Baby Blues
- Autore: Elisa Albert
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2017
Marsilio ha deciso di dare un titolo italiano al romanzo di Elisa Albert: “Baby Blues”. L’autrice invece aveva intitolato il libro After Birth: si tratta infatti proprio di una lunga riflessione, una sorta di monologo interiore che la voce narrante, Ariella detta Ari, esprime con un linguaggio duro, sboccato, infarcito di parolacce, dopo che ha dato alla luce - in realtà è stata violentemente separata, con un violento taglio cesareo - il piccolo Walker, il bambino nato dal suo matrimonio con Paul, un professore universitario molto assente.
Siamo sulla East Coast degli stati Uniti, in un paesino dalle vecchie e fatiscenti case ottocentesche, protette dalla Historical Society; vicino a Ari e Paul una coppia di amici gay, in Sabbatico a Roma, hanno subaffittato la loro casa a Mina Morris, una poetessa cantante quarantenne, sola, incinta, sporca e fascinosa. Ari soffre di solitudine dopo il trauma del parto, che non è il solo dramma della sua vita; ha perso la madre quando aveva appena tredici anni: Janice si era ammalata presto di cancro, in seguito ai farmaci tossici ingeriti da sua madre, una sopravvissuta all’Olocausto. Suo padre si era presto risposato con Cheryl, ebrea osservante e poco attenta ai bisogni di Ari. Dunque la giovane donna trova conforto solo nel fare sesso con suo marito, appagato e lontano, è attratta dal falegname Will e, soprattutto, si sente utile a Mina, che partorisce in casa, nella vasca da bagno, con una levatrice che poi scompare. Tra Ari e Mina nasce una solidarietà tutta femminile, che porta la più giovane a diventare quasi una mentore per la navigata e ormai molto adulta poetessa. Ari riuscirà ad allattare al seno anche il figlio dell’amica, Zev, visto che la madre non riesce proprio a nutrirlo.
Nel romanzo le inquietudini della protagonista diventano riflessioni sul femminismo, sul ruolo delle donne, sulla maternità, sulla società americana, sul sistema sanitario violento e distratto; il rapporto mancato con la madre, la memoria della nonna ebrea che aveva dovuto diventare prostituta nel lager per sopravvivere, la difficoltà di trovare nell’amicizia con le donne un surrogato alla mancanza di calore familiare, lo stesso problema dell’identità sessuale: ecco come le pagine del romanzo di Elisa Albert, la cui protagonista non riesce a concludere il suo dottorato, che ha tradito le sue premesse di intellettuale, che finisce in un isolamento che confina con la follia, che soffre di vedersi brutta, grassa, pur non volendo rinunciare alle scarpe comode, ai capelli mal tagliati, raccontano tanto della condizione femminile nell’era del post-femminismo.
“Bene. Odio le donne. Donne che scelgono amiche più belle di loro, per godere del loro riflesso. Donne che cercano amiche più brutte, per restare al centro dell’attenzione. Donne autodistruttive, quelle ancora più autodistruttive, quelle totalmente malate che le meno autodistruttive alla fine abbandonano”.
Elisa Albert ragiona sulle condizioni storiche nelle quali le donne sono cresciute per secoli, la maternità vissuta in mezzo a gruppi di donne accudenti, madri, sorelle, suocere, levatrici; donne che insegnavano, mostravano come si allattava, come si cresceva un figlio, condividendo l’amore e la cura:
“Adesso magari ti guadagni da vivere, magari riesci a conoscerti meglio. Magari hai delle avventure, il cuore spezzato, tante ambizioni. Magari esplori la tua sessualità. E poi: senza troppe cerimonie ti tagliano in due, ti mettono in braccio un neonato, ti spediscono a casa nella tua piccola cella d’isolamento, datti una mossa e cerca di non postare troppe foto”
Una lingua letteraria, quella di Elisa Albert, piena di anafore, di citazioni, al servizio di una storia molto contemporanea, poco esplorata, raccontata con una sensibilità accentuata, come di chi sembra aver fatte proprie le inquietudini dei personaggi femminili che affollano il romanzo. Famiglia, matrimonio, amore, amicizia, maternità, genitorialità: ce n’è davvero per tutte in questo libro un po’ violento, ma molto sincero.
Baby Blues
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