Bambina mia
- Autore: Tupelo Hassman
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2013
Bambina mia di Tupelo Hassman (66th and 2nd, 2013, titolo originale “Girlchild”) è un esordio molto interessante, un’opera prima con una voce potente.
A Reno, Nevada, c’è una quartiere periferico formato da case mobili, caravan, dimore precarie, una specie di slum ai margini di una città dove sembra che il tempo passi solo tra bar dove si beve ossessivamente e si gioca alle slot machine. In una delle case della strada principale, che si chiama Calle de Flores, vivono Joanna Hendrix e la sua bambina di appena dieci anni, Rory Dawn. Con loro c’è anche la madre di Joanna, la nonna Shirley Rose, che presto però ritornerà in California.
La voce narrante, ingenua e profonda, piena di ironia e fantasia, capace di mescolare realtà e sogno, presente e passato, è proprio la piccola Rory, che seguiamo per i sei anni che la condurranno alla maggiore età, i sedici anni, secondo le leggi della Contea.
Joanna è una fantasiosa ex hippy, seguita dai servizi sociali, giudicata debole di mente, madre di quattro maschi avuti in giovanissima età e ora sistemati altrove, ciascuno con la sua famiglia. Lavora in un bar con turni estenuanti, beve, fuma e lascia che la piccola Rory sia affidata a un’improbabile baby sitter, mentre in realtà la bambina viene molestata sessualmente dal “Proprietario del ferramenta”. La storia è molto complessa, il passato di Joanna spaventoso, Rory è dotata di notevole intelligenza e grande precocità che le consentono di capire ciò che succede a lei, quanto ha passato sua madre, quale scenario di miseria e deprivazione affettiva sia la storia della loro famiglia, di cui la nonna è lucida testimone. Le tre donne sono al centro del racconto spietato, dove la violenza, l’incesto, la solitudine, la miseria, la malattia sono a stento contenute da uno Stato presente con ispettori e moduli, certificati e prescrizioni, ma in realtà incapace di comprendere quali drammi si verifichino sotto gli occhi distratti dell’intera comunità.
Rory cresce e la sua formazione sembra avvenire leggendo e seguendo fedelmente i consigli di un manuale per girl scout, il cui motto campeggia nell’epigrafe del romanzo:
“Sul mio onore prometto che mi impegnerò a fare il mio dovere per Dio e per il mio paese, ad aiutare sempre gli altri, a rispettare le leggi delle girl scout”:
Niente di più contraddittorio fra queste parole di conformistica saggezza. In un ambiente desolato, malato, arido, avviene la crescita della sensibile Rory, che è protetta a scuola dalla bibliotecaria che ne intuisce le potenzialità mentre è osteggiata dalla maestre che la vedono povera e sporca, figlia di una poco di buono e destinata ad identica sorte.
La forma espressiva che l’autrice ha scelto per questo romanzo è originale e fortemente evocativa: brevissimi capitoli, ciascuno con un titolo simbolico, rapidi passaggi mai strettamente cronologici, un tempo del racconto che ondeggia fra presente, passato e utopia di un futuro possibile. La traduttrice ha fatto un lavoro impegnativo, capace di rendere ad un tempo la freschezza della lingua di una ragazzina che tuttavia usa immagini a cui serve un linguaggio letterario molto ben costruito:
“Mia madre è un cane affamato. Anch’io sarò sempre un cane affamato, come mia madre, incapace di ricordare se il mio piatto è mai stato pieno e se potrà esserlo in futuro. Tengo un occhio sul piatto, e l’altro sulla mano che scende. Mi fanno male i denti quando mordo, mi tengo la mano sulla bocca e non mi faccio più domande”
I denti, la bocca e il piatto sono elementi simbolici che ci riportano alla grande tradizione della letteratura americana, caratterizzata nelle sue pagine più grandi proprio dai simboli che danno voce ai grandi temi dell’emarginazione, della solitudine, del sogno americano della ricerca della felicità a qualunque prezzo.
Nello squallore della Calle ecco ogni tanto apparire qualche sprazzo di luce: i libri di Jack Kerouac, l’unica passione della sconfitta Joanna, la specialità di AVIDA LETTRICE a cui Rory può correttamente aspirare, mentre a scuola non impara molto.
“Apro i libri, prendo una matita ma è tutta roba inutile, tranne la Divina Commedia, assegnataci dalla nostra nuova insegnante di inglese che dopo un anno passato alla Roscoe è ancora piena di entusiasmo, almeno i gironi infernali dei dannati ricordano le curve della Calle che io seguo ogni pomeriggio tornando a casa”
Un romanzo durissimo, privo di compiacimento, con una cifra letteraria alta, una scrittura capace di alternare al duro realismo di una situazione sociale degradata il lirismo della voce di una ragazzina innocente e visionaria, la cui breve felicità consiste in quelle due parole, bambina mia, che ogni tanto, quando è sobria, la madre le rivolge.
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