Barry Lyndon de Stanley Kubrick
- Autore: Davide Magnisi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2022
Sotto l’aspetto meta-significativo, Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick comincia là dove finiscono gli arredi stile Luigi XVI del finale di 2001 Odissea nello spazio (1969): il Settecento come ricorrenza ispirativa di uno fra i più eminenti frequentatori/sovvertitori di generi che il cinema ricordi.
Portatore sano di una espressività ulteriore rispetto ai canoni hollywoodiani, Stanley Kubrick si misura cioè con la materia cinematografica senza farsene dominare, sulla scorta di un’autorialità capace di assurgere a estetica filmica in sé. Una perturbante commistione di differenti canali comunicativi: fotografici, musicali, pittorici, in primo, secondo e terzo luogo.
Come rivela la puntigliosa monografia su Barry Lyndon curata da Davide Magnisi e edita da Gremese con il titolo Barry Lyndon de Stanley Kubrick (2022) il film annovera, per esempio, un’insistita sequenza di citazioni da quadri del Seicento-Settecento inglesi. Riferendoci a quanto indica Magnisi a introduzione del volume:
“Barry Lyndon trasfigura il film in costume, l’idea di film storico, gelando esteticamente passioni e melodrammi, ma, contemporaneamente, esaltando la bellezza sensoriale dell’arte cinematografica, accompagnandoci, apparentemente attraverso le convenzioni del genere, a scoprire un tempo lontano che è, malinconicamente, una forma di coscienza del nostro”. (pag. 11)
Barry Lyndon è dunque un film segnatamente visivo, intessuto al punto di richiami, immagini, riferimenti formali da farne una rigorosa — fin quasi a risultare abbacinante — rappresentazione cinematografica del VIII secolo.
In altre parole, in Barry Lyndon, la vicenda medesima viene spesso volutamente ridotta a quadri, così da costringere lo sguardo spettatoriale sull’immagine. Come nel già citato Odissea nello spazio, Kubrick architetta una sontuosa costruzione visiva, contenuta simbolicamente fra i freddi campi lunghissimi dell’inizio e il fondo nero della carrozza in chiusura di film.
Ancora Magnisi:
“La musica del Trio di Shubert precede l’apparizione di Barry che avanzando penosamente con una gamba sola s’infila, aiutato dalla madre, in una carrozza. Kubrick opera un crudele fermo immagine nell’istante in cui la gamba mancante del suo protagonista dovrebbe salire sulla scaletta. Ironicamente è come se Barry accedesse fotograficamente ai tanti quadri che hanno costellato e costruito il film, a quel mondo aristocratico di cultura e raffinatezze che è stato il suo desiderio estremo”. (pag. 135)
Attenti però a non lasciarsi ingannare dall’ eleganza formale delle inquadrature: come riprova puntualmente questo saggio di Davide Magnisi, sotto l’estetica adamantina delle immagini cova infatti la caligine delle pulsioni e delle metà oscure — le mostruosità della guerra, gli intrighi sentimentali, l’ineluttabilità della perdita e della sconfitta —, a connotare Barry Lyndon dei tratti paradigmatici della metafora esistenziale.
Arricchiscono la luminosa fattura del volume un corposo apparato di fotografie a colori e un campionario indicativo degli interventi critici sul film.
Barry Lyndon di Stanley Kubrick
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