Giovedì 6 luglio nella prestigiosa cornice romana del Ninfeo di Villa Giulia sarà annunciato il vincitore della 77esima edizione del Premio Strega.
Nel suo ultimo saggio Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario (nottetempo, 2023) Gianluigi Simonetti, professore universitario di Letteratura italiana contemporanea e letterature comparate, propone un audace (e lucido) ritratto della cosiddetta “letteratura da premio”, fornendoci autorevoli pronostici che potrebbero a tutti gli effetti avverarsi.
Secondo l’illuminante analisi di Simonetti il nostro ipotetico “libro vincitore” potrebbe essere scritto da una donna; potrà trattare uno dei temi caldi dell’attualità (bambini sofferenti, violenza bellica o privata); potrebbe essere contraddistinto a livello stilistico da un linguaggio non troppo complicato o sperimentale (una lingua “non resistente alla decifrazione”, dotata di un certo tasso di figuralità letteraria, con una certa vivacità di metafore); potrebbe evocare un conflitto di valori dalle posizioni nette; trasuderà tanta emotività e buone dosi di melodramma; dovrebbe avere un lieto fine o, se non altro, lasciar trasparire una nota di salutare ottimismo.
Link affiliato
Ecco l’identikit sommario – nel saggio Simonetti stila un più opportuno decalogo - del “perfetto romanzo da Premio Strega” capace di coniugare sapientemente le tecniche narrative di intrattenimento e letterarietà.
Il maggior premio letterario italiano diventa quindi l’osservatorio privilegiato per descrivere il cambiamento in atto negli ultimi vent’anni nel mondo dell’editoria, ovvero lo sviluppo di ciò che Simonetti definisce con un’espressione calzante “nobile intrattenimento”, la nuova formula emergente della letteratura di consumo, una miscela di svago-passatempo e illusione di cultura. Motivo per cui a vincere il Premio Strega è di norma un “romanzo medio” - quindi lontano da una narrativa di grande ambizione artistica - perfetto per funzionare sul piano commerciale.
L’autore, con gli strumenti critici offerti da una vasta cultura umanistica, realizza un’analisi che non è solo stilistica, ma anche sociologica: viviamo in un’epoca di medietà e democratizzazione della cultura, in cui anche il romanzo tende a diventare un prodotto di genere midcult e a prestarsi a una logica di consumo sempre più transmediale.
In breve, qual è il destino del romanzo contemporaneo? Come si sta modificando (e soprattutto verso quale direzione) la nostra idea di arte?
Il Premio Strega, in questo senso, rappresenta l’ideale “termometro della nostra sensibilità letteraria”.
Dopo La letteratura circostante (il Mulino, 2018) Gianluigi Simonetti torna ad addentrarsi nella selva della letteratura contemporanea. Con il suo Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario ci fornisce un’interessante analisi letteraria e critica dei libri premiati nell’ultimo ventennio.
Ne abbiamo parlato con l’autore nell’intervista che segue.
- Nel saggio scrivi che “il Premio Strega è uno spazio molto attraente per la ricerca letteraria sulla sociologia delle opere” e difatti lo utilizzi come campo di indagine critico. Oggi potremmo dire che il Premio sia al servizio della letteratura industriale che inizialmente si proponeva di contrastare? La sua fondatrice, Maria Bellonci, in origine si proponeva di creare qualcosa di “vitale, coerente e coesivo”. Cosa direbbe Bellonci della situazione attuale?
In realtà è importante ricordare che le polemiche sul Premio Strega ci ci sono sempre state, non sono certo una novità degli ultimi anni. Già nel 1968 Pier Paolo Pasolini scrisse un celebre j’accuse su uno dei principali quotidiani nazionali, Il Giorno, col titolo “In nome della cultura mi ritiro dal Premio Strega”. Nell’articolo Pasolini osservava che ormai il Premio era diventato parte integrante di una certa “industria culturale”. Maria Bellonci era quindi ben consapevole delle critiche, dato che certe accuse le aveva sentite con le sue orecchie, da viva.
