C’era una volta il bar di Vezio
- Autore: Maria Arcidiacono
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Mezzo secolo raccontato attraverso il bar delle Botteghe Oscure. Si andava tutti alla latteria di Vezio quando il Partito Comunista aveva sede nel Bottegone, il severo palazzo costruito dai Marchini nel centro di Roma. Veniva naturale raggiungere il baretto in via de’ Delfini per consumare qualcosa, passare del tempo e fare incontri interessanti. Lo ricorda senza nascondere la nostalgia Massimo D’Alema, politico, giornalista, scrittore ed ex premier, nella prefazione al libro di Maria Arcidiacono C’era una volta il bar di Vezio (Iacobellieditore, giugno 2023, collana Frammenti di memoria, 144 pagine), con numerose foto in bicromia nel testo e tante anche a colori in un inserto centrale.
L’efficace collaborazione tra una casa editrice romanissima e la seconda moglie di Vezio Bagazzini, archeologa e storica dell’arte, evoca la romanità più pura, trasteverina e non solo (Rioni Pigna, Sant’Angelo, Monti, Campitelli, il Ghetto), ora purtroppo rarefatta per quanto indimenticabile e giustamente ricordata. Il tempo l’ha sbiadita, sebbene le viuzze, i crocicchi, le piazzette e i sampietrini siano ancora quelli. Sono sempre suggestivi e tuttavia la modernità ha cancellato i fondachi artigiani, che non ci sono più; ha fatto sparire i negozietti familiari, che hanno chiuso; esercenti e avventori hanno cambiato residenza, anche per ostacoli anagrafici insormontabili.
Lo stesso Bottegone ha smesso di essere tale nel 2000, svuotato da parlamentari, politici e funzionari di partito di un PCI diventato DS. È fiaccamente ancora in attesa di una nuova destinazione funzionale, affacciato sull’ampio stradone tra via d’Aracoeli e Piazza Calcari.
Anche Vezio non c’è più. La sua proverbiale vitalità, ricca di spunti d’ironia e di saggezza popolare trasteverina, è stata tacitata dal diabete e dal Parkinson nel 2011, a un passo dai settant’anni. Tutt’ora, a Roma, percorrendo via de’ Delfini, tra le piazze Campitelli e Margana, guardando in alto sono ancora visibili al civico 23 le tracce dell’insegna di un bar latteria, un piccolo locale che per tanti ha rappresentato un pezzetto di storia di Roma. Collocato tra i Rioni Campitelli e Sant’Angelo, a due passi da piazza Venezia e dal Portico d’Ottavia, il Vezio’s Bla Bla Bar, come si leggeva sullo scontrino fiscale, si trovava alle spalle della storica sede del Partito comunista italiano di via delle Botteghe Oscure.
La storia del bar, e quella del suo titolare, Vezio Bagazzini si sono intrecciate a quella del grande Partito della sinistra italiana, rappresentandone spesso umori e malumori e discutendone sempre vivacemente le trasformazioni.
Già dal finire degli anni Sessanta era frequentato da operai, tecnici, segretarie e funzionari del PCI, ma l’assimilazione avvenne all’avvio della strategia della tensione. Il 12 dicembre 1969, oltre a quella devastante nella Banca dell’Agricoltura di Milano, altre bombe esplosero a Roma, due delle quali nelle immediate vicinanze del bar. Si udirono deflagrazioni fortissime, il locale si riempì di gente in fuga e in preda al panico. Davanti alle minacce dell’eversione neofascista, il partito decise di prendere misure di sicurezza per proteggere esponenti e dirigenti.
Per questo e per via della sua militanza nel Partito, Vezio ottenne l’incarico di fornire caffè e cappuccini per il Bottegone. Con l’aiuto di un banchista toscano e della prima moglie Francesca (dalla quale si sarebbe separato pochi anni dopo, pur continuando a lavorare con lei per moltissimo tempo), improvvisò un catering “de noantri” con una cesta e dei thermos. Serviva colazioni e consumazioni all’intero apparato, con libero accesso alle stanze di funzionari e dirigenti dei quali imparò a conoscere umori e preferenze.
Vezio era schierato nettamente contro gli estremismi, pur continuando a condividere in cuor suo “un afflato rivoluzionario antifascista che non lo abbandonò mai”. A riprova del carattere, Maria Arcidiacono ricorda che nonostante le continue manifestazioni di protesta nelle strade, il bar era uno dei pochi esercizi pubblici a non abbassare le saracinesche, punto di riferimento per i militanti e anche per le forze dell’ordine. Un particolare di colore: alcuni poliziotti dormivano nella vicina caserma in piazza Campitelli e Vezio intimava agli agenti di lasciare le armi all’ingresso, come nei saloon western:
in una specie di zona franca, manifestanti e clienti in divisa siglavano una tregua avvicendandosi al flipper nel retrobottega.
La piccola latteria di Vezio, che aveva studiato fino alla quinta elementare, godeva di una frequentazione intellettualmente quanto mai variegata: dall’élite culturale che gravitava in zona agli abitanti dei palazzi aristocratici (Colonna, Odescalchi, Pecci Blunt, Caetani), dai residenti della piccola e media borghesia a numerose famiglie di ceto popolare, oggi quasi scomparse.
Era una parte del nostro mondo. A quel bar ci legava il filo di un sentimento comune
D’Alema rivede il locale dominato dal rosso e dal giallo, tappezzato di simboli, immagini, bandiere e fotografie che dichiaravano quasi giocosamente da che parte stesse Vezio. C’erano anche le massime, i proverbi, gli aforismi nati dalla saggezza popolare. Indimenticabile un
prima di parlare accertarsi che il cervello sia avviato.
Non mancavano mai interlocutori interessanti: l’artista, l’intellettuale, il giornalista, una donna o un uomo del quartiere.
Vezio restava il più arguto, aveva un commento per ogni fatto, una battuta per ogni interlocutore, mai aggressiva e quasi sempre irriverente. Era il vero popolano romano, abituato da secoli a dare del tu ai potenti. Solo uno l’intimidiva: Enrico Berlinguer, non perché fosse segretario del Partito ma per quell’apparente fragilità che nascondeva una personalità fortissima, una contraddizione che gli donava un fascino particolare.
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