e taciturna” scoprendo nella sua malinconica sensibilità giovanile l’origine di supposte doti paranormali, di preveggenza e magia, che arriveranno a distruggerle l’esistenza adulta:
“nelle gelide regioni dell’avvenire la realtà è imperiosa”.
In Frammenti del libro invisibile, un’affascinante divinità agreste dai poteri sovrumani, capace di parlare con i morti e di interpretare le voci degli animali e delle piante, compone libri immateriali tramandando la sua saggezza nei secoli e in ogni spazio dell’universo.
Ma è nella storia centrale, L’impostore, che più si esplica l’intelligenza narrativa di Silvina Ocampo. Il racconto, che in verità ha la consistenza di un romanzo breve, si apre presentando il giovane protagonista Luis, mandato dal padre a trascorrere una vacanza presso il figlio di conoscenti, di nome Armando Heredia, apatico e solitario, da anni rinchiusosi volontariamente in una tenuta agricola semi-abbandonata, invasa da pipistrelli, ragni, tafani. Nel tentativo di penetrare il segreto che costringe l’amico all’isolamento, il ragazzo penetra in spazi della mente – propria e altrui – abitata da visioni e fantasmi, da un soprannaturale terrorizzante, e diventa preda di continui dejà vu e di presentimenti minacciosi.
“Ogni amico ci rivela, prima o poi, l’esistenza, in noi, di un difetto inatteso. Heredia mi rivelava la mia viltà…”.
La pazzia, la rincorsa di amori solo immaginati o defunti, l’incubo della violenza perpetrata o subita, appartiene ad entrambi i giovani, o a uno solo di loro, o a tutta la vita che conosciamo: il tipico tema letterario del “doppio” trova in questa novella di Silvina Campo un suo ritmo ossessivo e oscuro, che non si placa nemmeno nell’imprevedibile finale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Autobiografia di Irene
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