Io credo, invece, che negli ultimi quindici anni il contesto socio-culturale dello Strega si sia ulteriormente complicato, non per forza solamente in negativo. È venuta un po’ meno la dimensione chiusa e claustrofobica del salotto letterario novecentesco, si è allargata la platea dei votanti, di conseguenza il premio sembra più contendibile, più incerto negli esiti. I pacchetti di voti sono diventati meno controllabili. Inoltre sono state fatte delle modifiche al regolamento per inserire anche le piccole-medie case editrici nella gara, rendendo così il Premio apparentemente più inclusivo, democratico, trasparente.
Oggi il Premio Strega è diventato un palcoscenico popolato da numerosi attori, in cui non sono i pareri dei critici a rivestire un ruolo preponderante, ma assumono un certo peso altre dinamiche esterne. Era questo soprattutto a interessarmi. Il fatto che il premio sia diventato più rappresentativo dei gusti e delle aspettative di un ceto medio di lettori italiani.
- Viene stipulato una sorta di identikit della “letteratura da Premio”.
Affermi che il vincitore designato dello Strega è il tipico “romanzo borghese”, attento ai valori della tradizione e lontano da tentazioni sperimentali. Negli ultimi anni cosa è cambiato?
Un certo tipo di “romanzo borghese” appartiene alla tradizione storica dello Strega; negli ultimi quindici anni si assiste all’emergere di nuove tendenze che lo integrano e a tratti lo rovesciano. Oggi un romanzo competitivo deve avere una sinossi riconoscibile, facile da comunicare attraverso i media; deve essere un romanzo su qualcosa, trattare uno specifico tema, possibilmente legato al dibattito contemporaneo. Bene se tratta un trauma di qualche tipo, una tragedia collettiva o individuale, meglio ancora se entrambe. C’è una certa tendenza a mescolare più generi di prosa come il romanzo storico, la cronaca giornalistica e il memoir.
Quest’anno ad esempio mi sembra che il romanzo di Maria Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata, provi a tenere insieme molti di questi elementi che sono un po’ nello spirito del tempo: le emozioni private e la denuncia pubblica, il romanzo famigliare e il romanzo storico, la voglia di ‘poesia’ e la voglia di ‘storie vere’. Viene ripercorsa la vicenda biografica della madre biologica dell’autrice, in parallelo la storia italiana degli anni 40-50-60, unita anche ai fatti di cronaca testimoniati dalle pagine dei giornali dell’epoca. Il tutto con ricorso alla prima persona, altra tendenza spiccata degli ultimi anni.
- Sulla base di questo identikit come analizzeresti la cinquina attuale del Premio Strega?
Sicuramente è una cinquina senza precedenti, dato che quattro finalisti su cinque sono donne. L’ultima vincitrice donna è stata Helena Janeczek nel 2018 con La ragazza con la Leica.
Pur diretto per quasi tutta la sua storia da due donne, lo Strega nel Novecento ha premiato poche scrittrici; la cinquina attuale testimonia una voglia di ridurre il gender gap, e quindi una maggiore inclusività del premio - anzi dei premi. Ma in realtà tutte le istituzioni letterarie e le case editrici da qualche stanno promuovendo le narratrici; non solo in Italia del resto, anzi in altri paesi occidentali ancora di più. L’inclusività, anche in questo campo, incontra una moda culturale, e direi anche una ragione commerciale: dal momento che la grande maggioranza dei lettori di fiction letteraria in Italia - e non solo in Italia - è costituita da donne (il 75%), l’editoria di narrativa cerca scrittrici in cui per questo pubblico sia più facile e gradevole riconoscersi e identificarsi.
