Breve storia umoristica del libro
- Autore: Enrique Gallud Jardiel
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Graphe.it edizioni
- Anno di pubblicazione: 2024
La parodia sui libri è sempre un azzardo, perché ci sono lettori odierni che non accettano la satira su un oggetto così importante, che serve per l’istruzione principalmente e poi per diporto. Ma non deve stupire questo rifiuto di fare parodie, perché i testi sacri sono stati libri di religione, dalla Bibbia al Corano. Ma lo spagnolo Enrique Gallud Jardiel ci prova con lo smilzo libretto dal titolo Breve storia umoristica del libro (Graphe.it edizioni, 2024, illustrazioni di Marco De Angelis e traduzione di Fabiana Errico).
Jardiel inizia col dire che dai libri si imparano un sacco di cose essenziali ma anche sciocchezze. Il filosofo José Ortega y Gasset, nel secolo scorso, diceva che leggere troppo disabitua l’uomo medio a riflettere per conto suo, perdendo il proprio senso critico. Ecco, chi scrive conosce un po’ di umorismo spagnolo tramite la lettura e non è irresistibile, ma la colpa è di quella meraviglia di Don Chisciotte della Mancia di Cervantes. Difficile fare meglio.
Jardiel inizia con i papiri egiziani e una freddura sul girovita di quel popolo, ammettendo che il papiro alle foci del Nilo non mancava di certo. Si scriveva in una sola facciata, in due colonne, dopo una lavorazione impegnativa. In questi "libri" non ci sono le figure egizie, ma un modo per trattare di temi religiosi, la hieratica e la demotica dove scrivevano le persone comuni. Il rotolo di papiro più grande risale al 2400 a.C. ed è un compendio di barzellette, che sicuramente per l’autore erano per i "carabinieri" dell’epoca. Poi i sumeri scrivevano su tavolette di argilla ma di contabilità, di soldi dati e ricevuti, i romanzi rosa non erano contemplati.
Il bestseller mondiale del II millennio era Il libro dei morti, un’opera egizia che veniva messa vicino alla persona scomparsa. La casta sacerdotale dava più importanza ai faraoni perché maggiori erano i lasciti. E anche in periodi così lontani i libri si bruciavano, da Giulio Cesare a Napoleone fino a Hitler.
Nell’antica Grecia un filosofo di nome Socrate era contrario ai libri, perché il più delle volte si trovavano copie di cose già scritte. Socrate odiava il plagio e la sua filosofia veniva spiegata a voce (Platone ci ha dato la possibilità di studiare Socrate scrivendo al suo posto, ma anche lui aveva il terrore del plagio). Nell’antica Roma c’erano i librai chiamati "bibliopola" e i servi litterati per la trascrizione dei testi, perché un nobile patrizio non poteva fare un lavoro così umile.
Non ci siamo inventati niente sulla trasmissione del sapere: nella Roma imperiale c’erano più di ventidue biblioteche pubbliche che facevano anche prestito, ma erano i grandi oratori e i ricchi che si facevano biblioteche private bellissime e, analizzando i dati, anche tra i romani non schiavi c’erano i lettori forti, che leggevano il doppio rispetto agli altri. Quindi chi pensa che i romani con il loro Imperatore parlavano solo di guerre da fare, si sbaglia di grosso. Alla prova dei fatti c’erano dei romani coltissimi, basti pensare a Cicerone.
Così nel Medioevo c’erano persone sapienti che scrivevano di religione. Questo periodo, mentre si combatteva per i confini, fu il periodo di maggiore religiosità e poi lo scisma di Lutero e altri libri da leggere. Questo è stato un lunghissimo periodo in cui in Europa si leggeva e si pregava moltissimo. Le donne sposate dovevano leggere in segreto, dando l’impressione di fare altro, e basti pensare che tutt’ora si ha la percezione della donna borghese che ha una signora per le pulizie, in modo da poter leggere a sazietà o leggere per professione. Su Gutenberg e l’invenzione della stampa, Enrique Gallud Jardiel si sofferma poco lasciando ai tempi nostri freddure e motti di spirito.
Crediamo ancora, noi europei, di essere i letterati della Terra. In realtà non siamo capaci nemmeno di confessare la complessità contemporanea.
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