L’altra peculiarità di questa cinquina è che tutti i libri narrano - o comunque sono collegati - a storie vere. È curioso che romanzi di ispirazione metaletteraria come Ferrovie del Messico di Griffi o Il continente bianco di Tarabbia non siano giunti in finale, mentre ad esempio troviamo Rubare la notte di Romana Petri che è una biografia romanzata dedicata all’autore del Piccolo principe. Il romanzo di Petri, a ben vedere, non è una rilettura dell’opera di Antoine de Saint-Exupéry, ma della sua vita e tocca anche corde autobiografiche del vissuto della stessa autrice. Ritorna quindi in vari modi un ideale ‘scrittura del sé’.
- Te la sentiresti di azzardare un pronostico sul vincitore di quest’anno? Sembra che il testa a testa finale sia tra Rosella Postorino e Ada d’Adamo: chi vincerà?
Penso Rosella Postorino, per vari motivi. Perché il suo romanzo Mi limitavo ad amare te è fatto per piacere e rassicurare, si nota tra l’altro già dal paratesto – copertina e titolo - che intende trasmettere un senso immediato di cura, come Le mani della madre di Massimo Recalcati. Poi perché è edito da Feltrinelli, una casa editrice che ha peso in generale e che ha molto investito sul lancio di questo romanzo in particolare; e che oltretutto da tempo non vince lo Strega. Inoltre Postorino è anche un editor di Einaudi, conosce i meccanismi del premio, quindi potrebbe avere anche il sostegno di molti ‘addetti ai lavori’. Ce ne sono tanti fra gli Amici della domenica. Ed è interessante che aumenti così tanto, in questi anni, il numero di editor che scrivono.
C’è però l’incognita Ada d’Adamo, che ha scritto un romanzo breve, sincero e potente, sebbene con una casa editrice minore, Elliot. Inoltre nel caso di D’Adamo assume una certa rilevanza il contesto, ovvero la scomparsa prematura dell’autrice che nel libro ha narrato la storia della disabilità della figlia e della propria malattia. Come d’aria appare quindi dotato di una forza letteraria e contestuale. Non so se basterà.
- Nel libro inserisci l’analisi critica di un romanzo vincitore del Premio Campiello, Le assaggiatrici di Rosella Postorino. Dobbiamo interpretarla come una premonizione?
No, nessuna premonizione. Ho inserito nel libro un capitolo sul Premio Campiello perché mi interessava porre le sue dinamiche in relazione con quelle dello Strega. Inoltre era interessante confrontare Le assaggiatrici con due romanzi vincitori dello Strega in quegli stessi anni, ovvero La ragazza con la Leica di Janezeck (2018) e M. Il figlio del secolo di Scurati (2019): tutti e tre i libri narravano la violenza nazi-fascista e utilizzavano i documenti per variare sulla struttura del romanzo storico. Non certo un caso.
Mi interessava insomma osservare le dinamiche di interrelazione tra i due premi, far notare come anche il Campiello si stia in qualche modo “streghizzando” e, viceversa, come lo Strega si stia sempre più “campiellizzando”. Non solo lo Strega, ma anche il Premio Campiello a volte riflette il mutamento della nostra narrativa, l’affermarsi del romanzo di stampo midcult.
- Mi ha incuriosito un’osservazione: scrivi che l’“estetica social” sta fondando un nuovo modello di prestigio. Qual è l’influenza dei social sulla letteratura e le dinamiche editoriali?
C’è un’influenza stilistica, che definirei ritmica, e forse sintattica, che spinge a elaborare opere brevi, o magari anche lunghe ma fittamente scandite, scritte in modo rapido e suggestivo, e con un ritmo veloce. Si è accentuata di conseguenza la tendenza a una paratassi non accurata ma spesso patetica, per rendere la fruizione più intensa e scorrevole.
Dall’altro lato vedo un’influenza antropologica, l’ascesa di uno scrittore-personaggio che sui social vive letteralmente accanto alla propria opera. Le eventuali pause o lacune in materia di scrittura o progetto formale sono così colmate dall’appeal del personaggio e dalle sue interazioni col pubblico. Immagino che sul piano della comunicazione tutto questo funzioni, ma non sempre è un bellissimo spettacolo sul piano letterario: resto dell’idea che un romanzo ha tutto da guadagnare dalla messa tra parentesi dell’ego di chi lo ha scritto, a meno che questo ego non si metta al servizio della costruzione di un personaggio letterario vero e proprio.
- Osservi che il discorso pubblico sulla letteratura perde in parte il suo valore, si è come “infantilizzato”, oppure ridotto alla sola celebrazione dell’ultimo libro uscito. Oggi conta più il parere del lettore comune rispetto al giudizio del critico specializzato? E da critico letterario specializzato, forse uno tra gli ultimi, come vivi questa situazione?
Il parere del critico letterario vecchio stile conta poco, sia sul piano culturale sia soprattutto sul piano commerciale, dove sono più spendibili e tutto sommato utili i pareri generici espressi da lettori comuni: meno tecnici, meno problematici, più accondiscendenti. L’infantilizzazione del discorso pubblico sulla letteratura passa per l’indifferenza o il silenzio opposti ai resoconti più maturi; per la tendenza a sostituire la riflessione con i punteggi e le stelline; per il pullulare di elogi, spesso scritti da scrittore a scrittore, secondo una logica di sopravvivenza per cui “cane non morde cane”. L’infantilismo vince, un po’perché tutta la cultura e forse tutta la società si stanno infantilizzando, un po’ e più oscuramente perché semplificare conviene alla promozione, e quindi al mercato.
L’approccio critico e riflessivo ai problemi sta venendo meno in tutti campi, mentre in tutti i campi trionfa quello emotivo e, per così dire, esistenziale. Gli scrittori stessi in buona parte oggi ragionano meno di ieri su quello che fanno: il che spiega come mai dialoghino così poco con i pochi critici rimasti. In compenso dialogano di più coi loro editor - i cui obiettivi però sono a volte più commerciali che artistici.
- Questa dinamica sembra riflettersi anche nei nuovi volti dei vincitori del premio. In Caccia allo Strega noti che alla fine del Novecento lo Strega era più un premio alla carriera, vinto da autori come Moravia, Landolfi e Primo Levi, mentre oggi si tende a puntare su scrittori più giovani che hanno ancora una lunga vita editoriale davanti. Come interpreti questo passaggio?
A mio parere c’è stata un’evoluzione rispetto agli ultimi decenni del Novecento, quando il premio aveva un significato più autocelebrativo e un impatto inferiore sulle vendite. Come osserva un grande critico, Alfonso Berardinelli, oggi alcuni scrittori italiani “scrivono per lo Strega”, il premio viene visto come un fine più che come un mezzo: serve a sentirsi ‘arrivati’, cioè autenticamente e professionalmente scrittori, in un mondo in cui quasi tutti scrivono ma quasi nessuno riesce a vivere di letteratura.
Oggi l’editoria tende a investire su giovani autori, più malleabili e più transmediali, confidando anche nelle future pubblicazioni e quindi nella possibilità di crescita, sia narrativa che commerciale.
Il nesso fra consacrazione commerciale e scatto di carriera si è fatto strettissimo; ma a rigore, nessuna di queste due cose c’entra molto con la letteratura come forma di conoscenza.
- Per concludere, in attesa di scoprire il vincitore della 77esima edizione, ti chiedo un parere sul Premio Strega dello scorso anno: Mario Desiati. Quale identikit faresti per il suo romanzo “Spatriati”?
Credo che il libro di Desiati abbia vinto soprattutto per il tema trattato, ovvero il ritratto di una generazione. In Spatriati troviamo giovani “diversi”, in transizione; molteplici anche gli sfondi - uno più local, la Puglia, e uno più global, Berlino. Penso però che il romanzo precedente, Candore, fosse più coraggioso e più bello; e che forse Mario Desiati abbia ancora da darci il suo libro migliore.
leggi anche
Premio Strega: la storia della prima edizione
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario.” Intervista a Gianluigi Simonetti
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Saggistica Ti presento i miei... libri News Libri Nottetempo Premio Strega
Lascia il tuo commento